Vienna reloaded

150 anni fa, a Vienna, si tenne l’Esposizione Universale. Fu il motore per lo sviluppo di Vienna come città cosmopolita, anche se all’epoca creò un enorme buco nelle finanze dello Stato. Nonostante il flop finanziario, l’Esposizione Universale diede i suoi frutti. Fu una vetrina per le prestazioni a livello tecnico e artistico. Espositori da tutto il mondo mostrarono le ultime novità. Vienna cambiò radicalmente diventando una città cosmopolita, dandosi una nuova identità a livello urbano e spirituale e diventando un punto focale della modernità economica, culturale, politica, sociale e tecnica. 150 anni dopo Vienna sta ancora beneficiando dei profondi cambiamenti avviati allora. L’acqua fresca di sorgente arriva ancora in città attraverso la conduttura di Hochquellen. La rete ferroviaria di un tempo è stata ulteriormente ampliata. Oggi la città è il più importante snodo ferroviario notturno dell’Unione Europea, il punto di partenza e di arrivo perfetto per viaggiare in modo sostenibile su rotaia. La pianificazione urbanistica di allora facilita lo sviluppo di nuove aree urbane anche oggi che sta (ri)vivendo un importante periodo di crescita (raggiungerà i due milioni di abitanti entro il 2028). Sono in costruzione nuove aree urbane, vere e proprie città nella città. E’ il caso del Quartiere Due e di Seestadt Aspern, un quartiere periferico (distante 25 minuti in metropolitana dal famoso Ring della capitale viennese e 30 da Bratislava). E’ una pagina di architettura illuminata: un quartiere affacciato su un lago d’acqua trasparente in cui d’estate si fa il bagno, si va a vela e in cui si specchiano gli 84 metri della nuova torre HoHo (da Holz-Hochhaus, grattacielo di legno), uno degli edifici in legno più alti del mondo. Un luogo, come ci racconta la giornalista Carmen Rolle, dove si vedono più mamme con passeggini che automobili. A vie, piazze e parchi principali sono stati assegnati nomi di donne, poiché nella “vecchia” Vienna, quella a destra del Danubio, le vie intitolate a figure femminili scarseggiano. A Seestadt ci sono parchi intitolati a Hannah Arendt, Yella Hertzka e Madame d’Ora…  Nella stessa direzione va anche la scelta fatta dal Sisi Museum , un museo, situato all’interno degli appartamenti imperiali del Palazzo Hofburg, che offre un confronto fra mito e realtà della bellissima Imperatrice d’Austria. E’ proprio attorno a questa bellezza che si è costruito il mito di Sissi. E come capita spesso, quando si parla di bellezza femminile, la si associa con frivolezza e superficialità. “Per la giovane Sissi il concetto di bellezza non esisteva, ma appena giunta alla corte di Vienna comprese che ciò che ci si aspettava da lei era solo questo. Il suo aspetto fu strumentalizzato” ha dichiarato Michael Wohlfart, curatore del Museo. È proprio per scardinare questo stereotipo andando oltre la pura e semplice bellezza, per superare la valutazione estetica e il giudizio che essa porta con sé, che il Museo di Sissi in occasione del recente 8 marzo (e sino a fine mese) ha deciso di sostituire il dipinto più celebre che la ritrae con una poesia composta da versi che permettono ai visitatori di riflettere sulla sua personalità, sui suoi contenuti, anziché sul suo aspetto esteriore.

Vienna è l’unica città al mondo con una vera e propria produzione vinicola all’interno dei confini cittadini, per ben settecento ettari (dal 2019 la cultura dell’heuriger viennese fa parte del patrimonio culturale immateriale UNESCO). Circa l’80% della superficie coltivata a vite è dedicata al vino bianco, e una delle specialità è il Wiener Gemischter Satz. In autunno viene pigiato il vino novello, l’heuriger appunto, e poi lo si può degustare nelle tipiche “frasche”, i buschenschank e gli heuriger. Se dopo una serata in uno di questi locali vi trovate in un vicolo dedicato a un mostriciattolo, non spaventatevi: non siete ubriachi, siete davanti alla Casa del Basilisco al civico 7 di Schönlaterngasse…

Trieste, multietnica e multiculturale

“Ricco, ricchissimo, in quella Trieste «porto dell’Impero» che all’inizio dell’Ottocento vide un accumulo di ricchezze impensabile fino a pochi decenni prima e mai eguagliato in seguito, Pasquale Revoltella lasciò un patrimonio fantastico alla città… Grandi e luminose le stanze del suo palazzo neorinascimentale, pieno di storia e di tesori: gli oggetti d’arte, le medaglie, la biblioteca, reperti d’oro, argento, avorio e arte cinese, scialli e tagli di seta, ricami, merletti e i preziosi pizzi di Valenciennes, Chantilly e di Idria. Tutto donato alla città a patto che fosse destinato a esclusivo uso di un Istituto di belle arti per educare giovani artisti e artigiani…”. Marinella Salvi ci racconta la genesi e l’attuale ‘bizzarra’ gestione del Museo Revoltella , una struttura culturale priva di un direttore… Stefano Bianchi, curatore del Museo Schmidl , ci fa ascoltare il suono degli strumenti meccanici ospitati dal Civico Museo Teatrale, uno spazio che documenta la vita del teatro e della musica a Trieste dal Settecento ai nostri giorni. Manifesti, locandine, fotografie, stampe, medaglie, strumenti musicali, cimeli, fondi archivistici e manoscritti autografi costituiscono l’ossatura di un teatro delle memoria che da quasi un secolo incrementa le sue collezioni nello spirito del fondatore, il commerciante di musica e collezionista Carlo Schmidl (Trieste 7 ottobre 1859 – 7 ottobre 1943).  Elisabetta d’Erme, presidente dell’Associazione Triestina Amici della Lirica Giulio Viozzi , incontrata nell’Antico Caffè Torinese , evoca celebri ‘immigrati’ innamoratisi di Trieste: dall’elvetico Gino Parin a James Joyce…  Alberto Jona ci racconta di “Un bullo in maschera. L’opera nel pallone”, la prima opera lirica ambientata nel mondo del calcio di cui è regista (musica di Federico Gon, soggetto e libretto Stefano Valanzuolo).  Maurizio di Rienzo ci parla di “Shorter Kid’n’Teens”, il festival nel festival di Shorts International Film Festival , un appuntamento che dal 2000 presenta a Trieste il meglio del cinema corto. Zlatimir Selakovic, portavoce della comunità slava triestina, composta da circa 10 mila persone, ci parla di San Spiridione, della rakia e di alcune tradizioni di cui i serbo-triestini non possono fare a meno…

teatroverdi-trieste.com           turismofvg.it

Precedenti puntate di Onde Road dove abbiamo parlato di Trieste:

