Le strade di Moulana e di San Francesco

Maulānā Rūmī, definito “il San Francesco dell’Islam” nacque il 30 setttembre 1207 a Balkh, nella regione del Khorasan, oggi Afghanistan. La città, importante tappa lungo la Via della Seta, rappresentava il crocevia dove confluivano uomini e culture diverse, in una zona a cavallo tra il mondo persiano, quello turco, cinese e indiano. Il carattere cosmopolita della città, insieme alla figura del padre, un ortodosso dottore della legge islamica, contribuirono a forgiare la personalità di Rūmī. Rumi significa “il Romano”, di lì la possibilità che sia stato anche in Italia. Maulānā è stato il più grande mistico e poeta sufi in lingua persiana, famoso per i suoi testi e per il suo poema epico didattico Mas̄navī-yi Maʿnavī (“Distimi spirituali”), che influenzò ampiamente il pensiero mistico e la letteratura in tutto il mondo musulmano.

Nella vita assai breve, dal 1182 all’ottobre del 1226, soli 44 anni, San Francesco aveva trovato anche il tempo per un viaggio in Oriente in occasione della quinta Crociata. Un viaggio dove incontrò Malik al-Kamil, il Sultano d’Egitto, “il sovrano perfetto”. Re saggio e dotto, qualche storico asserisce che fosse un Sufi. Sono sconosciute le vere ragioni di un viaggio così impegnativo.
Da scartare le riletture che cercano di far passare S.Francesco per un sostenitore delle crociate o, per lo meno, che il santo le potesse avvallare in qualche modo. Sono probabilmente da privilegiare le ragioni di pace che si ispirano alla famosa prima Regola, del 1210, che recita: “quando i frati vanno per il mondo, non portino nulla per il cammino, ne’ sacco ne’ borsa ne’ pane ne’ bastone. E in qualunque casa entreranno, dicano per prima cosa: pace a questa casa…”. Le fonti storiche ricordano come Francesco si sia recato più volte dinnanzi ai pontefici del suo tempo per predicare la pace, e per chiedere il loro consenso ai suoi progetti di missione apostolica pacifica presso i saraceni. Giunti nel campo dei crociati Francesco e i suoi compagni predicarono contro le Crociate. Sembra infatti che, nelle sue prediche, Francesco sostenesse la necessità di procedere a trattative di pace, suscitando l’ira del bellicoso delegato pontifico Pelagio Galvan, che rifiutò la proposta di trattativa di Malik al-Kamil , spingendo i Crociati ad una guerra che si concluderà poi con la disfatta totale ponendo le basi per la fine dell’era delle Crociate.

Nel 1216 Rûmî parlò a Damasco con il grande mistico e teologo musulmano Îbn âl`Arabî; e con Îbn âl`Arabî san Francesco si intrattenne a Damietta nel 1219, quando si recò alla corte del sultano, ove incontrò vari Sufi, conversando a lungo con loro. Ma non fu questo un primo incontro: già nella primavera del 1214 san Francesco aveva conosciuto dei Sufi nella Spagna musulmana e in Marocco. In ogni caso gli elementi Sufici trasudano molteplici in vari ambiti della vita di S.Francesco e molte sono le affinità con il grande Maulānā Rūmī. Un esempio tra i tanti: S.Francesco iniziava le sue predicazioni dicendo ‘La pace di Dio sia con voi’. La classica forma di saluto araba…

Musiche originali di Yalda Masoodnia e dell’ensamble persiano Avinar. Presentazione del disco “Il visionario (Francesco d’Assisi)”, il lavoro con cui Patrizia Cirulli reinterpreta in chiave acustica “L’infinitamente piccolo”, un album di Angelo Branduardi nel quale il cantautore musicò le Fonti Francescane, raccolta di testi di Francesco e Chiara d’Assisi. Patrizia rilegge in chiave femminile il ‘Cantico delle Creature’ e ‘Audite Poverelle’ a 800 anni dalla composizione.

In cammino in Sardegna

Questa puntata è a cura di Paola Piacentini

Ci mettiamo in cammino in Sardegna, per scoprire il territorio di Luogosanto, un piccolo paese della Gallura pieno di storia e spiritualità, da secoli meta di pellegrinaggi. Siamo sulle pendici del monti Ghjuanni e ci muoviamo lentamente in un paesaggio verdeggiante, dominato da spettacolari panettoni di granito, querce di sughero millenarie, chiese campestri, tracce di siti nuragici e stazzi, i tipici insediamenti rurali del gallurese. Il mare dista solo una ventina di chilometri ma la vita turistica della costa non sembra sfiorare Luogosanto.

Un incontro alla volta, ascoltando le voci degli abitanti e le nostre guide, entriamo in contatto con le tradizioni del posto che, seppur antichissime, continuano ad animare e a scandire la vita del paese. Il perno della comunità è infatti la Basilica di Nostra Signora di Luogosanto, fondata dai primi frati francescani arrivati sull’isola e celebrata con la festa manna, la grande festa di inizio settembre.  A farci viaggiare nelle sonorità tradizionali è il maestro Peppino Bande che con il suo organetto diatonico accompagna il danzatore Alessandro Secchi e il gruppo folk locale “Civitas Mariana”.

Inoltre, scopriamo anche il lato sportivo di Luogosanto, “paradiso dell’arrampicata”. Infatti nel 2015 è stata aperta una zona di allenamento per bouldering nel parco delle Tre cime, a ridosso del paese, dove sono stati puliti e segnalati un centinaio di massi millenari con varie difficoltà d’arrampicata. E sono proprio gli sport – il trekking, l’arrampicata, il kayack – ma anche certamente i cammini, a offrire delle opportunità alle aree interne dell’isola che tra l’altro vivono il problema dello spopolamento.

Da Luogosanto partono diversi itinerari che portano a siti storici, naturalistici e religiosi suggestivi, come l’eremo di San Trano ricavato nella pietra granitica, i ruderi del Palazzo di Baldu con la chiesetta di Santo Stefano, i resti del castello di Balaiana, sulla sommità del colle di San Leonardo o l’incantevole vallata di Crisciuleddu, dove – per la felicità di chi è appassionato di silvoterapia! – si può abbracciare una quercia da sughero monumentae dal diametro di 4 metri, uno degli esemplari piú imponenti di questa specie. 
Altro buon motivo per fare tappa da queste parti è la cantina delle vigne di Piero Mancini , nota per il Vermentino di Gallura DOCG, di cui ci racconta Laura Mancini.

Da tre anni a questa parte, grazie al progetto Noi camminiamo in Sardegna , la Regione si sta impegnando a promuovere un modello di turismo lento e consapevole legato ai cammini percorsi nel corso dei secoli da pelligrini e a destinazioni come Luogosanto, in cui la dimensioni spirituale si intreccia con quella culturale. Ce ne parla Luca dei Cas, responsabile del settore cammini di Terre di Mezzo, casa editrice che sta lavorando accanto all’Assessorato del Turismo della Regione Sardegna.

