Un viaggio dentro alcuni scampoli di Napoli attraverso la voce di alcuni musicisti partenopei.
I tre musicisti dei Suonno d’Ajere, un trio nato nel 2016 dall’esigenza di conoscere e approfondire ciò che la città di Napoli ha prodotto nella sua storia musicale, ci parlano del teatro Trianon Viviani e del Gran Caffè Gambrinus. Il primo è il teatro della canzone napoletana. Il Gambrinus è il caffè letterario più prestigioso della città. Aprì i battenti nel 1890 e col tempo arrivò a rappresentare il principale luogo di convegno di Napoli. Le sue sale, impreziosite da dipinti, marmi, stucchi, divennero una piccola galleria d’arte illuminata ben presto dall’energia elettrica. “In uno di questi tavolini” ci racconta Arturo Sergio, uno dei proprietari “a causa di una scommessa Gabriele d’Annunzio divenne paroliere: scrisse la poesia ‘A vucchella‘, poi musicata da Francesco Paolo Tosti e conosciuta in tutto il mondo grazie alla storica interpretazione di Enrico Caruso”.
Dario Bassolino, pianista, producer e compositore attivo nel panorama nu-jazz, ci parla di Pino Mauro, un’icona della canzone popolare napoletana, nonché tra i ‘responsabili’ della rinascita della sceneggiata. Della canzone di giacca, così chiamate perché i cantanti specializzati in questo repertorio erano vestiti sempre con giacca, cravatta, cappello e tutto quello che proponeva la moda maschile dell’epoca. Il cantante doveva impersonare una figura che al vestiario teneva moltissimo: in pratica il guappo. Ma ci parla anche di Gennaro d’Auria, mago e veggente, è un incrocio tra Mago Merlino e Gargamella, tutto il potere di Nostradamus nel corpo di un tamarro di periferia. E’ l’eletto, a lui infatti è stato donato via mail il terzo occhio, il potere di vedere le cose invisibili, talmente invisibili che infatti non accadono.
Daniele Sanzone, scrittore, autore e voce della rock band ‘A67, ci racconta Scampia, la periferia napoletana in cui ha ambientato il suo primo romanzo: “Madre dolore. La prima inchiesta del commissario Del Gaudio” (). Mirco Del Gaudio, ex pugile e attuale capo del Commissariato di Scampia, è uno spirito inquieto. Si barcamena fra l’amore e l’odio per il suo lavoro (e per i suoi colleghi), un matrimonio fallito e la sensazione di non dedicarsi abbastanza alla figlia. Quando si ritrova davanti al cadavere di una donna che si è suicidata in seguito alla morte del figlio, il commissario capisce subito che dietro quel gesto estremo si nascondono altre verità e altri segreti. E infatti, seguendo il suo fiuto da sbirro, finirà per immergersi negli abissi di un mondo misterioso, in cui l’assenza di speranza si trasforma in dipendenza dall’illusione…
…aspettando il 25 aprile
“Perché essere l’avvenire e poter rischiarare la strada come nella tenebra il raggio di sole non è sacrificio”. E’ un pensiero di Felice Cascione, il Che Guevara di Imperia che inventò “Fischia il vento”. Come il Che era medico, romantico, figo, generoso. E immortale. Almeno nel Ponente ligure. Medico di Imperia e figlio di antifascisti, aderente al Pci, entrò nella Resistenza a capo di una brigata partigiana, a Diano Castello: nome di battaglia «ù mègu», il medico. Alla sua banda si aggregò «Ivan», reduce di Russia, dove aveva imparato la melodia popolare «Katyusha»: sulla musica furono adattati i versi composti da Cascione per “Fischia il vento”. La morte di Cascione è descritta nella motivazione della medaglia. Ferito in uno scontro, «ù mégu» rifiutò i soccorsi, rimanendo a dirigere il ripiegamento dei suoi: «Per salvare un compagno che, catturato, era sottoposto a torture perché indicasse chi era il comandante, si ergeva dal suolo ove giaceva nel sangue e fieramente gridava: “Sono io il capo”. Cadeva crivellato di colpi…».
Ce ne parla Donatella Alfonso, autrice di “Fischia il vento. Felice Cascione e il canto dei ribelli”. La storica, saggista e divulgatrice Jennifer Radulovic ci parla di “Partigiane: storia della Resistenza!” la sua nuova narrazione spettacolo incentrata sul ruolo delle donne nella lotta di liberazione. Nei terribili anni della Seconda Guerra Mondiale e nelle operazioni della Resistenza Italiana le donne ebbero un ruolo fondamentale su più livelli, dall’assistenzialismo fino a impugnare le armi per difendere il diritto alla libertà. Sono state migliaia: solo a 35mila di loro è stato riconosciuto lo status di partigiane. Nonostante siano trascorsi quasi 80 anni, il maschilismo che hanno subito e l’avversario ideologico con il quale hanno combattuto, sono drammaticamente vivi e incombenti sulla nostra società.
Lo storico dello sport Sergio Giuntini, autore di “Biciclette partigiane. Venti storie di ciclismo e Resistenza”, ci ricorda come nella storia la bicicletta è sempre stata strumento di libertà ed emancipazione: sociale, politica, culturale. Ha contribuito a grandi trasformazioni della mentalità e del costume. Vi ha ricorso il femminismo nelle sue battaglie per l’indipendenza e l’autonomia del predominio maschile, il mondo del lavoro per liberarsi dalle catene del tempo e dello spazio. La bicicletta era in prima linea nel corso della Comune di Parigi (1870) e nei moti repressi da Bava Beccaris a Milano nel 1898. E tra il 1943 e il 1945 non poteva che battersi anche contro il nazifascismo, diventando preziosa alleata della lotta partigiana.