Trieste, tra mare e montagna:  https://onderoad.radiopopolare.it/?p=3643

Trieste, un altro mondo: https://onderoad.radiopopolare.it/?p=2798

#makeborshnotwar

Olha, Svitlana, Nadia e Tatiana sono quattro donne che hanno lasciato l’Ucraina per via della guerra e oggi, aspettando la fine delle ostilità, vivono a Milano. Come loro centinaia di migliaia di altre donne hanno lasciato il loro Paese, mentre spesso mariti e figli sono al fronte. Molte di loro sono nelle nostre città, ospiti di associazioni e privati cittadini.

A un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, lunedì 20 febbraio dalle 19.30, Radio Popolare ha ospitato i propri ascoltatori nel cortile della radio, in via Ollearo 5, “armati” di una scodella e un cucchiaio. Olha, Svitlana, Nadia e Tatiana avevano preparato quattro pentoloni di borsch, un piatto originario dell’Ucraina. Patrimonio Unesco, è una zuppa a base di barbabietole diffusa in gran parte dell’Europa dell’est dalla Polonia alla Romania, Russia compresa… (Vittorio Castellani aka Chef Kumalé ci ha raccontato la storia di questo piatto). Olha, Svitlana, Nadia e Tatiana hanno scodellato agli astanti una porzione di borsh che è stato degustato comunitariamente.

Alle 21, chi si era prenotato, ha assistito allo spettacolo “Troiane”, in cui il testo classico di Euripide si intreccia con le testimonianze di un gruppo di giovani attrici e attori ucraini riparati in Italia e guidati da Matteo Spiazzi per il progetto Stage4Ucraine.

Una duplice iniziativa che ha rappresentato il nostro modo di esprimere solidarietà ai civili travolti dalla guerra in Ucraina.

Lo street artist italiano TvBoy ha installato alcune sue opere in Ucraina. «Solo visitando l’Ucraina ho capito veramente la forza e il coraggio di queste persone. In omaggio alle vittime di questa guerra ho lasciato un segno del mio passaggio per le strade di Kyiv, Buča e Irpin. Ogni giorno un nuovo murale», ha annunciato su Twitter in cui ha diffuso un video in cui si vedono i diversi murales. Un appello di pace che ha voluto lanciare al popolo ucraino, assieme alla Fondazione Cesvi che l’ha sostenuto, realizzando alcuni graffiti tra le strade di Bucha, Irpin’ e della capitale Kiev. In particolare, tra i luoghi scelti dall’artista c’è la scuola dell’infanzia Arcobaleno di Bucha, città teatro di orrori compiuti dai russi. La struttura era stata completamente distrutta ed è stata poi riaperta dopo che la fondazione Cesvi ha ristrutturato l’istituto dai danni causati dalle bombe. Sono centinaia i bambini che sono così tornati a scuola. (intervista a TvBoy a cura di Chawki Sianussi).

…nella neve

Una vacanza detox, una nuova forma di benessere nella natura maestosa del Parco Naturale Adamello Brenta . Cinque elementi, 7 percorsi, dal barefoot allo yoga: è la proposta di Dolomiti Natural Wellness. Un’idea che riporta il benessere alla sua fonte originaria – la Natura – e fa di tutto il territorio, con i suoi magici ambienti naturali, una vera e propria Natural Spa. L’idea fondamentale è che siano innanzitutto gli elementi naturali – l’acqua limpida e cristallina, il vento e l’aria fresca e pura, le essenze del bosco, il sole e la luce – i principali agenti del nostro benessere.

Dolomiti Ski Jazz : sole e jazz sulla neve per nove giorni di ritmo e divertimento nelle Valli di Fiemme e Fassa, dal 3 al 12 marzo 2023. La black music più popolare, il jazz, il funk faranno parte del paesaggio invernale delle Dolomiti, con numerosi concerti in alta quota nei luoghi di riferimento per gli sport invernali. Al Dolomiti Ski Jazz i concerti si ascoltano con gli sci ai piedi, direttamente sulle piste, nei teatri e nei locali delle Valli di Fiemme e Fassa.

Puoi realizzare il tuo sogno di adottare una mucca e addirittura mangiare i formaggi prodotti in malga con il suo latte grazie al progetto  Adotta una mucca, una simpatica iniziativa della Valsugana e del Lagorai (sud-est del Trentino) nata per far conoscere la natura incontaminata di queste montagne, per insegnare come si produce il formaggio secondo metodi antichi e per capire cosa significa vivere in una malga e portare le mucche all’alpeggio.

In Alta Badia, sulle piste dello Skitour La Crusc, ai piedi del massiccio Santa Croce, per un’intera settimana – dal 12 al 19 marzo – la cucina locale e i piatti della cucina ladina saranno i protagonisti dell’evento Roda Dles Saus. L’evento di apertura, con musica tradizionale presso i rifugi e show-cooking sulle terrazze delle baite partecipanti, si svolgerà domenica, 12 marzo. Il motto dell’iniziativa è ‘piatti preparati secondo la ricetta della nonna’. I gustosi manicaretti saranno accompagnati da una selezione dei migliori vini dell’Alto Adige.