Ph Federica Serra/Noi camminiamo in Sardegna

L’Irlanda a Dublino e a… Milano

Il TradFest è una gioiosa celebrazione della musica e della cultura irlandese che si svolge ogni gennaio a Dublino, in Irlanda. Una possibilità invernale di scoprire la musica dal vivo nei migliori locali del centro di Dublino e immediata periferia. Sale da concerti, auditorium, locali, chiese… Quest’anno c’era addirittura un concerto di blues, con Eric Bibb, nella cattedrale di St Patrick. Ovvero la musica del diavolo in casa del Signore. Tra le tante iniziative anche una serata LGBTQ+ di musica tradizionale irlandese. E’ il Pride Géili, un evento che è parte integrante del Dublin Pride Festival.
I Windmill Lane Recording Studios sono degli storici studi di registrazione aperti nel 1978, che oggi hanno la loro sede nella zona portuale di Dublino, e a differenza dei monoliti di vetro e acciaio dei giganti della tecnologia che la circondano sono ospitati in un iconico edificio Art Dèco che un tempo era la centrale elettrica per il deposito della linea tramviaria.  La struttura attuale ospita tre studi di registrazione all’avanguardia, e lo studio più grande può ospitare un’orchestra di 80 elementi. Dal rock al rap, dagli AC/DC a 50 Cent, da Kate Bush ai Def Leppard, dai Waterboys a Steve Winwood (solo per fare alcuni nomi) superstar globali e talenti locali vengono qui a registrare i loro lavori. Una scene di The Commitment, il film di Alan Parker su come formare un gruppo musicale, non poteva che essere stata girata qui. Quello che rende i Windmill Lane Recording Studios un luogo unico e stimolante da visitare è la possibilità di esplorare gli stessi studi sperimentati dai migliori musicisti del mondo. Il gigantesco mixer, con le sue lucette che si spengono e accendono, sembra l’albero di Natale del Rockfeller Center. Incredibilmente nella stessa stanza se, nei pressi del mixer, ti abbassi alle tue orecchie il suono cambia. L’ho sperimentato con Avalon, il celeberrimo brano dei Roxy Music di Bryan Ferry e mi è sembrato addirittura di intravedere l’isola che non c’è. E giuro che non avevo fumato niente. Quando poi si arriva davanti al muro degli autografi dei musicisti che son passati da lì e sullo stipite di una porta ho visto, a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, gli autografi di Bruce Springsteen e di Laryn Hill ho vissuto la stessa emozione che si prova davanti a un Caravaggio.
L’Irish Rock’n’roll Museum Experience è un’eperienza divertente. Sito nel cuore del quartiere culturale di Dublin Temple Bar, racchiude tutto ciò che riguarda l’opulenta industria musicale irlandese degli ultimi 30 anni. E’ un’opportunità unica di andare dietro le quinte di un vero e proprio luogo dove è nata molta della  musica che amiamo. Una sorta di Betlemme dell’Irish Music.  Chitarre firmate, amplificatori stonati, mixer manipolati più di quello dello studio 5 di Radio Popolare, le Gibson SG di Frank Zappa ed Eric Clapton… e un’inter stanza dedicata a Phil Lynott, uno dei patriarchi del rock ‘n’ roll irlandese.

Dal 9 al 17 marzo 2025, in occasione delle celebrazioni di San Patrizio, torna a Milano (ma anche a Genova e Livorno) la quarta edizione della Ireland Week, un evento diffuso con un calendario ricco e coinvolgente, che ha la mission di diffondere una cultura irlandese trasversale, portando tradizione, arte e innovazione in ogni angolo della città. Torna “A Taste of Ireland”, il food festival che invita alla scoperta degli ingredienti pregiati dell’Isola di Smeraldo. Tema in evidenza della settimana irlandese anche la sostenibilità con un focus sul cicloturismo. E all’Anteo Palazzo del Cinema andrà in scena la rassegna ‘Ireland Film Festival’ con la possibilità di vedere al cinema film in lingua originale. Programma e calendario completi degli eventi su irelandweek.it

Come va a Cuba?

Andrea Cegna, reduce da un viaggio a Cuba con gli ascoltatori di Radio Popolare, ci regala alcune pagine del suo diario di viaggio: “Cuba ti entra nel cuore. Quando arrivi la prima volta ti cattura per la sua bellezza, per la stravaganza della sua popolazione, per la forza, per il coraggio e per la sua storia rivoluzionaria che se pur acciaccata continua a vivere. Cuba è così: ti avvolge e ti cattura, ti perdi per le vie dell’Avana e per il mare dei Cayos, cammini e scopri piante, fiori e animali. Il suo passato coloniale rimane impresso in case e monumenti così come l’orgoglio anti-coloniale batte nei cuori, anche in quelli che sono più che critici con il presente dell’isola. Josè Marti e Fidel Castro sono giganti ricordati con gioia, il bloqueo statunitense è pesante e condiziona la vita del paese così come gli errori che dal 1959 sono stati fatti, perché pensare che i problemi energetici e sociali di Cuba siano solo colpa degli USA è assolvente e non veritiero. Andare in giro per l’isola è fantastico perché la sicurezza la respiri assieme alla libertà e all’unicità culturale che fanno di Cuba un posto magico e ricco di quella ricchezza che non si misura in Pesos, Euro o Dollari. La musica è presente in ogni angolo, e i giovani e le giovani si aprono le loro storie e strade a suon di reparto che si scontra con la musica tradizionale. E’ un luogo contraddittorio perchè imperfetto ed è quindi un posto dove l’umanità è ben più presente dell’economia. Andare a Cuba è bello e necessario, urgente perché il rischio che il capitale trionfi e cancelli l’unicità di un luogo che non va mitizzato, ma vissuto e capito per non ricadere negli stessi errori”.

Sara Milanese intervista, davanti al monumento al treno di Santa Clara, il Capitano Mario, un signore di 93 anni, dallo sguardo limpido e l’andamento fiero nonostante l’età, che ha combattuto al fianco di Che Guevara nell’assalto al convoglio dei lealisti. Il Capitano Mario ci racconta il suo ruolo nella battaglia, avvenuta tra il 29 dicembre del 1958 e il 1 gennaio del 59, che ha segnato un importante primo passo per la debacle del regime di Batista.

Alfredo Somoza analizza la situazione attuale di Cuba: cosa cambierà con la presidenza di Donald Trump e che futuro immediato si prospetta per il popolo cubano e per il governo attualmente al potere.