Il progetto RIDE 4sunbirds, 700 km in bicicletta per Gaza a fianco dei Gaza Sunbirds. E’ una manifestazione ciclistica che partirà da Milano il 25 aprile e che, toccando diverse città, arriverà a Roma il 30 aprile. L’iniziativa nasce come risposta pacifica e costruttiva in supporto al popolo palestinese, pesantemente colpito dal conflitto in atto. I Gaza Sunbirds sono un gruppo di circa 20 paraciclisti palestinesi fondato nel 2020 da Alaa al Dali, fino allo scoppio del conflitto in corso tre di loro si stavano allenando per partecipare alle prossime paraolimpiadi. Dal 7 ottobre in avanti hanno deciso di prestare il loro servizio al fine di raccogliere e distribuire beni di prima necessità alla popolazione civile. Info: gazasunbirds.org/news
Carlo di Bicipace ci parla della quarantesima edizione di Bicipace, che quest’anno partirà il 26 maggio. E’ la più importante manifestazione in bicicletta della Lombardia, la cui mission è unire alla bellezza della natura e dell’ambiente la forza della pace e della solidarietà.
Camminare. Festival Social Walking
Presentazione di “Camminare. Festival del Social Walking” che, giunto quest’anno all’ottava edizione, si svolgerà anche quest’anno – il 4 e 5 maggio – nel Parco Nord Milano. Posizionato presso la Cascina Centro Parco, il village ospiterà alcune delle sezioni del festival e rappresenterà il punto di partenza le esperienze di cammino nel Parco. Laboratori di didattica ambientale, stands, spazio libri, momenti benessere, appuntamenti all’interno dei grandi spazi del Parco Nord Milano, parco periurbano metropolitano situato nella periferia nord di Milano. La Cascina Centro Parco, sede dell’ente parco, è facilmente raggiungibile a piedi, in bicicletta e con i mezzi pubblici da Milano e dai comuni limitrofi della Città Metropolitana (M5 Bignami). E’ previsto un prologo del festival vero e proprio, durante il quale una sezione del festival offrirà una prospettiva unica sul mondo dei cammini, permettendo anche di scoprire luoghi insoliti della città. Trattasi di un trekking in cinque quartieri della città di Milano: Ortica, Porta Romana, Porta Venezia, Gorla, Bovisa. Non solo trekking urbani, ma anche presentazioni di libri, un film (“Resina” di Renzo Carbonera) e una mostra.
Ospiti della trasmissione, oltre a Fabrizio Teodori di Viaggi e Miraggi che ha dettagliato il programma, anche Chiara Caporicci, referente di C.A.S.A. – Cosa Succede Se Abitiamo , un’associazione di promozione sociale e uno spazio per residenze d’artista e culturali, abitato e attraversato, a Frontignano di Ussita (MC) nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini a mt 1.350 slm. Ilaria Canali, di Ragazze in Gamba , la Community ufficiale della pagina della Rete Nazionale Donne in Cammino. E Stefano Mancuso, botanico e saggista italiano che insegna arboricoltura generale e etologia vegetale all’Università di Firenze.
Puntata in bicicletta
Una puntata a pedali dedicata a Mariateresa Montaruli. Giornalista e scrittrice prematuramente scomparsa, attraverso i suoi racconti e le descrizioni degli itinerari in Italia, ma con qualche puntata anche nel resto d’Europa, ha fatto scoprire a migliaia di lettori non solo i percorsi più suggestivi da fare in bicicletta, ma anche un tema, un’anima, una storia legata al territorio e una possibilità per tanti di fare vacanza pedalando. Durante la prossima edizione della Fiera del Cicloturismo (5-7 aprile, Bologna), pensando alle donne che promuovono le due ruote e il cicloturismo, verrà assegnato il premio “Ho voluto la bicicletta”: la bicicletta non ha confini, può arrivare dappertutto donando a chi pedala salute, gioia, nuovi amici e tanto altro . Ce ne parlano Carmen Rolle, Paola Piacentini, Pinar Pinzuti e Roberto Peia.
La storia di Sanna Ghotbi e Benjamin Ladraa, due trentunenni svedesi che nel maggio 2022 hanno cominciato un lunghissimo viaggio in bicicletta che li porterà in quaranta paesi, per un totale di 48mila chilometri da percorrere. Il loro obiettivo è riportare l’attenzione del mondo sulla questione del Sahara Occidentale, il territorio africano occupato per l’80 per cento dal Marocco, ma rivendicato dal Fronte Polisario in nome del popolo sahrawi…
La Food Valley Bike : la ciclovia più appetitosa d’Italia. 80 km attraverso i luoghi del cibo. Da Parma si prosegue verso Mezzani, per esplorare l’Oasi Naturale Parma Morta, si continua per Colorno, dove si può visitare la splendida Reggia di Colorno, e si prosegue in direzione di Sissa Trecasali, per degustare la Spalla Cruda di Palasone, salume risalente al Medioevo. Altra tappa è Roccabianca con il suo castello e Zibello, dove addentare il prelibato Culatello di Zibello. L’arrivo è a Busseto, nella cui frazione Roncole è nato il maestro Giuseppe Verdi.