Presentazione del prossimo numero di The Passenger dedicato ai tre cosiddetti «paesi baltici». Estonia, Lettonia e Lituania hanno da poco festeggiato tre decenni di ritrovata indipendenza, assaporandola senza mai dimenticare da chi si sono emancipati, non solo a causa delle frontiere esterne ma per un confine interno che in maniera diversa mina tutti e tre: quello tra le popolazioni autoctone e i russofoni, minoranza in larga parte emarginata e tagliata fuori dalla vita civile, e per questo imprevedibile. Con accenti diversi le tre repubbliche baltiche sono accomunate da uno sforzo per essere considerate europee, cosmopolite, occidentali, perché le si associ a tutto meno che alla Russia. Ognuna cerca di sottolineare la propria specificità attraverso politiche e pratiche culturali volte a rafforzarne l’identità peculiare…

Cachoeira e il Recôncavo Baiano

Il Brasile non è un Paese, ma un insieme di mondi raccolti disordinatamente sotto una stessa bandiera. Una millefoglie, a volte dolce, altre terribilmente amara. Proprio come sa esserlo la vita. Il Nordest è il Brasile sotto radice: una sorta di continente formato da nove stati. Se Brasilia è la capitale, São Paolo potrebbe esserlo e Rio de Janeiro sta in tutte le cartoline,  è il Nordest il cuore e l’anima del Brasile. E’ qui che nel XVII secolo nacque il Quilombo di Palmares, la più importante comunità di schiavi fuggitivi, e alla fine del XIX la comunità utopistica di Canudos. Nel XX secolo la regione diede al Brasile sia il suo musicista più popolare – Luiz Gonzaga – sia il suo più temuto bandito, Lampão. Per capirne l’essenza a Salvador de Bahia abbiamo visitato uno slum in compagnia di Joselito, che nella favela Gamboa Baixa c’è cresciuto. Un incontro fondamentale per depurarci da certi luoghi comuni… Da Salvador siamo partiti verso il Recôncavo Baiano, la regione geografica situata intorno alla Baía de Todos-os-Santos. Dopo 80 km di una autostrada sempre trafficata, ai cui bordi si ergono con nonchalance arditi grattacieli e le misere baracche di sterminate favelas, la statale 420 entra nel cuore di questa regione. L’orizzonte si apre in un paesaggio cinematografico dell’ovest americano, nuvole bianche nel blu, con l’aggiunta di palme. Uno scarabeo bianco scompare sull’asfalto, piantagioni di bambù, quindi eucalipto. E’ una terra fertile, ideale per la coltivazione della canna da zucchero e del tabacco. Ma anche l’area dove la Petrobas, azienda petrolifera statale, cerca di fare bingo con il gas. Superato Santo Amaro da Purificação, il borgo natale di Caetano Veloso, la strada fiancheggia colline lisce, vecchi campi sullo sfondo e nuovi oleodotti. Dopo mezz’ora un arco appare contro il cielo, annunciando “Cachoeira Heroica e Monumento Nacional”. Eroica per aver partecipato alle lotte per l’indipendenza, storica per il patrimonio. Si dice che sia stata fondata da Diego Álvares Correia, un naufrago portoghese del 16 ° secolo adottato dagli indigeni con il nome di Caramuru. Altrettanto mitico è Valmir Pereira dos Santos, noto come Valmir da Boa Morte. Milita in quattro gruppi musicali ed è lui la guida che mi fa scoprire Cachoeira. Con lui ammiro piazze, chiese, case barocche e liberty, abitazioni dalle facciate colorate… Con Valmir visito il terreiro più importante della città: quello frequentato dall’Irmandade de Nossa Senhora da Boa Morte. E’ una Confraternita nata 150 anni fa nelle case degli schiavi locali che offrirono rifugio a quelli fuggiti dalle piantagioni di canna da zucchero, ed è composta esclusivamente da donne di colore. Con la fine della schiavitù, le “sorelle” si avvicinarono alla chiesa cattolica e fondarono l’organizzazione che attualmente è ospitata all’interno di un complesso di quattro edifici di due piani ognuno risalenti al XVIII secolo. Non c’è da stupirsi: nel Recôncavo vige una cultura matriarcale. Da queste parti durante le cerimonie del Candomblè la figura apicale è sempre una donna, la Mãe-de-santo. La donna nera baiana è guerriera, militante, attivista… e come tale ha fatto la Storia. A giudicare dai soggetti di numerose sue opere, dalle donne locali rimase colpito anche un artista tedesco: Karl Heinz Hansen, che dopo aver vissuto da queste parti aggiunse al suo cognome Bahia, diventando Karl Heinz Hansen Bahia. Ha raccolto 13.000 pezzi, tra sculture in legno, oggetti di artigianato, tavole con scena di vita campestre incise a Bassorilievo, personaggi africani, santi e divinità del candomblè che oggi sono archiviati nel la sua casa-officina, la Fazenda Santa Barbara. Le passeggiate con Valmir terminano sempre davanti al Paraguaçu. Da queste parti i fiumi sono molto più di un corso d’acqua. Non a caso la guida che ci accompagnato sulle navigazione del fiume São Francisco, il quarto sistema fluviale per dimensioni in Sud America e il fiume più lungo che corre interamente in Brasile, ci ha ricordato che “è estremamente importante per tutti noi che viviamo qui. E’ come il sangue che ci scorre nelle vene. Questa è una comunità di pescatori e lo era anche in passato. Noi che viviamo qui, i ribeirinhos, facciamo attenzione e abbiamo cura di questa natura come una madre ha cura di suo figlio…”. 

Il viaggio e i contatti che hanno permesso la realizzazione di questa trasmissione sono tutto merito di Miriam Silva ( che sta già lavorando per organizzare un nuovo viaggio nel nord-est brasiliano per gli ascoltatori di radio popolare).