Laura Putti ci introduce alle pagine di “L’Avana mi parla”, uno splendido romanzo di Antòn Arrufat (Ventanas edizioni). Un nonno e un nipote passeggiano per le strade dell’Avana alla ricerca degli scrittori e dei poeti attraverso i palazzi in cui abitarono, i salotti in cui si riunirono in interminabili tertulias.

Andarocco

L’Andarocco, una crasi tra Andalusia e Marocco, sarà la meta del viaggio con gli ascoltatori della radio dal primo al 10 aprile.

Granada. Il passato andaluso e il mondo di Federico Garcia Lorca. Il Sacromonte, il quartiere gitano famoso per le sue case-grotte scavate nella roccia. Oggi le più famose sono la Cueva de María la Canastera o la Cueva de La Rocío. Entrambe sono dedicate alle zambras, un’ibridazione tra la danza del ventre e il ballo flamenco. Un mix tra la cultura gitana, con le vestigia della cultura musulmana, in una sorta di matrimonio gitano rappresentato, senza tablao, né palco, in cerchio, molto vicino allo spettatore. Il tutto dentro grotte bianche e spaziose, ornate da vasi di rame lucente.
Ci sarà anche il tempo per una birretta in Placeta Joe Strummer, ascoltando assieme una canzone dei Clash. Strummer conosceva bene Granada, non solo per averla menzionata nel brano Spanish Bombs (da London Calling), ma anche per aver cominciato a frequentarla dal 1983, dopo l’uscita del chitarrista Mick Jones dai Clash. In quel periodo, Strummer si trovava in città per produrre l’album della band spagnola 091, che aveva conosciuto in uno squat a Londra.

Marinaleda. Un paesino dell’Andalusia nella provincia di Siviglia, baciato dal sole come molti altri affascinanti pueblos blancos del sud della Spagna. La sua specificità è la storia socio-politica che l’ha trasformata in una piccola enclave socialista andalusa. Tutto inizia nel 1979 con il sindaco Juan Manuel Sanchez Gordillo, a capo del movimento Izquierda Unida. Un sistema economico basato sull’eguaglianza e sulla condivisione di risorse. L’esproprio della terra ai latifondisti, trasformata in bene comune. L’edilizia popolare (affitto della casa a 15 Euro) e l’esperienza della domenica roha. Quota mensile dell’asilo nido comunale: 12 euro a bambino, inclusi pranzo e colazione…

Siviglia. La città d’Europa con il maggior numero di strade dedicate alla Madonna: 48 tra vie e piazze. Ma nell’Alcazar ha eretto un monumento a un monarca musulmano di tanto tempo fa, la cui stele recita: “La città al suo re Almutamid Ibn Abbad. 900 anni dopo”. Un’attenzione per la propria storia che induce Siviglia a conservare gelosamente antichi colori e profumi: il giallo e il blu delle maioliche, il bianco accecante delle case andaluse, le scie di arancio e di incenso che da giardini e cattedrali si spandono su strade e piazze, come in tutti i paesi in cui si prega molto e si pecca di più. Il peccato di gola più reiterato è legato alla liturgia delle tapas: una transumanza che porta i sevillani da un bar all’altro, consumando piccoli spuntini accompagnati da un bicchiere di vino o da una cervesita. Un rito che annovera più fedeli di quelli delle processioni della Settimana Santa… Gli indirizzi ‘segreti’ per i fondamentalisti del flamenco nuevo e La Carboneria, ex deposito di carbone, oggi luogo per jam session flamenche.

Tangeri. “Quando (il vento) arriva a Tangeri si mette a girare in tondo e non sa più da che parte andarsene”. Sono parole di Tahar Ben Jelloun in “Giorno di silenzio a Tangeri”. Ed è proprio il vento la prima presenza tattile in cui ci si imbatte entrando nella Città Bianca. Le folate del chergui, il vento dell’est, veicolano anche le note delle mille musiche che in questo lembo di terra, che non è più Europa e non è ancora Africa, hanno avuto i natali. Musiche che hanno la capacità di essere moderne e nel contempo evocatrici di un lontano passato. Una dicotomia che vive ovunque nella città e che si respira nel suq, in particolare il giovedì e la domenica, quando dalle montagne scendono le contadine per cercare di vendere le proprie mercanzie…

Qui le info per il viaggio: https://www.viaggiemiraggi.org/viaggio/viaggio-in-spagna-e-marocco-traversata-arabo-andalusa-con-radio-popolare/

Incontri nelle strade del Senegal

E’ un parziale diario di viaggio di una decina di giorni in Senegal, lo scorso ottobre, con alcuni ascoltatori di Radio Popolare. La serata musicale lungo la Corniche des Almadies a Dakar. E’ un open mic: alle 19 microfono aperto a tutti coloro che vogliono esibirsi, alle 21 jam con artisti professionisti. Definire Mohamed Lamine Souman, l’organizzatore / presentatore della Jam Academy,“un entusiasta” è troppo poco…  Non sono mancati scampoli del viaggio dedicati alla natura, come l’escursione nella Riserva Nazionale degli uccelli di Djoudi, un parco lungo le rive del fiume Senegal dove vivono 400 specie di uccelli (tra cui una foltissima colonia di pellicani). E giusto mentre ci si dirigeva verso il parco abbiamo trovato il tempo di passare una mezza giornata a Savoigne, una località in mezzo al niente.  E’ qui che Emanuele Zanaboni, religioso dell’Ordine dei Fatebenefratelli, nel 1996 fondò  la comunità di San Biagio, che include una scuola professionale, dove i ragazzi realizzano statuine in gesso, intagliando, per esempio, i pastori per i presepi, ma anche statuine di calciatori del ns campionato.
Saint Louis, situata alla foce del fiume Senegal, si sviluppa in parte su un’isola dove c’è il centro storico più antico, collegato con la terra ferma con un ponte arrivato qui per errore (avrebbe dovuto finire sopra il Danubio). Nelle strette vie perpendicolari e parallele del centro si può ammirare la tradizionale architettura coloniale, con splendidi palazzi costruiti dal 1659 in poi, anno in cui i Francesi sbarcarono in Africa Occidentale. E’ in alcuni di questi palazzi che il MuPho, Musée de la Photographie de Saint-Louis , ospita la mostra fotografica di cui ci parla Luigi Gavazzi, uno degli ascoltatori della radio che ha partecipato al viaggio.
Nuova tappa: il Delta del Sine Saloum, un territorio inviolato, dichiarato Parco Nazionale nel 1976, dominato da foreste di mangrovie e possenti baobab, regno incontrastato degli uccelli. Nel villaggio di Dangane ci siamo imbarcati su una canoa ed esplorando la regione, avendo come colonna sonora solo il fruscio dell’acqua e i richiami dei volatili, abbiamo raggiunto l’isola di Mar Lodj. Qui abbiamo visitato anche un souk ‘socialista’. Quando ci siamo arrivati ad attenderci c’era un drappello di signore, le titolari dei banchetti che esponevano le merci in vendita. Ognuna di loro ha preso uno di noi e lo ha accompagnato in giro per il souk. Niente concorrenza sfrenata, niente gara a chi urla di più. Vera cooperazione…  Toubab Dialaw invece è un villaggio di pescatori situato lungo la Petite Côte, un fazzoletto di costa affacciata sull’Oceano Atlantico, che si estende per circa 100 km a sud di Dakar. Frequentato sia dai Dakarois (gli abitanti di Dakar) che da espatriati in cerca di un luogo tranquillo per i loro momenti di relax o gli anni della beneamata pensione, è caratterizzato da una lunga spiaggia di sabbia fine e basse scogliere la cui esistenza è fortemente compromessa dalla costruzione del mega porto di Ndayane, che dovrebbe essere ultimato entro il 2026.   Due villaggi collegati da un ponte, Joal sulla terraferma e Fadiouth su isolotto lungo 500 m,  costituita da un accumulo di conchiglie che si sono depositate nel corso dei secoli.  Joal è entrata nella storia del Senegal avendo dato i natali a  Leopold Sedar Senghor, uno dei padri della negritudine, che ha lasciato un profondo segno nella politica e nella letteratura, africana e non. Fadiouth, oltre che per le conchiglie, è famosa per le sue case a due piani, per le sue palme da datteri e da cocco, e per le sue “tanns”..: deliziose piccole ostriche che vivono tra le mangrovie.
Sulla strada del ritorno verso l’aeroporto, una delle ultime tappe è stata la visita in un centro che accoglie i bambini talibè: circa 50 mila bambini che in Senegal passano le loro giornate a mendicare per strada, a chiedere l’elemosina costretti dai loro maestri delle scuole coraniche.  Ne parliamo con Maria, coordinatrice di La Maison des Enfants , una organizzazione di volontariato che opera nella comunità di Mbour, un’ottantina di km a sud di Dakar.