In bicicletta lungo le oltre 30 miglia di piste ciclabili di St. Simons Island, la più grande isola barriera delle Isole d’Oro, nello stato americano della Georgia . L’isola si trova di fronte alle paludi di Glynn, rese famose dal poeta Sidney Lanier. Querce ricoperte di muschio fiancheggiano le tortuose strade dell’isola, creando un’immagine degna di un racconto di Faulkner…
Le geografie di Ricky Gianco
Una puntata di Onde Road realizzata per festeggiare l’ottantunesimo compleanno di Ricky Gianco (all’anagrafe Riccardo Sanna), mitico musicista, ma anche grande sostenitore di Radio Popolare. La nascita, a sua insaputa, a Lodi e il debutto vincente a un concorso musicale a Varazze nel 1954 all’età di 11 anni. La passione per l’America e l’immersione nella Swinging London, dove frequenta Paul McCartney e John Lennon (una coppia, Lennon/McCartney, a cui Ricky rispose con la coppia Gianco/Gian Pieretti). “Ora sei rimasta sola” e il Clan Celentano. La panchina scolorita di Nervi dove, quando si diventerà anziani, lei le avrebbe dovuto raccontarle la sua vita e l’inquinamento del fiume Po (“Il fiume Po che nasce dal Monviso / E dai ghiacciai, trascina piombo e pesticidi / Discende a valle e poi si abbraccia col Tanaro / E porta l’ammoniaca verso nuovi lidi / Un po’ più a valle il Po si incontra col Ticino / E corre ancora giù, giù verso il Panaro / Così si trova dentro il letto anche l’arsenico / Il Sesia e l’Oglio aggiungono il mercurio…”. L’università di Heidelberg o forse di Jena, non lo sa nemmeno lui (meglio chiedere a Gianfranco Manfredi). Quella volta nel carcere di Pavia dove, nei panni di novello Johnny Cash, manda in delirio i detenuti con una memorabile esecuzione di un jingle pubblicitario che evoca una idilliaca fattoria…
ANDAROCCO: Andalusia + Marocco
Siviglia, la città delle tapas: un raro esempio di legge ad personam adottata felicemente dal popolo. Ad istitualizzarle fu un monarca del XIII secolo, Alfonso Fernández, detto il Saggio. A causa di una rara malattia era obbligato a mangiare a tutte le ore ed a bere un po’ di vino. Una necessità che lo portò ad imporre per regio decreto che non si servisse vino senza cibo. E’ anche la città d’Europa con il maggior numero di strade dedicate alla Madonna: 48 tra vie e piazze. Ma nell’Alcazar ha eretto un monumento a un monarca musulmano di tanto tempo fa, la cui stele recita: “La città al suo re Almutamid Ibn Abbad. 900 anni dopo”. Per ammirare questa città meticcia dall’alto basta salire sul Metropol Parasol, una gigantesca struttura fungiforme, non a caso ribattezzata dai sivigliani Las Setas: i funghi. Sei ‘funghi’ che si stagliano per una lunghezza di 150 metri e un’ampiezza di 75, alti 30 metri ciascuno. I loro ‘cappelli’ sono dei grandi tetti oscillanti, dal diametro che varia dai 20 ai 30 metri, che si incrociano tra loro, formando sopra la piazza un’unica onda d’ombra. Sono percorsi da una lunga passerella che, dopo una passeggiata nel cielo urbano, regala scorci fantastici su Siviglia.
La ribelle e anarchica Marinaleda è una cittadina a poco più di 100 chilometri da Siviglia, nel cuore dell’Andalusia, una piccola comunità rurale con meno di 3000 abitanti, una regione dove la disoccupazione è di casa e la povertà è stata spesso sovrana. Un borgo dove da qualche lustro si sperimentano forme di autogoverno, di economia collettivista e democrazia partecipativa di ispirazione socialista. Motore economico della comunità è l’azienda agricola collettiva El Humoso che impiega la maggior parte della popolazione locale. Un progetto nato nel 1979 quando gli agricoltori della zona avevano perso la terra e il tasso di disoccupazione superava il 60%. Lo storico sindaco Juan Manuel Sánchez Gordillo, allora trentenne, iniziò e guidò una serie di proteste, occupazioni e scioperi che sono durati circa un decennio, chiedendo e ottenendo l’accesso ai campi abbandonati. Successivamente il governo locale ha acquistato migliaia di metri quadrati di terreno, ha fornito materiali da costruzione, piani architettonici e assistenza gratuita da parte di costruttori professionisti per garantire anche un tetto agli abitanti del villaggio.
Oggi Tangeri vive di container e digitale, ma non ha dimenticato la sua anima vintage. Per sincerarsene basta addentrarsi nel labirinto di vicoli e piccole piazze della medina, che essendo stati costruiti man mano che ne è sorta la necessità sono totalmente privi di una logica topografica. In compenso sono pieni di bancarelle e negozi che vendono prodotti artigianali e per sapere dove andare qualcuno dovrebbe inventare un GPS: Global Power Shopper. Più eleganti i negozi delle strade all’europea Ville Nouvelle, che si estende irregolarmente a sud-ovest della medina. Afrori della Tangeri che fu si possono sorseggiare assaporando un profumato tè alla menta al Cafè Champs Elysèes o ubriacandosi allo speakeasy di El Morocco Club , un seducente bar-ristorante nella kasbah.