Tre hotel a stelle e strisce

Ci sono luoghi che per qualche misteriosa ragione sembrano poter riassumere in sé l’essenza di una cultura, di una storia, di un mondo talvolta. Il Chelsea Hotel è uno di questi. Un grande palazzo di dodici piani in mattoni rossi, con balconi in ferro battuto e finestre a bovindo, situato al 222 della 23esima Ovest, nella zona di Chelsea, a Manhattan. Questo edificio, appariscente e anonimo al tempo stesso, è il luogo da cui sono partite le fiammate più violentemente creative della musica, della letteratura, dell’arte americana dell’intero Novecento, da Edgar Lee Masters ai Rolling Stones. E anche il luogo dove il sogno visionario più facilmente si è venato di eccessi autodistruttivi. Pionieristico esperimento di vita comunitaria ispirata alle idee del socialismo utopista di Fourier, il Chelsea diviene fin dai primi decenni del secolo scorso un crocevia di artisti di ogni genere e provenienza. Fra i suoi corridoi nascono, lavorano, amano e si consumano generazioni intere di personalità creative, tanto che qualsiasi lista di celebrità sarebbe riduttiva. Antonin Dvorak, Mark Twain, Thomas Wolfe, Virgil Thomson, Gore Vidal, William Burroughs, Allen Ginsberg, Tennessee Williams, Bob Dylan, Janis Joplin, Jackson Pollock, Jimi Hendrix, Joni Mitchell, Leonard Cohen, Patti Smith, Robert Mapplethorpe… Il corrispettivo della costa ovest è lo Chateau Marmont di Los Angeles. Appartato rispetto al traffico di Sunset Strip, celebrato per la miscela di «decadenza, moda, musica, sesso, segretezza e libertà» lo Chateau Marmont domina come una «rocca di Gibilterra» l’agglomerato urbano di L.A. i cui confini ormai si indovinano solo dal satellite. I nomi delle celebrità che lo hanno frequentato o abitato sono tutti quelli che hanno segnato la storia dello spettacolo e della cultura pop dagli anni Trenta a oggi: Greta Garbo, Howard Hughes, Bette Davis, Marilyn Monroe, James Dean, Anthony Perkins, Jim Morrison, John Belushi (che in un bungalow di questo albergo morirà di overdose, dopo un festino durato tre giorni), Johnny Depp, Lindsay Lohan e moltissimi altri. Figure centrali della storia della musica jazz, rock e pop hanno vissuto e lavorato nelle sue stanze, da Duke Ellington a Miles Davis, dai Velvet Underground a Bono, da Beyoncè a Jay-Z, così come i grandi artisti grafici, i fotografi, gli stilisti e i pubblicitari della West Coast.  L’intero, secolare panorama umano americano di sognatori, affaristi e lottatori concentrato in poche centinaia di metri quadrati”. Il terzo albergo non è in una metropoli, ci si arriva in macchina scendendo da Memphis lambendo il Mississippi. E’ il Riverside Hotel di Clarksdale, nelle adiacenze delle rive fangose del Mississippi, dove il sogno americano -a differenza che a New York e a L.A.- è lungi dal diventare anche afroamericano, che si è sviluppato il blues. Dal 1944 il Riverside Hotel ha fornito alloggio a musicisti itineranti. Per alcuni di loro, tra cui Sonny Boy Williamson II, Ike Turner e Robert Nighthawk, era una sorta di casa. Prima di allora, l’edificio serviva gli afroamericani del Delta come ospedale, era la dede del G.T. Thomas Hospital. La cantante blues Bessie Smith, “l’imperatrice del blues”, morì qui nel 1937 per le ferite riportate in un incidente d’auto sulla Highway 61 appena fuori Clarksdale, dove si stava recando per uno spettacolo. Le camere portano il nome degli artisti che vi hanno soggiornato e i clienti possono scegliere la camera in base al nome del loro artista preferito. Tutte tranne una, quella di Bessie Smith che è diventata una sorta di santuario. Sul letto c’è un suo ritratto e se chiudete gli occhi potreste sentire la sua voce…

.- “Chelsea Hotel. Viaggio nel palazzo dei sogni” della giornalista e scrittrice americana Sherill Tippins (Edt, pp. 511, euro 23)

.- “Il castello di Sunset Boulevard. Storia, avventure e segreti dell’albergo più celebre di Hollywood” del critico cinematografico e scrittore Shawn Levy (Edt, pp. 402, euro 24)