Geografie friulane di Pier Paolo Pasolini

Chi parte da Venezia, dopo un viaggio di due ore giunge al limite del Veneto e, per dissolvenza, entra nel Friuli… E’ cessata sulla Livenza la campagna dipinta da Palma il Vecchio e da Cima. Le montagne si sono scostate, a nord, e appiattite a colorare il cielo di un viola secco, con vene di ghiaioni e nero di boschi appena percettibile contro il gran velame; e il primo Friuli è tutto pianura e cielo. Poi si infittiscono le rogge, le file dei gelsi, i boschetti di sambuchi, di saggine, lungo le prodaie… Ma è specialmente l’odore – che fiotta dentro lo scompartimento svuotato – a essere diverso. Odore di terra romanza, di area marginale…”. E’ un estratto da “Un paese di temporali e di primule”, un’antologia di scritti di Pier Paolo Pasolini (1945-51). Un’ottima lettura per chi oggi, in occasione del cinquantesimo della morte del poeta, volesse percorrere quelle geografie friulane che per Pasolini erano la patria di un’umanità arcaica e innocente. A Casarsa della Delizia, paese natale della madre, dopo averci trascorso per anni le vacanze estive, visse dal 1943 al gennaio del 1950, dopo essere sfollato da Bologna in seguito all’8 settembre. Ed è in questo borgo sul confine tra la bassa e l’alta pianura, equidistante dall’arco alpino e dal mare Adriatico, che nel locale cimitero riposa in compagnia dei suoi familiari. Incollata alla sua tomba, quella della madre. Qualche metro più distante, le spoglie del padre e del fratello Guido Alberto. Casa Colussi, la casa materna, oggi è sede del Centro Studi Pier Paolo Pasolini. Nell’ottobre ’44 il pericolo dei bombardamenti che minacciavano Casarsa costrinsero il poeta e la madre a sfollare a Versuta, una frazione tre km a sud-est. Andarono a vivere nella stanzetta di un casolare adiacente alla piccola chiesa e quando presero atto che i ragazzini di Versuta non potevano recarsi a lezione nei vicini paesi decisero di aprire una scuola popolare. Pier Paolo usò come aula scolastica, per i più grandi, la stanzetta dove si svolgeva la quotidiana vita domestica, mentre Susanna con i più piccoli occupò una cantina al pianterreno. Poco lontano, in mezzo alla campagna, c’era uno di quei casolari – casèl – utilizzati dai contadini come ricovero per gli attrezzi che, nelle belle giornate, divenne un’aula scolastica in cui Pasolini teneva lezione ai suoi allievi. Oggi è un rudere coperto d’edera in mezzo a una vigna.  La didattica alternativa che Pasolini adottò per i ragazzi di Versuta la esportò anche nella scuola media statale di Valvasone dove insegnò dal 1947 all’autunno 1949.  Innamoratosi della laguna di Grado, nel 1969 decise di girarvi alcune scene del film Medea, una pellicola che aveva come protagonista Maria Callas. E in compagnia del grande soprano (ma anche di altri attori, gente del cinema e amici), dopo aver navigato tra lingue di sabbia, isole e isolette, si spingeva spesso sino a Mota Safon, un ‘casone’ piantato in mezzo alla laguna, isolato e fuori dal mondo, frequentato tutto l’anno da numerosi cigni, e in inverno anche da anatre e germani reali.

Sono tutte mete che visiteremo con gli ascoltatori di Radio Popolare dal 3 al 6 marzo (qui i dettagli del viaggio).  Altra meta di questo viaggio sarà il Palazzo del Fumetto di Pordenone, dove incontreremo DavideToffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti, autore di una graphic novel su Pasolini. Il viaggio si chiuderà con un’incursione ad Aquileia ed alla caserma Piave di Palmanova, scenario di una delle più feroci repressioni antipartigiane.

turismofvg.it

 

Lisbona e Algarve orientale

Tino Mantarro, autore di “E Lisbona sfavillava. Mosaico urbano in forma di reportage” (Bottega errante Edizioni), ci parla della luce di Lisbona. Una luce eccessiva, onnipresente, di un nitore che quasi ferisce gli occhi. Così unica che i portoghesi che vivono all’estero ne provano subito nostalgia. Il rapporto tra questa luce e gli azulejos, le famose piastrelle di ceramica decorate, e la loro genesi. Alcuni dei più affascinanti miradouro, i punti panoramici dove guardare Lisbona dall’alto.