Asilah, 40 km sotto Tangeri: un miscuglio di forme geometriche degne di Paul Klee. Era un antico porto fortificato che stava sbriciolandosi sotto il sole quando nel 1978 il fotografo Mohammed Benaissa e l’artista Mohammed Melehi invitarono alcuni pittori a realizzare murales sui logori bastioni portoghesi del XIV secolo. Erano i prodromi di un festival che ha segnato la rinascita di Asilah: a fianco di musicisti di flamenco e di poeti il Moussem culturel international d’Asilah invita graffittari che affrescano i muri del villaggio che così ogni anno, per dodici mesi, offre scorci cromatici nuovi.
Ricordando Giuseppe LIBERO Spagnuolo
Giuseppe “Libero” Spagnuolo se ne è andato una decina di giorni fa. Era l’ultimo e unico abitante di Roscigno Vecchia, frazione affascinante, magica e spettrale del comune di Roscigno, nel Parco nazionale del Cilento. E’ un borgo nel cuore degli Alburni che fu sgomberato agli inizi del ‘900 per via di due ordinanze del Genio Civile per la minaccia di una frana che si credeva potesse radere al suolo l’intera cittadina. Da allora tutto è rimasto uguale. La piazza dedicata a Giovanni Nicotera, su cui si affacciano le basse case, decorate con bei portali, dei contadini e degli artigiani. Una fontana dalle larghe vasche e una chiesa settecentesca dedicata a San Nicola di Bari. Giuseppe ci viveva circondato da una comunità di gatti: lui era il sindaco virtuale di questa Pompei del XIX secolo. Per ogni visitatore aveva un aneddoto da raccontare e una fede politica da ostentare: sono passati più di centocinquant’anni dall’Unità d’Italia, ma lui continuava ostinatamente a dichiararsi filo borbonico. “Dal Regno delle Due Sicilie” ripeteva con il suo vistoso accento “siamo passati non all’Unità d’Italia, ma ad assurd’Italia”. In questa puntata di Onde Road lo ricordiamo proponendo una selezione di quanto registrato durante alcune nostre visite a Roscigno Vecchia. Riproponiamo anche l’incontro con la signora Margherita, una storica abitante di Craco (Matera): la più nota “città fantasma” italiana. Il suo centro storico si spopolò a partire dal 1963, a causa di una frana, fino a diventare quasi disabitato nel 1980 quando, in seguito al terremoto in Irpinia e in Basilicata, furono disposte le ultime ordinanze di sgombero. Negli ultimi anni Craco è diventata una meta turistica sempre più conosciuta: accoglie ogni anno migliaia di turisti, che hanno la possibilità di passeggiare tra le strade del borgo abbandonato e ammirarne i monumenti. Una bizzarria: le case che si possono vedere nel centro storico, benché inagibili, sono ancora oggi di proprietà delle persone che vi abitavano. Chi viveva nella città vecchia prima del 1963 può tornare a visitare la propria abitazione due volte l’anno, ottenendo un permesso dal comune.
La Cina di Marco Polo e di padre Matteo Ricci
Marco Polo, un uomo che fu scopritore di terre e divoratore di distanze, nel 1300 si sposò con , patrizia veneziana, dalla quale ebbe tre figlie: Fantina, Belella e Moreta. Scritti apocrifi però raccontano che fu da adolescente che Marco Polo ebbe un vero e proprio colpo di fulmine. Lei era Hao Dong, figlia dell’imperatore Kublai Khan, nipote di Gengis Khan. Marco Polo restò alla corte Khan per molti anni e quando ritornò a Venezia pare che portò con sè la ragazza. A Venezia, la giovane asiatica, pare non avesse una vita invidiabile. Nascosta e al riparo dalle malelingue viveva in solitudine abbandonata all’unica passione che poteva farla sentire viva: la canzone. Nel 1298, quando Marco Polo fu catturato dai genovesi, la sua famiglia raccontò alla fanciulla che era morto. Per la tristezza la giovane si gettò dalla finestra della casa dei Polo, morendo nel canale. Che il fantasma di quella poveretta si aggiri ancora tra le calli della zona è una leggenda. Che durante gli scavi del teatro Malibran, edificato sulle rovine delle case dei Polo, siano stati ritrovati i resti di una donna asiatica e di alcuni oggetti di manifattura orientale, è una realtà… In occasione dei settecento anni dalla morte di Marco Polo, al netto di questo scampolo gossipparo, abbiamo deciso di visitare virtualmente alcune delle città da lui conosciute durante i suoi viaggi. Grazie a Ermanno Orlando (autore di “Le Venezie di Marco Polo. Storia di un mercante e della sua città”, Le edizioni del Mulino) abbiamo fatto tappa a Costantinopoli, a Tabriz e a Trebisonda (avendo la conferma, per quanto riguarda la città turca sul Mar Nero, che quella vissuta da Marco Polo era ben diversa da quella visitata dal sottoscritto qualche anno fa). Un lavoro, quello di Ermanno Orlando, che ci fa capire perché Italo Calvino, nel suo Le città invisibili, fa dire a Marco Polo “Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia”…
Margherita Redaelli, autrice di “Il mappamondo con la Cina al centro”, edizioni ETS, ci introduce alla figura di padre Matteo Ricci (1552-1610), gesuita, matematico, cartografo e sinologo (visse in Cina dal 1582 sino alla sua morte), che grazie alla sua cultura umanistica , riuscì a farsi mediatore tra due grandi civiltà seguendo un piano teorico prestabilito, a cui sono riconducibili le varie manifestazioni della sua attività.