Viaggio nei monti arcani

Un viaggio nei mondi fatati delle montagne, tenendo come guida l’Atlante dei monti arcani di Albano Marcarini (ed. Hoepli). Un atlante dedicato alle montagne più suggestive, dall’Olimpo all’Ararat, dal monte Giarolo al Cerro Hermoso: per costruire itinerari ideali e viaggi anche solo con la mente. Da sempre la montagna suscita sensazioni enormi e a volte contrastanti: stupore, meraviglia, potenza, paura o aspirazione, sacralità e vicinanza a Dio, rispetto o conquista, ignoto. Quasi mai indifferenza. Alcune montagne sono circonfuse di un’aura ancora più elevata di quanto la loro altezza geografica riveli. Sono montagne sacre o mitiche o mitizzate o idealizzate. Non vi è regione del mondo che ne sia priva, non vi è popolo che non ne abbia una. E ognuna ha la sua vicenda, la sua narrazione: dimora degli Dei come l’Olimpo, poteri arcani come il Monte Calamita, meta di pellegrinaggio come il Monte Kailas, ultimo rifugio come il Monte Ararat, rivelazione come il Monte Sinai. Sono 88 monti “arcani” nel senso che Leopardi volle dare alla parola: «ciò che per la segretezza o il mistero in cui si avvolge è motivo di fascino o di attrazione». Scritto con il medesimo linguaggio leggero dell’Atlante inutile del mondo, il volume si avvale di tavole cartografiche ad hoc e acquerelli, e presenta un apparato d’appendice che diventa, anche in questo caso, approfondimento e guida per raggiungere le mete. Un viaggio attraverso questi universi arcani è offerto dalla Ferrovia Vigezzina-Centovalli . Una ferrovia che attraversa un territorio variegato (la tratta va da Domodossola a Locarno), in un susseguirsi di gole profonde, montagne selvagge, fiumi e cascate. Una natura prorompente in cui si inseriscono armoniosamente piccoli e caratteristici borghi disseminati tra le Centovalli e la Valle Vigezzo. 52 km di percorso, 2 nazioni, 83 ponti e 31 gallerie da scoprire in poco meno di due ore. Una incursione al Maso Guez , sull’Alpe Cimbra, in località San Sebastiano di Folgaria: il regno del pastore Serafino, ideatore di originali escursioni sulla neve. Non un banale sleddog: le slitte di Serafino non sono trainate da cani, ma dai suoi caproni. Originale anche l’esperienza vissuta da 4 bambine e 3 bambini: un’avventura che nasce da un progetto di educazione ambientale del Family CAI Macherio-Vedano nelle scuole elementari e medie di tre comuni (Macherio, Vedano al Lambro e Villasanta) che ha coinvolto più di 800 alunne e alunni. La loro parte per salvare il pianeta i 7 ragazzini l’hanno fatta ripulendo dai rifiuti la zona ai piedi della Grigna Meridionale attorno al rifugio Porta. Il progetto “Nelle squame di una trota” ha poi dato il titolo a un corto, diretto da Mara Moschini e Marco Cortesi, che racconta l’esperienza vissuta dai 7 eroi in rappresentanza anche dei loro compagni e compagne. Il corto è uno dei numerosi lavori firmati dai due registi, da sempre legati alle tematiche della natura e alla salvaguardia del pianeta (a breve inizierà un nuovo ciclo, da loro curato, di una serie televisiva legata a queste tematiche: Green Storytellers). Per info: www.greenstorytellers.com

Scampoli di Paesi Baschi

La prima cosa con cui ti ‘scontri’ quando arrivi nei Paesi Baschi è la lingua. Avversata dal regime franchista, oggi l’euskera è in bocca a circa 700mila vascoparlantes (o euskaldunes). Tra le migliaia che esistono al mondo, il basco è una delle poche “lingue isolate”, ovvero non imparentate con nessun altra lingua. Misteriosa e difficile, ti fa capire che sei entrato in un mondo altro. Te ne accorgi anche andando al San Mamés, lo stadio dell’Athletic Bilbao . E’ l’unica squadra al mondo alla quale i tifosi non chiedono di vincere, ma semplicemente di (r)esistere. Possono vestire la maglia biancorossa solo i calciatori di origine basca o formati a Lezama (il centro sportivo dell’Athletic) o nelle giovanile di un altro club basco. Una incredibile commistione fra ius soli e nazionalismo pragmatico, una famiglia che non conosce l’esclusione etnica. Se da spettatori si vuole diventare praticanti ci sono le onde del Mar Cantabrico da cavalcare. Oppure nell’entroterra si può raggiungere l’Izki Golf . Sito nel cuore della Montaña Alavesa, vicino al Parco Naturale di Izki, è nato per volontà di Severiano “Seve” Ballesteros Sota, uno dei più popolari giocatori di golf di tutti i tempi. Genio sregolato, una sorta di George Best del golf, ambiva portare sul fairway i ceti popolari. Non a caso, Izki Golf è una struttura pubblica, frequentata dai ragazzi delle scuole pubbliche. Un’oasi naturalistica, circondata da querce, faggi e agrifogli, dove si può praticare anche cicloturismo e birdwatching.  Lo sport preferito dai baschi però resta un altro e si chiama: “Ir de pintxos” (letteralmente “andare di bar in bar a bere e mangiare i pintxos“). Complesse architetture di ogni sapore e colore, i pintxos sono la risposta basca alla tapas (differiscono per l’elaborazione, la complessità realizzativa e l’utilizzo di una gran varietà di materie prime). Sono piccole prelibatezze culinarie che si possono trovare in qualsiasi taverna, una vera e propria “pietanza in miniatura” e per molti versi sono anche creazioni artistiche. Vanno accompagnate una sidra fresca o una bottiglia di Txakoli, un piccolo gioiello dell’enologia basca. È un vino bianco che ricorda queste terre, ha tutti i sapori del mare, è fresco, salato, sferzante e a tratti selvaggio. Per chi ama un vino più strutturato può procurarsi una bottiglia del Crusoe Treasure . E’ il nome di un programma con cui Borja Saracho è diventato famoso in tutta Europa grazie al peculiare modo di far invecchiare il vino che produce. Trattasi di  vino subacqueo che staziona in cantine sotto le acque del Mar Cantabrico per poi essere venduto non solo in Europa, ma in tutto il mondo.