In Algarve sbarchiamo all’aeroporto di Faro, meta di economici voli low cost. Ad attirare maggiormente l’attenzione in questa città sono i più di 500 edifici della metà del secolo scorso, la più alta concentrazione nell’Europa meridionale. Apparentemente davanti a Faro sembra che ci sia  solo il mare. Ma c’è qualcos’altro che non è così evidente a prima vista: l’insieme di isole che compongono il Parco Naturale di Ria Formosa e che fungono da barriera tra la costa e le acque dell’oceano. Come una trapunta patchwork, la riserva di Ria Formosa unisce zone di paludi, dune, banchi di sabbia, corsi d’acqua dolce, banchi di limo… ognuno con la sua particolare comunità biologica. Oltre alla pesca, tra le attività tradizionali delle popolazioni della Ria vi sono l’estrazione del sale e la raccolta di molluschi e bivalve, con cui, con arte e sapienza, sono stati create deliziose specialità gastronomiche, come le amêijoas à Bulhão Pato (vongole cotte con aglio, olio d’oliva e coriandolo) o l’arroz de linguerão (riso con cannolicchi).  Da ovest a est si susseguono lingue di sabbia e una serie di piccole isole dai lunghi arenili poco frequentati. Tra queste Culatra, dove la comunità locale ha deciso di prendere in mano il proprio futuro. Per farlo cerca di introdurre un sistema decentralizzato di produzione di energia elettrica e lavora per salvaguardare uno spirito comunitario che metta al centro dello sviluppo il benessere dei residenti. Ne parliamo con Diana Nunes di pt4u.pt , un’agenzia che organizza escursioni di turismo responsabile all’interno del Parco Naturale di Ria Formosa.
Tornati sulla terra ferma, proseguendo verso oriente, si incontra una serie di realtà che meritano di essere scoperte. Come Olhão, una cittadina abitata da pescatori, dove due edifici in mattoni rossi, sormontati da cupole verderame, ospitano un mercato per la frutta, la verdura e la carne e un altro  destinato al pesce. Tavira, un borgo costruito su un’urbanistica serrata, con strade strette con porte e sbarre di legno che lasciano passare l’aria e ci ricordano il suo passato di medina musulmana. Qua e là si trovano tracce di antiche moschee, fortezze e un ponte che, anche se si dice sia romano, in realtà fu costruito quando nella regione si parlava arabo. Il paesaggio bucolico delle saline e paludi della Reserva Natural do Sapal de Castro Marim e Vila Real de Santo António, che oggi occupa quella che quattro secoli fa era una terra di nessuno. Una terra bella e pacifica, ora abitate da cicogne, svassi e fenicotteri.

visitportugal.com/it

Dove si suona?

Con Giordano Casiraghi sfogliando il suo “Che musica a Milano. Luoghi e ritrovi storici raccontati dai protagonisti della scena” (ZONA, 2014)” ripercorriamo locali storici, club, bar, trattorie, night, cabaret, ritrovi alternativi, teatri, palazzi dello sport, palchi a cielo aperto dove si poteva ascoltare musica dal vivo a Milano. Linda Lucini evoca la leggenda del Folk Studio di Roma, l’ennesimo locale che ha abbassato le serrande per sempre. Percorriamo le geografie dei ‘defunti’ locali della swinging London e a Liverpool incontriamo un ragazzo di Treviso che lavora nel locale che, adottandone il nome, è sorto nelle immediate vicinanze dello storico Cavern che aveva ospitato i primi Beatles. Strage di locali anche a Reykjavik in Islanda. L’ultimo è stato il Kex, che ha abbassato le saracinesche l’ultima volta alla fine dello scorso agosto. Tra le vittime illustri, spesso frequentati da star locali come Bjork e Sigur Ros, citiamo il Sirkus, il Nasa e il Factory: tutti e tre sono stati sostituiti da alberghi. A Berlino hanno chiuso storici locali come il Watergate, il tempio della musica elettronica. Dopo la caduta del muro, nel 1989, furono tantissimi gli edifici convertiti in club. La fama del Tresor o del Berghain, locali ricavati da vecchi scantinati o da edifici industriali abbandonati, si è rapidamente diffuso anche fuori Berlino. Con i voli low cost, i turisti arrivavano in massa, anche solo per il fine settimana. La scomparsa di diverse compagnie aeree low cost, tra cui Air Berlin, e la speculazione immobiliare hanno ridimensionato tutto.

Negli ultimi anni, parallelamente alla crisi dei locali per i giovani artisti in cerca di farsi conoscere, il business vola in compagnia dei cosiddetti headliner, ovvero i grandi artisti in grado di richiamare un pubblico di massa. Per loro non è un problema andare in tour, perché riescono tranquillamente a sostenere i costi degli spostamenti, cosa che i musicisti di medio livello faticano a fare. Le multinazionali come Live Nation, avendo sotto contratto le star internazionali, riempiono stadi, arene e palasport. Il loro fatturato ha raggiunto i  22.7 miliardi di dollari.  I locali più piccoli, come detto, faticano ad arrivare a fine mese, anche quando i concerti sono esauriti. Lo dimostra il fatto che solo nel Regno Unito ben 125 locali hanno abbandonato la musica dal vivo nel 2023. Nel 2024 la moria è continuata. La causa va ricercata, oltre   ai postumi del Covid, nell’impennata dei prezzi degli affitti e dell’energia.

Che fare? Direbbe Lenin. In Francia, per difendere i piccoli locali, hanno creato un fondo centralizzato di circa 20 milioni annui a cui i locali, gli artisti e i promoter possono attingere. C’è anche un secondo fondo finanziato da un prelievo  sul valore lordo dei biglietti venduti nelle grandi sedi dei concerti. In Inghilterra ci stanno pensando gli artisti. Lo scorso febbraio la metal band britannica degli Enter Shikari ha deciso di donare una sterlina per ogni biglietto venduto per il loro spettacolo in una arena. I Coldplay, una band che è arrivata al successo mondiale grazie alla frequentazione dei piccoli club, hanno deciso di fare di più: il 10% dei guadagni dal tour inglese del prossimo agosto andrà al Music Venus Trust, un’organizzazione di beneficenza che mira a proteggere e migliorare i locali musicali del Regno Unito. E in Italia? Tranquilli: nessuna legge difende i piccoli locali e nessun artista ha per ora pensato di fare qualcosa… In attesa che qualcosa si muova  è in corso una raccolta di testi, immagini, brevi video per raccontare la storia del nostro “club del cuore” e dei tanti club di musica live che per molti di noi – musicisti, gestori o semplici appassionati – sono stati o continuano ad essere “casa”.
Vanno inviati a danielabonanni52@alice.it