Le geografie di Fabrizio De Andrè
Son passati venticinque anni da quando Fabrizio De André se n’è andato. Un soffio.
Per ricordarlo abbiamo deciso di percorrere, insieme alle sue canzoni, le sue geografie. Ovviamente siamo partiamo da Genova, la sua città. E altrettanto ovviamente volendo ripercorrere le geografie genovesi di Faber non bisogna partire da antichi palazzi nobiliari, che nella città della Lanterna non mancano. Si deve i raggiungere la città vecchia, quella che Faber ha fotografato con questi versi con i versi de La città vecchia. Fabrizio era un tifoso del Genoa calcio. Un legame nato nel 1947, quando allo stadio vide la squadra perdere contro il Grande Torino: “Mi piace il Genoa” sentenziò “perché ha i colori come le tute degli operai del comune”.
“Mi sento più contadino che musicista. Questo è il mio porto, il mio punto d’arrivo. Qui voglio vivere, diventare vecchio”. Sono le parole che Fabrizio De André dedica alla sua Sardegna, l’isola che ha amato profondamente e dove si è consumato uno dei momenti più drammatici della sua vita.
Sull’isola, insieme alla cantante e futura moglie Dori Ghezzi (la sposerà 14 anni dopo), Faber compra nel 1975 la tenuta dell’Agnata, un appezzamento di terra semi abbandonato con il tipico “stazzu”, il casale gallurese in granito, circondato da una foresta di querce sempreverdi, a pochi chilometri da Tempio Pausania e da Nuraghe Majori. “La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso”.
“Ah, che bell’ ‘o cafè, pure in carcere ‘o sanno fa co’ a ricetta ch’a Ciccirinella, compagno di cella, c’ha dato mammà”. Lui stesso definì Napoli la sua patria morale, l’unico altro posto dopo Zena e la Gallura dove avrebbe potuto vivere. E con Don Raffaè, la sua canzone partenopea più famosa, eredità della lezione dialettale appresa dai poeti Salvatore Di Giacomo e Libero Bovio, ha lasciato alla città del Vesuvio un componimento che i giovani napoletani studiano anche fra i banchi di scuola.
L’America per De Andrè era primariamente l’America dei nativi come testimonia l’album L’indiano.
Ma anche quella ‘umana’ raccontata nelle poesie di Edgar Lee Master.
L’ultima tappa non può che essere a Staglieno, il cimitero di Genova. Ospita anche Faber. Per chi volesse portargli un saluto: entrare dall’ingresso laterale (sul lato sinistro rispetto all’entrata principale), imboccare sulla sinistra il viale degli Eroi caduti di tutte le guerre; oltrepassare l’archivolto della Galleria Montino e proseguire sino al cartello segnaletico del campo 22 chiaramente visibile sulla sinistra del viale che si sta percorrendo. La tomba della Famiglia De Andrè è proprio all’altezza di questo cartello. La si riconosce perchè è semplice e al suo interno c’è una chitarra.
Track list
De Andrè_Quello che non ho
De Andrè_La città vecchia
Baccini & De Andrè_Genova blues
De Andrè_Monti di Mola
De Andrè_Hotel Supramonte
De Andrè_Don Raffaè
De Andrè_Fiume Sand Creek
De Andrè_La collina
Joy Division_Love Will Tear Us Apart
De Andrè_Anime salve
Oriente cubano
Un parzialissimo resoconto del recente viaggio nell’Oriente Cubano con gli ascoltatori di Radio Popolare. Prima tappa, un’escursione sulla Sierra Maestra, alla Comandancia General de La Plata, il luogo dove Fidel Castro decise di installare, nel 1958, il Comando dei Barbudos e le apparecchiature di Radio Rebelde. Da allora, si pianificò tutto da lì: le missioni di guerriglia e i messaggi al popolo cubano. Una camminata guidati da Husmani durante la quale ci ha raccontato storie fantastiche. Come quella delle foglie del cupey, una delle tante piante incontrate nella selva. Foglie che Carlos Manuel de Cespedes, il padre della patria cubana, utilizzava al posto dei fogli di carta per alfabetizzare i cubani. Husmani ne ha raccolta una e ci ha scritto “Viva Italia y Cuba. Amigos”.
