Utilitarie

Come ci racconta Matteo Villaci, l’esperto di motori di Radio Popolare, le case automobilistiche non sono più interessate a produrre utilitarie. Eppure la dimensione e la cilindrata di un mezzo condizionano il nostro modo di viaggiare. Innanzitutto la moderata velocità permette di concentrarsi maggiormente sul paesaggio, scegliere percorsi alternativi evitando strade a forte scorrimento come le autostrade, attraversare borghi che altrimenti non si sarebbero mai incontrati, concedersi più tempo, apprezzare la lentezza di un’esperienza in qualche modo più intima alla ricerca di un approccio diverso al viaggio. Perché in questo modo tutto diventa elastico, un’auto lenta dà più spazio agli imprevisti, agli incontri fortuiti, e suscita simpatia nell’altro. Siamo costretti a lasciare a casa la fretta e il “tutto organizzato”: ci si può abbandonare alla sorpresa, all’inatteso, all’avventura.
Elisabetta Tiveron, scrittrice di luoghi e persone, per la collana «Piccola filosofia di viaggio» (edizioni Ediciclo), con il libro “Il talento delle utilitarie” racconta i pregi dell’errare su piccole auto, quelle che nascono già con una loro spiccata personalità, che impongono ritmi e sguardi diversi, che richiedono di lasciare a casa la fretta, amano le strade secondarie, sono tue complici, amiche, compagne.
L’ideale, a bordo di una utilitaria, è percorrere quelle che gli americani si chiamano Blue Highway. «Un tempo, sulle vecchie cartine d’America, le strade principali erano segnate in rosso e quelle secondarie segnate in blu. Adesso i colori sono cambiati. Ma subito prima dell’alba e subito dopo il tramonto – brevi istanti né giorno né notte – le vecchie strade restituiscono al cielo un poco del suo colore, assumendo a loro volta un tono misterioso di blu». E’ su queste Strade Blu che si svolge il viaggio di tre mesi di un solitario mezzo pellerossa che, rimasto privo del suo lavoro e della sua donna, va a ricercare un poco di interesse alla vita in un itinerario circolare che lo porta da Columbia, Missouri a Columbia, Missouri, attraverso le Caroline, il Texas meridionale, lo stato di Washington, il Montana e il New England. E ritrova, ricostruisce, riscopre, l’America periferica.
Ne è nato un libro imperdibile: “Strade Blu” di William Heat-Moon (Einaudi).
Tra le utilitarie mitiche un posto di tutto rispetto spetta alla Renault 4, detta Marie Chantal. Quando debuttò nel Grand Palais di Parigi, dissero che sarebbe stata l’auto di tutti. E quella R4 color amaranto, modello Export, acquistata nel 1971 da Filippo Bartoli, divenne di tutti. A partire dal momento in cui, il 9 maggio 1978, dopo 253.839 chilometri di vita, smise di respirare insieme al corpo che trasportava. Lui era l’uomo più importante d’Italia. Lei l’auto più venduta di Francia. Era nata a Billancourt, la fabbrica parigina che aveva modellato il volto di una nazione. Nelle sue officine avevano lavorato il leader cinese Deng Xiaoping, il fotografo Robert Doisneau, la filosofa Simone Weil, il cantautore Georges Brassens e persino Gusztáv Sebes, l’allenatore della Grande Ungheria. Ma non solo loro. Dentro quegli stabilimenti, germogliati nel giardino della madre di Louis Renault, si erano mosse altre esistenze destinate ad attraversare due conflitti mondiali, la Guerra fredda, il Sessantotto, la crisi economica e la lotta armata. Seguendo quel filo lunghissimo che lega un’origine a un epilogo, Piero Trellini in “R4 – Da Billancourt a via Caetani” (Strade Blu – Mondadori) ci trascina in un incredibile viaggio, dentro una storia che va vista dal basso, dove sono i fari delle auto a guidarci. Lungo il percorso ogni cosa si collega. Si rincorrono i pensieri di Henry Ford, Adolf Hitler, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Clare Boothe Luce, George Marshall, Eduardo De Filippo, George Patton, Jean-Paul Sartre, Le Corbusier, Giangiacomo e Inge Feltrinelli, Sandro Pertini, Renato Curcio, Pier Paolo Pasolini, Henry Kissinger, Paolo VI, Aldo Moro e molti altri. Sarà la lenta trasformazione delle loro teste, attraverso una catena invisibile di anelli, a deviare la storia, portando quell’auto e quei pensieri a respirare la stessa aria e a intraprendere il medesimo tragitto…

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