Asturie e Cantabria

Tra le 108 statue sparpagliate per la città di Oviedo, nelle Asturie , salta agli occhi quella di un uomo circondato da valige che ha gli occhi rivolti verso la cattedrale. Intitolata Il ritorno di Williams B. Arrensberg, ma meglio nota come la statua del viaggiatore, è un monumento ai tanti migranti che lasciarono la Spagna. Il Nord del paese, in particolare le regioni delle Asturie e della Cantabria , ospita un ricchissimo patrimonio architettonico e culturale legato alle storie degli indianos. Ovvero i migranti partiti per le Americhe, di solito del Sud e Centrale, e ritornati con delle piccole fortune che usavano per costruire ville incredibili, ma anche servizi per i villaggi che avevano lasciato in cerca di un futuro migliore.
Un patrimonio diffuso che oggi viene valorizzato anche grazie a fondazioni e musei. E’ il caso dell’Fundación Archivo de Indianos – Museo de la Emigración – Inicio,  ubicato  nella villa a tre piani “Quinta Guadalupe” di Colombres. Una casa di ispirazione cubano-messicana costruita a inizio novecento per Iñigo Noriega Laso, un personaggio davvero particolare che vantava un’amicizia niente meno che con il presidente del Messico.  Tra le perle delle Asturie, una regione bellissima, incastonata tra le montagne e l’oceano, doverosa una tappa a Lastres: un vecchio villaggio di pescatori abbarbicato sulle scogliere, dove una vecchia casa di indianos è stata trasformata in un hotel-ristorante.
Proseguendo il viaggio in Cantabria verso Santander, si possono ammirare la sua pacifica baia, i suoi musei e i suoi alberi che puzzano (di cui la nostra guida, Clara, ci ha svelato il segreto). Un’altra sosta obbligatoria è Comillas. Questo villaggio di pescatori in mezzo al nulla è diventato, grazie a un altro indiano, il marchese Antonio López López, che ha fatto fortuna a Cuba, uno dei luoghi di villeggiatura preferiti dall’aristocrazia spagnola. Prima città del paese a dotarsi di elettricità, Comillas ospita sia la villa del Marchese, il Palazzo Sobrellano – il primo esempio di modernismo catalano in Cantabria -, che il primo seminario pontificio fuori dal Vaticano.  Uno dei simboli della città è  una delle ville costruite intorno al palazzo e voluta da Maximo Diaz, anche lui indianos. Era cognato del marchese e si fece costruire, nientemeno che da Antonio Gaudí, una casa musicale eclettica, coloratissima e pazzesca, nota come Il Capriccio.
In questo viaggio tra Asturie e Cantabria non può ovviamente mancare l’esplorazione gastronomica. A partire dal sidro, che ci viene versato – o meglio, escanciado – dal cinque volte campione del mondo di escancio Salvador Ondé nella storica sidreria di Oviedo Tierra Astur.
O dal vermuth locale. Niente a che vedere con il nostro, come ci spiega Leticia Vila Gonzàlez del Baruco de Anero, un baretto frequentatissimo nel weekend che preserva la ricetta tradizionale. Per quanto riguarda i dolci imperdibile il Carbayon, uno dei simboli di Oviedo, diventato centenario proprio quest’anno. Il consiglio è di assaggiarlo nella pasticceria dove è nato, in compagnia dell’erede della storia familiare di Camilo de Blas . Impossibile poi lasciare la Cantabria senza assaggiare le sue famose acciughe. L’indirizzo giusto è il mercatino settimanale di Comillas, dove si possono degustare quelle di Aron, acciugaro per tradizione familiare.

La foresta e il suo Principe

“L’Avez del Prinzep metteva le vertigini, come un precipizio al contrario. L’abete più alto d’Europa, meta di pellegrinaggi da parte di scienziati, di curiosi e di amanti di riti propiziatori, era una specie di monumento identitario per gli Altipiani Cimbri, come la Mole per Torino, la Torre pendente per Pisa, il Colosseo per Roma”. Sono le parole con cui Marco Albino Ferrari inizia a raccontarci la storia del Monte Bianco degli alberi, non a caso conosciuto come il Principe (Avez del Prinzep  per i cimbri). Questa del Principe sembra una fiaba, ma non lo è. È una storia vera. Una storia di vita, di morte e di vita.  C’era, in quell’abete bianco,  cresciuto per oltre 250 anni sull’altopiano di Lavarone, un elemento immateriale che aveva a che fare con gli abitanti dell’Altopiano, gli eredi degli antichi Cimbri. Era alto 54 metri e aveva una circonferenza di 5,6 metri. Il Principe – «alla cui ombra amava sostare Sigmund Freud e che certamente è stato ammirato anche da Robert Musil», ci ricorda Rigoni Stern nel suo Arboreto salvatico non era solo un monumento della natura o l’albero dei primati, non era solo meta di incessanti pellegrinaggi da parte di escursionisti, botanici, curiosi e amanti di riti propiziatori delle selve. Lo si avvistava a chilometri di distanza, perché la sua chioma policormica – ovvero composta da sette punte distinte – svettava sul mare verde che la circondava. Un forte vento l’ha schiantato il 12 dicembre 2017. Una notte di vento furioso e l’antico gigante dalle radici possenti schiantò. Anche oggi, in località Malga Laghetto (Lavarone) si può ammirare quello che resta dell’Avez del Prinzep. Quel grande ceppo però non bastava a rispondere alle domande dei locali. Che fare, ora? Come utilizzare il suo nobile legno? Come fare per tener accesa la memoria del Principe? Si indissero diverse assemblee pubbliche. La sala sempre gremita. Mani alzate che chiedevano di parlare. Proposte, suggerimenti: mai un’idea all’altezza. Finché all’ultima assemblea capitò per caso un musicista. Chi l’aveva visto? Cosa lo aveva portato lì? Quel legno così pregiato – suggerì – dobbiamo affidarlo a un maestro liutaio che ne faccia un quartetto d’archi. I costi saranno ingenti, certo… Bisognerà prevedere tempi lunghi per la stagionatura e per il liutaio. Ma che saranno cinque o sei anni per degli oggetti destinati a vivere secoli. Noi suoniamo violini di trecento anni, e così questi del Principe potrebbero suonare per secoli…
Alla puntata ha partecipato anche Luigi Torreggiani, giornalista e dottore forestale, che dopo averci evidenziato come noi tendiamo a vivere le foreste (ma vale anche per le montagne) come sfondi, aliene alla vita quotidiana di noi umani. E della “Strategia Forestale Nazionale” di cui si è dotata l’Italia per governare i propri boschi per i prossimi vent’anni.

La storia del Principe, compresa la sua incredibile rinascita, è raccontata da Marco Albino Ferrari nel libro “Il canto del Principe – Storia di un albero” (Ed. Ponte alle Grazie).