A Baracoa abbiamo incontrato Alejandro Sebastiàn Hartmann Matos, l’historiador della città (figura che a Cuba gestisce il piano di sviluppo di una città, combinando trasformazione urbana e progetti culturali). Ci ha ricordato che Baracoa significa “luogo dell’acqua” perché è ricca di fiumi. Proprio per merito di questi fiumi e della posizione geografica privilegiata, oggi Baracoa conserva un micro-clima unico che va conservato e tutelato e che l’ha resa nota per essere l’area dove si produce il miglior cioccolato del mondo (anche se caffè e frutta non sono da meno). La conferma che l’historiador non esagerava è arrivata con l’escursione alla Boca de Yamuri, situata, come dice il nome, alla foce del Río Yumurí. Risalendo il fiume, prima in barca e poi a piedi, siamo accompagnati da Ruben Cesar Cintra, Shakira per gli amici. E’ lui a raccontarci che molte delle piante e degli alberi che qui si incontrano posseggono proprietà medicinali. Nel corso dei secoli, e grazie alle radici indigene e africane della regione, la gente del posto ha sviluppato una profonda conoscenza di questa vegetazione. La foreste è un rifugio permanente per svariati animali e senza essere dei fondamentalisti del birdwatching ci si rende subito conto della grandiosità della fauna volatile: sono state censite più di 60 specie di uccelli, tra cui il tocororo (una vera e propria icona cubana perché il suo piumaggio ha i colori della bandiera nazionale: bianca rossa e blu). E’ anche la patria della polimita (Polymita picta), una specie di chiocciola che vive sugli alberi. Conosciuta come “lumaca dipinta”, per via dei colori brillanti della sua conchiglia, è considerata uno dei molluschi più belli del mondo ed è una specie endemica in pericolo a causa della perdita del suo habitat e della cattura dei suoi esemplari. Un’escursione, quella con Shakira, che termina con un pranzo sulla spiaggia… Partendo da Baracoa sulla nostra guagua giallorossa abbiamo caricato Ansel, un 25enne che partiva per “il viaggio”. E’ il figlio di Margarita, la padrona della Casa Particular dove abbiamo soggiornato. Noi lo abbiamo portato da Baracoa a Santiago. Da lì con un volo raggiungeva il Nicaragua. Poi contrattando con i passatori doveva attraversare il Centro America cercando infine di entrare negli Stati Uniti. A Santiago si è incamminato con uno zaino in spalla e una borsa di plastica in mano. Davanti a lui un sogno e un grosso punto di domanda, più grande del suo sogno…
Che ne sarà invece del sogno del socialismo cubano? Ne parliamo con Alfredo Somoza, giornalista e collaboratore di Esteri…
Mad Chester
Un viaggio virtuale in una delle geografie musicali più intriganti degli ultimi decenni: quello della Manchester che fu, la mitica Mad_chester. Un viaggio nel tempo che inizia dall’ormai ex G-Mex Centre: oggi ribattezzato Central Convention Complex, oggi centro congressi. Basta spostarsi di pochi metri per raggiungere un altro edificio dalla marcata impronta vittoriana: la Free Trade Hall. Forse la vera culla della musica di Manchester, dove Bob Dylan fu chiamato «Giuda» negli anni Sessanta perché usò gli strumenti elettrici e dove nel 1976 i Sex Pistols iniziarono a diffondere il verbo del punk al di fuori di Londra ispirando, si narra, i Joy Division, i cui membri della band erano tra il pubblico. In quello che adesso è un hotel di super lusso (della vecchia struttura è stata mantenuta solo la facciata), sono passate le più importanti band della scena locale. La Free Trade Hall sorge nel punto dove il 16 agosto del 1819 l’esercito inglese rivolse i propri fucili contro una folla di 60mila manifestanti, «colpevoli» di chiedere più democrazia e giustizia sociale. A differenza della Free Trade Hall, è ancora attivo l’adiacente Ritz, luogo dell’esordio assoluto in pubblico degli Smiths (per i fans di questa band tassativo raggiungere l’angolo tra Coronation Street e St Ignatius Walk, dove si trova il Salford Lads Club, celebre grazie alla quarta di copertina dell’album degli Smiths The Queen is Dead). Sempre nei paraggi, a Little Peter Street, c’era il Boardwalk, un popolare locale di musica dal vivo, attivo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. E’ li che fecero il loro debutto dal vivo gli Oasis. The Man From Delmonte, the Charlatans, Happy Mondays, Female Brothers e James, che suonarono la serata di apertura nel 1986, erano tra le tante band di Manchester che apparivano frequentemente al Boardwalk prima di acquisire riconoscimento internazionale o scomparire nell’oscurità. Il locale ha anche ospitato altri artisti tra cui The Stone Roses, Hole, Sonic Youth, Chumbawamba, Jayne County, Verve, Bob Mold e Rage Against the Machine. Il locale era anche conosciuto come il fulcro della scena musicale britannica C86 (dal nome di una compilation su cassetta pubblicata dalla rivista musicale britannica NME nel 1986). Quello che per tre lustri (1982-1997) è stato forse il locale più famoso del Regno Unito è l’Hacienda, locale che deve il suo nome all’internazionale situazionista. All’interno dell’enorme capannone dove originariamente venivano costruite barche, alla fine del secolo scorso non si contavano più i concerti e le pazze nottate di Mad_chester. Al suo posto è sorto un edificio dalla chiara impronta estetica post-industriale. Gli appartamenti, che non sembrano per nulla economici, realizzati al suo interno venivano venduti con questo slogan promozionale: «nel 1989 vivevi per andare a divertirti all’Hacienda, nel 2019 vivi all’interno dell’Hacienda». Alla gentrificazione resistono, non si sa ancora per quanto, due storici pub: il City Inn Road e il Briton’s Protection. Quest’ultimo lotta per sopravviere allo strapotere delle grandi multinazionali birrarie pronte a rilevarlo e a farne un locale alla moda, cancellando 200 anni e passa di storia.
Puglia Bike Wine
Montiamo in sella e andiamo a scoprire la Puglia dei vini, pedalando attraverso alcune delle sue più importanti Doc. Viaggiamo d’autunno, a novembre, per schivare il turismo di massa e il caldo feroce che stroncherebbero il piacere di abbandonarsi a buon calice (o a più di uno…!).