turismo.euskadi.eus

spain.info.it

#euskadiconfidential

Dalla Val Grande ai nuovi deserti italiani

Il Parco Nazionale della Val Grande si estende nel cuore della provincia del Verbano Cusio Ossola, tra creste dirupate e cime solitarie, ed è parte del geoparco Sesia Val Grande , una più grande area di interesse geologico entrata a far parte della rete mondiale di geoparchi, patrocinata dall’Unesco. E’ l’area selvaggia più vasta d’ltalia, una wilderness a due passi dalla civiltà. Un santuario dell’ambiente dove la natura sta lentamente recuperando i suoi spazi, dove boschi senza fine, acque trasparenti e silenzi incontrastati accompagnano ogni passo del visitatore. Ma la Val Grande è anche storia. Il lungo racconto di una civiltà montanara narrato dai luoghi e dalla gente dei paesi che circondano quest’area fra Ossola, Verbano, Val Vigezzo, Valle Intrasca e Cannobina. Percorrendo i sentieri della Val Grande si scoprono i segni lasciati dall’uomo nei secoli passati quando la valle era meta di pastori e boscaioli, tracce di una vita faticosa, testimonianza della capacità di adattarsi a un territorio impervio e inaccessibile. La verticalità era il principale elemento di sopravvivenza: tutta l’economia della comunità montana era basata sugli spostamenti altitudinali stagionali, in base ai ritmi della natura. Ne sono testimonianza le ciclopiche opere di terrazzamento destinate alla coltivazione ed una fitta rete di strade e sentieri che segnavano i versanti vallivi collegando il fondovalle ai maggenghi e agli alpeggi. Su queste montagne, inoltre, è stata scritta una pagina importante della Resistenza italiana. Nel giugno del 1944 la Val Grande e la Val Pogallo furono teatro di aspri scontri tra le formazioni partigiane e le truppe nazifasciste (nelle adiacenze va visitata la Casa della Resistenza , un importante luogo di memoria). Di questo e molto altro ne parlano lo scrittore Marco Albino Ferrari, e Massimo Gocci, in passato presidente del Parco Nazionale della Val Grande. Invece la naturalista Valentina Scaglia ci racconta del suo commovente incontro con Gianfry, l’eremita della Val Grande. La bulimia naturalistica di una località come la Val Grande è ancora più apprezzabile se ci ricordiamo quanto stia soffrendo la natura nel resto dell’Italia. Una cruda testimonianza ci arriva da Deserti d’Italia, un’insolita guida turistica curata da Gabriele Galimberti. Come recita il sottotitolo del libro: “Paesaggi mozzafiato di cui il Bel Paese non avrebbe bisogno”, è un viaggio, corredato da impressionanti fotografie, tra le aree a rischio desertificazione nel Bel Paese. Un fenomeno che, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, non è presente solo al Sud (dove comunque le aree a rischio sono molto estese: 70% della Sicilia, il 57% della Puglia, il 58% del Molise e il 55% della Basilicata sono a rischio desertificazione), ma anche al Centro e al Nord, dall’Abruzzo all’Isola d’Elba, dall’Emilia-Romagna alla Lombardia. 

 

 

Cimiteri

Il delta del Danubio è una sterminata no man’s land, fatta più di acqua che di terra, dove il fiume svanisce nel mare. Sulina è una piccola città costiera della Romania, situata nelle adiacenze della foce del Danubio. E’ raggiungibile solo arrivandoci in barca da Tulcea perchè non esistono strade che la collegano al resto del Paese. Nacque nel 1856, dopo la guerra di Crimea, per garantire la libertà di navigazione e di commercio sulla grande arteria fluviale, assicurando nel contempo la neutralità del tratto marittimo del Danubio. Sulina divenne porto franco e si sviluppò rapidamente diventando una piccola cittadina cosmopolita, la cui neutralità, anche in caso di guerra, era certa per statuto. A quel tempo ospitava  22 comunità religiose e sette consolati. Di quegli anni è sopravvissuto poco, tra cui un cimitero multietnico, situato alla porta d’uscita dalla città, andando verso la spiaggia. In realtà più che un cimitero, è un insieme di quattro cimiteri: quello britannico, quello ebraico, il cimitero cristiano e quello mussulmano (quest’ultimo facilmente riconoscibile perché sulle tombe spesso campeggia un fez). Le tombe, all’ombra di un salice o di un’acacia, raccontano storie di pirati, principesse e giovani innamorati…

Cavriglia

Il territorio di Cavriglia si estende nel Valdarno superiore, ai piedi dei Monti del Chianti. Con le sue caratteristiche frazioni arroccate, è un paese che ha in sé una lunghissima storia, come dimostrano alcuni ritrovamenti di epoca romana ed etrusca.

Il comune di Cavriglia include il borgo abbandonato di Castelnuovo dei Sabbioni, un paese ricco di fascino che si affaccia sul lago di San Cipriano, uno dei molti paesi fantasma che popolano l’Italia. E’ un abitato di origini medievali, che nei secoli è arrivato a contare anche cinquecento e più abitanti. Oggi non ci vive più nessuno: c’è solo un museo, il MINE – Museo delle Miniere del Territorio . Racconta un’attività economica che ha fortemente inciso sul territorio di Cavriglia: quella delle miniere di lignite, un combustibile che a Castelnuovo è stato estratto dall’Ottocento e che ha cambiato radicalmente la conformazione del sottosuolo, tanto che alcune frazioni hanno subìto danni irreparabili. Proprio l’escavazione della lignite, nella seconda metà del Novecento, è stata causa del progressivo spopolamento. Il minerale serviva ad alimentare le vicina centrale termoelettrica di Santa Barbara e l’Enel espropriò il paese. Altri sei abitati furono rasi al suolo. Poi le miniere nel 1994 si esaurirono e l’azienda cedette il paese al Comune. Ma nessuno vi è tornato ad abitare. Castelnuovo, sul finire della Seconda Guerra Mondiale, era stato poi segnato da una strage: settantaquattro persone inermi furono fucilate nella piazza del paese dai nazisti. Un dramma che ai nostri microfoni ha raccontato Emilio Polverini, il figlio di uno delle vittime.

Recentemente Cavriglia si è aggiudicata la quota toscana della linea A di un bando del PNRR , che destina 420 milioni di euro a 21 borghi individuati da Regioni e Province autonome. Il bando è legato alla rigenerazione dei borghi a rischio abbandono o abbandonati (analogamente, oltre alla Toscana, ciascuna Regione o Provincia Autonoma, per un totale di 21, riceverà un importo pari a 20 milioni di euro da destinare a un borgo del suo territorio). “Con questi soldi” dichiara il sindaco di Cavriglia Leonardo degli Innocenti “andremo a realizzare tante iniziative: ci saranno quelle turistiche con un albergo diffuso, una casa per la residenza degli artisti, attività di carattere commerciale e artigianale ma soprattutto è intenzione destinare parte di queste abitazioni a social housing e quindi favorire l’insediamento di giovani coppie perché vogliamo che questo borgo rinasca davvero, non sia un museo o un presepe ma porti posti di lavoro e tanta nuova vita”

Sì, viaggiare / evitando le buche più dure…

Il racconto di due viaggi particolari e un suggerimento per uno alla portata di tutti.