Trento, capitale europea del volontariato 2024

La competizione per diventare capitale europea del volontariato è stata per la prima volta lanciata nel 2013 dal Centro Europeo del Volontariato (CEV) di Bruxelles con lo scopo di rafforzare e promuovere le attività di volontariato a livello locale. La finalità ultima è quella di spingere le città europee ad interrogarsi sul ruolo del volontariato per la comunità e di premiare le città che più esprimono i valori europei attraverso la promozione del volontariato e la sua pianificazione per il futuro. Lo scorso 3 febbraio, ospite d’onore il Presidente della repubblica Sergio Mattarella, ha inaugurato l’anno di Trento Capitale europea e italiana del volontariato. Per tutto il 2024 la città di Trento, coinvolgendo il volontariato formale e informale e gli enti e gli attori attivi in questo settore, ha sviluppato un percorso partecipato facilitando la creazione di tavoli di lavoro che avevano l’obiettivo di fare sistema e trasformare il 2024 in un grande laboratorio di pratiche per una comunità che cresce grazie al volontariato. Per fare un primo bilancio di quest’esperienza abbiamo incontrato Maria Antonia Bellini, del Servizio Welfare e Coesione sociale del Comune di Trento, che ci ha anche illustrato il progetto Attivati! , l’app del volontariato in Trentino.  Giulia, una studentessa di un liceo cittadino, e Valeria, una mamma, ci raccontano le loro esperienze di ‘volontariato partito dal basso’. La prima ci racconta l’attività di volontariato in una casa di riposo, e Valeria dell’idea, avuta con altre mamme, di organizzare una sorta di doposcuola per i bambini stranieri compagni di classe dei loro figli. Mauro Dossi ci racconta il lavoro di volontariato dell’Associazione Il Melograno di Brentonico (TN), che – tra le tante iniziative –  in Burundi ha permesso a una cooperativa di donne di produrre formaggio con il latte delle loro mucche, utilizzando la caldera di Agitu  (la pastora e casara etiope vittima di femminicidio che viveva nella Valle dei Mocheni).
A Trento sta per chiudersi “Records“, la prima delle tre mostre del progetto “Anelli di congiunzione” , un percorso espositivo triennale che, attraverso linguaggi diversi e innovativi, permetterà di immergersi nei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali di Milano Cortina 2026. Il progetto, che si colloca all’interno dell’Olimpiade culturale 2026, è volto ad approfondire la storia, il presente e il futuro dei Giochi guardandoli attraverso tre focus. Tre anni, tre temi: la misurazione, la tecnica, il territorio. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Ferrandi, direttore del Museo Storico / Gallerie 

Il pranzo della domenica

Il libro“Il pranzo della domenica – Viaggio sentimentale nella cucina delle nonne” (Sellerio Editore) è un’immersione nei sapori, nei profumi e nelle storie che si celano dietro ogni piatto della tradizione. DonPasta , ovvero Daniele De Michele, cuoco e narratore appassionato, ci guida alla scoperta di un mondo fatto di gesti antichi, di ricette tramandate da generazioni, di legami familiari e di radici profonde. Un giro d’Italia, dalle colline dell’Irpinia alle campagne mantovane, dalle montagne siciliane ai caruggi di Genova. DonPasta non si limita a raccogliere ricette, ma scava nel passato condiviso, cogliendo l’essenza antropologica di ogni pietanza, il suo legame con la terra, la storia e l’identità di un popolo. Un omaggio alla cucina italiana come patrimonio culturale e affettivo, un inno alla condivisione e alla convivialità, alle tradizioni che ci legano al passato e ci proiettano nel futuro. Un libro che ci ricorda che il cibo è molto più di un semplice nutrimento: è memoria, è identità, è amore. Ed essendo DonPasta un gourmet -deejay per ogni tappa c’è un brano musicale perché condire un piatto con una bella canzone dà più gusto. Come quando si usa il sale, il pepe o le spezie.
Il musicista, scrittore, giornalista, ciclo-inviato e cicloturista Guido Foddis ci racconta di quando in occasione del Giro d’Italia , inviato della fantomatica rivista culinaria “Mangia Piano”, tentò di trovare ogni sera una famiglia che lo invitasse a cena nella località della tappa di quel giorno. Questa avventura, raccolta nelle pagine di “Un giro a sbafo” (Ediciclo Editore) Guido ce la racconta dalla Tanzania, dove in questi giorni sta seguendo un progetto di IBO Italia , una organizzazione non governativa di cooperazione internazionale.
Il ‘contadino biologico’ Riccardo Finotti ci parla di alcuni piatti dimenticati della Valtellina, come la dumega e la cadolca. Il primo veniva cucinato quando si ammazzava il ciun, il maiale. Tutte le parti che non venivano utilizzate per la preparazione dei salumi erano messe a cuocere in un paiolo con l’aggiunta di orzo e verdure (in realtà la dumega è un cereale locale un po’ diverso dall’orzo, con i chicci un po’ più allungati). Il secondo piatto, la cadolca, risale a quando i vecchi contadini si riunivano, la sera, nel tepore della stalla, a pregare, a raccontare nuove e vecchie storie mentre le donne lavoravano la lana, confezionavano calze o ricamavano. Tra un pater e l’altro passavano, in una ciotola scavata nel legno, del vino allungato con il latte appena munto. Se volete provarci anche voi ricordatevi di mescolare lo zucchero con il vino, aggiungervi il latte prestando attenzione che questo non diventi acido e servire in una coppa di legno…