Punto di partenza è Putignano, a 40 km a sud di Bari, sull’atopiano collinare della Murgia. Da lì pedaliamo per una quindicina di chilometri fino a raggiungere Giovanni Aiello, “enologo per amore”. Siamo alle pendici della valle d’Itria, in una zona carsica calcarea: sotto terra le grotte, sopra i trulli e in lontananza, a pochi chilomteri, l’azzurro del mare. È qui che Aiello, dopo aver girato il mondo, ha aperto la sua cantina in cui produce Primitivo di Gioia del Colle e Verdeca. I suoi vini si chiamano Chakra e hanno già collezionato una sfliza di premi prestigiosi.
Più a sud, a Crispiano, nell’aerea delle cento Masserie, visitiamo la Masseria Amastuola, una struttura che ospita un elegante wine hotel, una bottaia, una libreria e un ristorante. Intorno ci sono circa 170 ettari di terreno, per la maggior parte coltivati a vigneto, dove i i filari disegnano delle grandi onde, disegnate dal paesaggista Fernando Caruncho. In cantina troviamo più di dieci varietà di vino biologico.
Per i buon gustai, tappa d’obbligo è Il Panino di Marino – Na Dogghia d’Aneme (letteralmente un languorino di stomaco) a Noci. Qui incontriamo un mito della gastronomia pugliese: Notarnicola Marino, “domatore d’appettito”, come si definisce lui…
Altro incontro che lascia il segno è quello con Paolo Belloni, fondatore dei Giardini di Pomona. Lo incontriamo nel suo conservatorio botanico, incastonato tra 3 città bianche (Cisternino, Locorotondo e Martina Franca): è lui a illustrarci la sua collezione di vecchie varietà di alberi da frutto, una delle più importanti d’Europa.
Proseguendo il viaggio verso sud approdiamo a Manduria, nel cuore della terra del Primitivo. Qui visitiamo il Museo della Civiltà del Vino Primitivo, all’interno della storica Cantina Produttori di Manduria, la realtà cooperativa vitivinicola più longeva della Puglia.
Arriviamo quindi in Salento, terra del Negramaro, per degustare i vini della Cantina Moros a Guagnano. È Claudio Quarta, fondatore della cantina, ad accompagnarci in questo luogo affascinante, in cui vino e arte si intrecciano intorno alla doc del Salice Salentino.
L’ultimo tratto dell’itinerario ci porta sul mare, lungo la costa, dalla splendida riserva naturale di Torre Guaceto fino a Brindisi. Pedaliamo con il vento in faccia, a un passo dalle onde, mentre in testa risuonano le voci incontrate. Amore, terra, storia, natura, emozioni e alberi, sono le parole che si ripetono nelle interviste. Le stesse che ritrovate nella musica che accompagna il nostro racconto.
by Paola Piacentini
Trentino: come vivere la neve rispettando la montagna
E’ tornata la neve. E con lei la stagione invernale di chi vuole divertirsi con lei. Da qualche anno si registra la rivincita di uno sci minore, di quelle discipline un po’ sottovalutate, spesso bistrattate, frequentate soprattutto dagli appassionati dell’escursionismo e dello “slow ski”. Quelli che in montagna non cercano la velocità, ma il silenzio e la contemplazione della natura. Per loro il Trentino è un’ottima destinazione.
Una meta è il bosco di Fai della Paganella dove è nato il Parco del Respiro , un luogo aperto a tutti, dove l’unico biglietto che si deve pagare è costituito da “un patto”: quello di rispettare il bosco, perché ognuno di noi è responsabile della sua bellezza, della sua pulizia e della sua salute, solo così lui ci potrà rigenerare e fare stare bene come nessun altro posto sa fare.
Antonio Brunori ci parla delle foreste certificate PEFC (ovvero foreste gestite in linea con i più severi requisiti ambientali, sociali ed economici), come il bosco di Fai della Paganella. E di come si pratica correttamente il forest bathing.
Manuel Corso ci racconta come vivere la natura, con una serie di attività alternative allo sci di discesa, nel comprensorio di San Martino di Castrozza e Primiero: dalle ciaspolate guidati da guide alpine a passeggiate sulla neve in sella a un cavallo. O, più semplicemente, seguire le tracce degli animali selvatici nel Bosco di Paneveggio per ascoltare la ‘foresta dei violini’.
Alessandro Fantelli, direttore di Ursus Adventure , ci parla di astrotrekking, bushcraft, winter bike, sci alpinismo… tutte attività che si possono fare sulle nevi della Val di Sole .
E per una sciata senza sensi colpa? Gianni Baldassarri, direttore delle funivie di Pinzolo, ci parla del tentativo di non violentare la natura con gli impianti di risalita, sviluppando proposte diversificate e sostenibili, più vicine alla naturalità dei luoghi. E’ il caso delle Funivie di Pinzolo, che puntano alla neutralità carbonica. Insieme agli impianti di San Martino di Castrozza infatti sono certificate Si Rating per la sostenibilità ambientale, sociale e governance (Campiglio Dolomiti skiarea.)
Storie dalla Vallmaggia…
La Vallmaggia è una valle svizzera nelle immediate adiacenze del confine con l’Italia. E’ percorsa dal fiume Maggia, a cui deve il nome, e si sviluppa verso nord, per circa 50 km, tra Locarno e il Lago Maggiore. E’ la più grande delle valli della Svizzera italiana, incredibilmente verde, con boschi fitti che in estate offrono una piacevole ombra nella bassa valle. In autunno si assiste ad un’esplosione di colori, in particolare nella Valle di Lodano, le cui antiche faggete hanno ottenuto il riconoscimento di Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO.