Roberto, 67 primavere sulle spalle, è in pensione da pochi mesi. Per festeggiare questa nuova fase della sua vita è partito da San Donato Milanese per un lungo viaggio in bici  alla volta della Sierra Leone. Giornalista e scrittore, è da anni un cultore del pedale (ha alle spalle molte edizioni della Maratona delle Dolomiti, dell’Eroica, di tante gran fondo e alley cat…) ed è partito per questo viaggio di quasi 7.000 chilometri, in sella alla sua bicicletta, con l’obiettivo di raccogliere donazioni per alcune associazioni che lavorano“in Africa e per l’Africa, ma anche per tutti noi”. Un viaggio che si può seguire in tempo reale grazie al suo blog.

Sandro e Ersilia invece sono una coppia di camperisti e vivono pochi chilometri a nord di Milano. Lei lavora come educatrice nell’ambito della disabilità, lui da 12 anni è maestro in una scuola primaria. Hanno due figli, 8 e 5 anni, e il loro arrivo ha consolidato nei genitori l’interesse per le pedagogie alternative. Partecipano alle assemblee della rel italiana (rete educazione libertaria) e dell’eudec. Nel 2017 hanno contribuito a dar vita ad un progetto di outdoor education per bambini dai 3 ai 6 anni (i cosiddetti “asili nel bosco”). Quest’anno hanno deciso di farsi un regalo: chiedere aspettativa dal lavoro e partire per un viaggio di almeno sei mesi! Hanno acquistato un vecchio camper dell’86 e da metà luglio hanno iniziato a percorrere in lungo e in largo l’Europa. Non hanno una meta finale precisa, ma nel loro percorso includeranno (lo stanno già facendo, basta seguire il loro viaggio sul blog ) tappe pedagogiche facendo visita a scuole democratiche, progetti di unschooling, asili nel bosco…

Alla portata di tutti sono i viaggi nei fine settimana con il Treno di Dante , tra Firenze e Ravenna. 136 km a bordo del “Centoporte”, un treno storico messo a disposizione dalla Fondazione FS Italiane, che viaggia sulla linea ferroviaria Faentina, la prima in Italia ad attraversare gli Appennini, toccando le terre percorse del Sommo Poeta nel suo esilio.  Un percorso che coniuga celebri città d’arte e borghi medievali completamente immersi nella natura. Un viaggio nel passato, attraverso il tempo e la storia.

Circumnavigando l’Etna a bordo di una littorina…

Antonio Licciardello è il capo dei capitreni. E’ lui il nostro Virgilio che ci conduce alla scoperta di una linea ferroviaria unica al mondo: la Circumetnea. Fasciato nella sua divisa, con tanto di cravatta bloccata da una ruota alata, simbolo aziendale adottato dai ferrovieri, ci aspetta alla stazione di Catania Borgo.  Il treno, costituito da una carrozza, parte con un fischio. In 123 anni la ferrovia è stata intercettata 4 volte da colate laviche, tutte nel tratto Randazzo-Riposto, ma è sempre rinata. Fin dalla partenza il binario è fiancheggiato da nere rocce laviche. Superato Misterbianco si apre un grandioso panorama verso “a’ muntagna” con una vegetazione che varia continuamente. E’ una campagna fittamente coltivata: gli agrumeti lasciano il posto agli ulivi, a qualche raro vigneto e ai fichi d’India. Il paesaggio cambia superata Adrano, dove il treno arranca in salita attraversando piantagioni di pistacchio impiantate sulla roccia lavica (il signor Carmelo, che ha ereditato dal padre il terreno e la passione per i pistacchi, ci spiegherà che le proprietà organolettiche di queste rocce non te le dà nessun altro suolo…). Passeggiando per Bronte si scoprono edicole votive inneggianti alla Madonna con la pistola, mentre se ci si spinge sino alla rimessa della famiglia Gullotti, nella periferia di Bronte, si può fare un incontro ravvicinato con il carretto siciliano, un veicolo nato come mezzo a trazione equina e poi convertitosi in veicolo di trasmissione culturale. Il viaggio prosegue toccando il punto più alto del tracciato ferroviario: all’altezza di Rocca Calanna siamo quasi a 1000 m slm. Alla nostra destra il vulcano è preceduto dall’enorme macchia verde del Parco dell’Etna: pinete, faggete, boschi di betulle, cespugli di ginestra. Un habitat favorevole alla sopravvivenza di animali selvatici come la volpe, la lepre, il coniglio, il riccio, il pipistrello, così come uccelli da preda come falchi, gufi e aquile reali. Il borgo medievale di Randazzo merita una sosta per poterlo visitare. E’ conosciuto come “la città delle 100 chiese” e almeno tre meritano di essere visitate. La chiesa di Santa Maria, nel quartiere latino. Quella di San Niccolò, nel quartiere greco e quella di San Martino, nel quartiere romano (suo è quello che viene considerato il miglior campanile di Sicilia). Superato Randazzo il treno sfiora i resti di una casa immersa nella lava della colata che se l’è ‘mangiata’ la notte tra il 17 e il 18 marzo 1981.  Da qui inizia la discesa lungo la valle dell’Alcantara ed il paesaggio diventa meno aspro e selvaggio. La campagna inizia ad essere punteggiata da fastose ville mentre il treno attraversa i pregiati vigneti della Solicchiata.  I binari sono fiancheggiati da ginestre e zagare. Paesi e frazioni vengono superati uno dopo l’altro, mentre in lontananza si scorge il baluginare dello Ionio e ai lati della ferrovia ricompaiono gli agrumi. Il capolinea di Riposto è sempre più vicino…

Dove dormire, mangiare e altre info: vai qui

 

A Kiev per costruire le ragioni della pace

L’idea di partenza ai più poteva sembrare solo un sogno: andare in un Paese dove le bombe continuano a cadere per affermare che non basta la resistenza armata contro l’invasore russo. E farlo in un momento in cui il letto del pacifismo è in secca rendeva quest’idea un azzardo. Il MEAN, “Movimento Europeo di Azione nonviolenta”, un’unione di oltre 40 organizzazioni, ci ha creduto e ha lavorato per mesi al fine di condurre in porto una prima iniziativa concreta: collegare le società civili ucraine e italiane, portando una ‘delegazione’ di quest’ultima a Kiev per parlare di pace proponendo azioni di pacificazione.