Viaggio nelle geografie lorchiane di Granada

Granada non è solo l’Alhambra. Certo, l’Alhambra, la vetta dell’architettura musulmana, è uno dei luoghi più magici che la penisola iberica possa regalare ai propri visitatori. Ma Granada non è solo l’Alhambra. La sua posizione geografica è invidiabile: a mezz’ora dalla città c’è un comprensorio sciistico sito all’interno del Parco Nazionale della Sierra Nevada, e la costa (Motril) dista solo un’ora di macchina. Ha dato i natali a numerose personalità, tra cui spicca il poeta, drammaturgo e regista teatrale Federico Garcia Lorca. Un viaggio  tra le sue geografie non può che iniziare dal Centro Federico Garcia Lorca , un moderno edificio nel centro storico di Granada che ospita numerose sale di esposizioni, un teatro, una biblioteca e l’ampio archivio dell’autore e della sua fondazione. E’ anche sede di numerose attività come opere di teatro e danza, concerti di musica, presentazioni e molto altro… La tappa successiva è la casa natale di Lorca a Fuentevaqueros, distante una ventina di chilometri da Granada. Federico nacque il 5 giugno 1898 nella casa della maestra del villaggio, sua madre, Doña Vicenta Lorca, la seconda moglie del padre di Lorca. Con l’aiuto della sorella del poeta la casa è stata ricostruita fedelmente, con molti oggetti originali. Il vecchio fienile è diventato una sala espositiva ed oggi questa casa offre una vasta collezione di fotografie, manoscritti, pubblicazioni, curiosità. Pochi chilometri e si arriva a Valderrubio, dove si può visitare la casa di Bernarda Alba , fonte di ispirazione di una delle sue opere più conosciute e più rappresentate.  Per pranzo si può tornare in città e puntare sul  ristorante Chikito. Originariamente era un bar chiamato Alameda ed era il ritrovo dell’intellighenzia locale che praticava la “tertullia”, un’espressione locale traducibile con “chiacchierate colte”.  In questa tertullia leteraria Federico lesse le sue prime poesie e tenne discorsi antologici. Lui e il suo gruppo di amici erano conosciuti come “El Rinconcillo” (il piccolo angolo) per via del posto in cui si sedevano nella sala. Qui o in uno dei tanti ristorante di Granada si possono degustare svariate specialità locali, per digerire le quali basta inerpicarsi lungo le strette strade lastricate del Sacromonte, il quartiere gitano famoso per le sue case-grotte scavate nella roccia: una sorta di Matera in salsa iberica. In quelle grotte oggi riecheggiano le note della Zambra, la festa che accompagnava il canto e il ballo durante le cerimonie nuziali gitane, la cui origine risale. La sua origine rimanda ai rituali nuziali moreschi che qui avevano luogo nel XVI secolo. Tappa fondamentale per capire l’essenza del duende, un termine intraducibile (nel dialetto andaluso, duende può significare folletto ma anche broccato e stoffa pregiata). Nel saggio “Il duende. Teoria e gioco” , che risale al 1930, Federico Garcia Lorca scrive che il duende è “…un potere e non un agire”, “un lottare e non un pensare”. Il poeta sentì dire da un vecchio maestro di chitarra che  “…non sta nella gola” ma “sale interiormente dalla pianta dei piedi” e si ritrova come intima cifra di ogni atto di genio; “…si sa soltanto che brucia il sangue, che prosciuga, che respinge tutta la dolce geometria appresa, che rompe gli stili”. E’ quella cosa che ogni artista vorrebbe per sé, e che i toreri a volte mostrano nei loro movimenti, ma anche i pittori, i musicisti, i ballerini di flamenco, i poeti.Lorca chiude il suo saggio chiedendo: “Ma dov’è il duende?”  Dopo una serata sul Sacromonte osiamo rispondergli: tra la musa e un angelo, nelle pieghe del pensiero.
L’ispano-americanista Irina Bajini ci suggerisce  un paio di libri ‘insoliti’ dedicati a Federico Garcia Lorca da mettere nello zaino prima di un viaggio a Granada:  la graphic novel “Federico” di Ilu Ross (Ed. Ventanas) e il giallo “La canzone del cavaliere” di Ben Pastor , con un incredibile Federico mutante…

spain.info   turgranada.es  andalucia.org

VALLE di SCALVE

“La «crisi idrica globale» è un argomento di grande successo, in questo avvio di terzo millennio. Ma la risposta al problema resta inadeguata: anziché alla comprensione della crisi, si lavora alla sua spettacolarizzazione. Le star di Hollywood ci invitano a elargire generose donazioni, come singoli consumatori. Le multinazionali dell’acqua in bottiglia e della birra portano avanti campagne pubblicitarie basate sulle loro politiche di sostenibilità. Le associazioni benefiche si rendono intanto conto di avere bisogno di «soldi veri», cioè di ottenere degli utili da ciò che fanno…”. (da “Sete” di Filippo Menga, ed. Ponte alle Grazie).

E’ leggendo questo libro che ho deciso di fare una nuova puntata di Onde Road dedicata all’acqua. E per farla ho pensato a un viaggio nella Valle di Scalve : una valle, a confine tra la bergamasca e il bresciano, dove l’acqua da sempre ha pesantemente segnato la vita di chi l’abitava e la abita.  Lo certifica un altare vecchio di secoli (il dibattito sulle origine celtiche o romaniche è ancora aperto) in prossimità del torrente Vò, nelle cui adiacenze è stata rinvenuta una coppella, solitamente utilizzata per riti legati all’acqua. All’altezza di Ronco, dove il Vò si immette nel Dezzo (un fiume di soli 36 chilometri a cui si deve però l’esistenza della Valle di Scalve) c’è una vecchia sorgente dove l’acqua sembra sgorgare da un accesso che parrebbe portare all’ingresso di una miniera. Maurilio Grassi, guida escursionistica-ambientale e neo direttore del Museo Etnografico di Schilpario, racconta la storia della diga del Gleno. Ideata per sfruttare appieno l’energia prodotta dall’acqua, fu finanziata dalla famiglia Viganò, proprietaria di importanti cotonifici lombardi. Per ottenere il massimo dalla forza gravitazionale dell’acqua nella valle del Gleno, fu realizzata una diga ad archi multipli, all’epoca considerata una delle più moderne innovazioni ingegneristiche. Il bacino, posto ad un’altitudine di 1.500 metri, alimentava una prima centrale 400 metri più a valle e questa a sua volta consentiva il funzionamento di una seconda centrale. Nei mesi precedenti al crollo vennero ripetutamente segnalate perdite d’acqua alla base e nella muratura in calce dello sbarramento.  Alle ore 7.15 del 1° dicembre 1923, la Diga del Gleno crollò: sei milioni di metri cubi di acqua invasero la valle sottostante, colpendo per primo l’abitato di Bueggio, che venne totalmente distrutto, per poi proseguire e distruggere buona parte del paese di Dezzo. L’acqua raggiunse in seguito Angolo Terme e Darfo, in Valle Camonica, per finire la sua corsa nel Lago di Iseo. I morti di questo disastro non vennero mai contabilizzati con precisione, ma si stima che ci furono tra le 350 e le 600 vittime.
Un mini-trekking alla portata di tutti porta ad uno dei punti più affascinanti della Valle di Scalve: la Via Mala. Costeggiando dall’alto le acque del Dezzo, univa la Val d’Angolo, tributaria della bresciana Valcamonica, con la Val di Scalve, territorio delle Alpi Orobie Orientali. Una valle remota, da sempre contesa: dal punto di vista territoriale è bergamasca, mentre la gestione delle acque è della provincia di Brescia. Dall’alto si domina un paesaggio selvaggio, dove il tempo sembra essersi fermato. Scendendo dalle ripide pareti su cui poggia la vecchia via Mala ci si cala in un paradiso per pescatori. Ne parliamo con Gianluca Bonomi, guida di pesca, che ci introduce nel complesso mondo della pesca ‘no kill’ con la mosca. Adelino Ziliani, invece, ci racconta la storia , e le proprietà terapeutiche, delle acque di Boario Terme , storico centro termale frequentato, ai tempi, anche da Alessandro Manzoni…

Per approfondimenti consigliamo i seguenti volumi curati da Maurilio Grassi:
.- Calchere. L’industria povera della Valle di Scalve
.- Messaggi dalle rocce . L’arte rupestre della Valle di Scalve
.- I frerini della Valle di Scalve. Note sull’attività estrattiva locale preindustriale