Numerose le scoperte che si possono fare addentrandosi nella valle. A partire dalla Scalada Lónga, un autentico monumento della vita contadina del Ticino. Opera ciclopica frutto di ingegno e forza di volontà è un passaggio nelle gole di Campala, costeggiando Ri di Prato. “È davvero indescrivibile. Il sentiero prende d’assalto la roccia e pare una scala. Si compone or di pietra or di legno; talora vi si scorge la mano dell’uomo, tal’altra appare evidente il soccorso della natura” scriveva a fine Ottocento Federico Balli. E’ su questa Scalada Longa che Chantal porta le sue mucche durante la transumanza, un’avventura raccontata con poesia da Mario Donati e Valeria Nidola in “Mucche in volo” (Salvioni Edizioni), splendido libro illustrato per ragazzi.
La Vallemaggia è stata a lungo terra di emigranti che in California hanno ricostruito paesi con lo stesso nome di quelli che avevano lasciato in Ticino. A riprova delle loro nuove fortune, i più fortunati, hanno costruito enormi magioni per ostentare le loro fortune americane. Un esempio sono i Palèzz fatti costruire a Someo da facoltosi emigrati in California tra il 1875 e il il 1892 (cinque sorsero in due anni). Ne parliamo con Giaele Cavalli e con Elio Genazzi, presidente dell’associazione che gestisce il Museo di Valmaggia a Cevio.
A trovare gli emigrati valmaggesi stabilitisi in California ci andò anche Emilio Balli, durante il suo giro del mondo effettuato tra il 1878 e il 1879. Un’avventura la sua raccontata nelle sale del Museo di Valmaggia con una mostra che rimarrà aperta sino ad ottobre 2024.
Il progetto è stato reso possibile grazie alla messa a disposizione e apertura dell’archivio di Emilio Balli, per anni accuratamente conservato tra le mura domestiche e alla preziosa collaborazione della Facoltà di geografia e ambiente dell’Università di Ginevra. Ispirato dalla lettura del libro, fresco di stampa (1872), di Julius Verne, “Il Giro del Mondo in 80 giorni”, Emilio Balli venne attratto dalle inserzioni apparse sui giornali di un viaggio attorno al Mondo per studiosi. Dotato di grande spirito pionieristico, non esitò ad iscriversi. La circumnavigazione durò 472 giorni e non fu priva di imprevisti…
Giro dei laghetti Naret – Valle del sasso nero
Radicepura Garden Festival… e non solo
Mauro Corona, scrittore e alpinista, apre Onde Road di questa settimana ricordandoci l’importanza di saper ascoltare le piante. E anche di saperci parlare.
Una persona che sicuramente sa parlare con le piante (…e le ascolta da sempre) è il Cavalier Venerando Faro. Settant’anni ben portati, lavora con le piante da quando era ragazzino. Non è quindi un caso se oggi sovraintende il parco botanico più grande d’Europa. E’ ai piedi dell’Etna, al centro del Mediterraneo. Per la precisione è a Carruba di Giarre, a pochi chilometri da Catania. Da un lato la maestosità imponente del Vulcano, dall’altro il limpido mare azzurro della costa jonica. E’ partito vendendo piantine che coltivava a casa girando con una moto ape. Oggi dà lavoro a quasi 400 persone. La sua tenuta è di 650 ettari: 50 di vigneto, 100 di agrumeto e circa 500 di vivaio. C’è spazio anche per un museo-giardino open air: si chiama Radicepura. 3000 specie di piante, 5000 varietà. Palmeti e cactacee di straordinaria bellezza, ma anche un orto botanico dove si coltivano centinaia di esemplari di piante mediterranee monumentali, definite le “piante madre”, dal cui seme vengono riprodotte tutte le altre piante. Questo dà la possibilità di avere una banca semi di alta qualità, senza patogeni, con certificazioni controllate e integrate. Tra le varie iniziative il Radicepura Garden Festival : un evento internazionale, con cadenza biennale, dedicato al garden design e all’architettura del paesaggio del Mediterraneo che coinvolge grandi protagonisti del paesaggismo, dell’arte e dell’architettura, giovani designer, studiosi, istituzioni e imprese. Marta Palumbo della Fondazione Radicepura ci parla dell’edizione 2023 del festival (che il 3 dicembre decreterà il giovane paesaggista vincitore dell’edizione di quest’anno), mentre Linda Grisoli, autrice con Gordon Goh de “Alla mensa di Madre Etna”, ci racconta la loro creazione (un lavoro che celebra la ricchezza delle piante commestibili, raffigurando la grande interazione tra la selezione naturale e l’interferenza umana nel corso del tempo, che ha portato alla diversità ecologica di oggi).
La giornalista Emanuela Rosa Clot, direttrice della rivista Gardenia, ci regala qualche indirizzo dove trovare giardini eccellenti. Tra questi il Giardino di Ninfa a Cisterna di Latina e il Great Dixter Garden nell’East Sussex (UK), un giardino sempre in movimento, grazie al capo giardiniere Fergus Garrett e al suo team che, lasciandosi ispirare dai comportamenti delle piante, cambiano e migliorano il giardino della casa che fu del giardiniere e scrittore di giardinaggio Christopher Lloyd (1921-2006).
Il poeta e scrittore Tiziano Fratus, infine, ci suggerisce due alberi imperdibili nell’area milanese: il taxodium distichum (noto come cipresso calvo) ai Giardini Montanelli di Milano e il ficus millenario domiciliato nel Museo dei Bonsai di Parabiago.