Una ‘delegazione’ formata da una sessantina di persone provenienti da mondi e culture diverse: dall’universo religioso a quello laico. In comune, per molti loro, un lavoro quotidiano per gli ultimi nelle periferie del Bel Paese. Soggetti del mondo del volontariato e movimentisti radicali. Agricoltori sociali e consiglieri comunali. Ricercatori e docenti universitari. Un giovane frate e un prete che da una vita in Calabria combatte la ‘ndrangheta. Insegnanti, librai e medici. Un europarlamentare del PD (Pierfrancesco Majorino) e Marianella Sclavi, sociologa e attivista di respiro internazionale.

Il loro vangelo (o libretto rosso, a secondo dell’appartenenza) sono le riflessioni di Alex Langer. Andare a Kiev era l’occasione per essere accanto agli ucraini aggrediti e martirizzati da troppe settimane. “Le mani che si stringono sono il nostro ponte” ha scritto Erri De Luca “La guerra è una terra desolata dove ogni minimo gesto di fraternità ha la sfacciata forza di negarla“. Una delle parole d’ordine adottate dal MEAN, giocando sul significato della parola inglese ‘arms’, è MORE ARMS FOR HUGS: più braccia per gli abbracci. E per rendere questo abbraccio ancora più intenso il primo atto dei pacificatori italiani, una volta arrivati a Kiev, è stato incontrare una delegazione ucraina e, assieme a loro, collegarsi con una quindicina di piazze italiane. Da Milano a Battipaglia, da Aversa a Manfredonia, da Nocera Inferiore a Pomigliano d’Arco (c’era anche un collegamento da Londra). In alcune piazze un drappello di persone, in altre alcune centinaia. Tutte avevano preparato un intervento, molte anche una canzone. MC della serata, da Kiev, Tetyana: una giovane signora ucraina che da anni vive a Benevento (è una soprano e, potenza della multiculturalità, insegna canto beneventano).

Nella seconda giornata, lunedì 12 luglio, la carovana dei pacificatori italiani è stata ricevuta in Municipio. Ad attenderli, nella Sala delle Colonne, la più prestigiosa dell’edificio, Visvaldas Kulbokas, Nunzio Apostolico in Ucraina, e l’ex pugile Vitali Klitschko, oggi sindaco di Kiev.

Ed è anche in nome di quella resistenza che i pacifisti sono venuti a Kiev. Per non lasciare soli gli ucraini e, per quanto possibile, cercare di dare loro un aiuto anche come società civile,  nel pomeriggio ci si è spostati in un museo dove ci si è divisi in gruppi di lavoro promiscui, formati da ucraini ed italiani. Sono state affrontate tematiche come il processo di partecipazione per discutere i negoziati possibili come società civile, giovani e recupero post traumatico, come proteggere i beni culturali, la (ri)nascita e il rilancio del turismo al termine della guerra.

 

Globalizzazione? Ma dai…

Un viaggio in compagnia di Alfredo Luis Somoza, un viaggio in cui  si parla del rapporto tra la globalizzazione e la geografia. Dell’esotismo della miseria “tutto compreso”, ovvero delle varie “isole dei famosi”. Di fake beach come Ocean Cay, la prima destinazione inventata sulla quale scaricare turisti senza impatto ambientale. Della storia dei Los Tigres del Norte e della poetica di Violeta Parra. E di due libri scritti da Alfredo: “Siamo già oltre? La globalizzazione tra fake e smart” (Edizioni https://ogzero.org/)  e “Un continente da favola” (Edizioni https://www.rosenbergesellier.it/ita/).

Nel primo Alfredo interpreta le dinamiche della globalizzazione smascherando le fake news in modo puntuale e documentato, indagando sui reali vantaggi della civiltà cosiddetta smart.
Davanti a uno scenario – confuso e pericoloso – va rivalutato il percorso intrapreso nei primi anni Duemila a Porto Alegre, in Brasile. I forum sociali mondiali di allora erano raduni molto eterogenei in cui movimenti sociali e forze politiche discutevano dei pro e contro della globalizzazione, rifiutando l’idea di chiudersi entro i propri confini. Ha prevalso invece un timore reverenziale, o complice, nei confronti delle lobby che ci hanno speculato, dimenticandone le ricadute negative.
Alfredo Somoza analizza gli scenari dell’economia neoliberista che erode i diritti, della lotta per la terra e l’ambiente: non tutto ci è stato ancora svelato perché spesso le notizie non riescono a guadagnare i titoli dei giornali, per censura o per conflitto di interessi.

Nel secondo volume, “Un continente da favola. Trenta leggendarie storie latinoamericane”, ci regala la conferma che l’America Latina è una miniera inesauribile di storie impossibili, romanzesche, drammatiche, incredibili, epiche. Storie di persone comuni che la vita, la geografia, la cultura di quel mondo, sconvolto dalla Conquista e arricchito dai tanti meticciati, ha trasformato in vite spesso leggendarie, contribuendo a creare e alimentare un mito che ancora oggi resiste vivissimo nell’immaginario. Il volume presenta trenta ritratti di personaggi noti o sconosciuti, dal mondo della musica, della cucina e delle telenovelas, ai rivoluzionari ed eroi di ieri e di oggi, fino alle figure più folli o inquietanti.