Fino a Cuneo il paesaggio è uniforme, dominato dalla pianura, ma appena si supera la città la strada incomincia a salire e intorno si aprono boschi quieti e prati brillanti. Fino ad arrivare a un piccolo borgo che colpisce l’attenzione perché propone due campanili. Uno a pochi metri dall’altro. E’ San Mauro, una delle borgate di Rittana, un comune – incastonato tra le creste dei monti in una valle minore a lato della più ampia Valle Stura di Demonte – che di borgate ne ha addirittura una quarantina. Nel municipio di Rittana, a San Mauro, incontriamo Giacomo Doglio, il sindaco. Ci racconta come nel corso del Novecento le zone montane e collinari della provincia di Cuneo sono state oggetto di un massiccio fenomeno di spopolamento, che perdura a tutt’oggi. E di come lo si possa combattere utilizzando anche la cultura. Un esempio sono le iniziative del progetto Radis , un progetto nato con l’obiettivo di arricchire il territorio piemontese con un patrimonio di opere di arte pubblica per la comunità, con programmi educativi, incontri pubblici e progetti espositivi che restituiscano alla collettività parte della collezione della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT. Marta Papini, curatrice del progetto Radis, ci illustra la mostra collettiva aperta il 14 luglio nella ex canonica di San Mauro e il progetto dell’artista Giulia Cenci che lavorerà in dialogo con il territorio e i suoi abitanti per sviluppare un progetto site-specific che tiene conto della storia e delle caratteristiche del luogo dove, ai primi di ottobre, la sua opera verrà istallata: il Chiot Rosa. Salendo a piedi su una carrozzabile per una quarantina di minuti, a 1360 metri di quota, si arriva alla Borgata Paraloup , un villaggio di una dozzina di baite posto a 1.360 m di quota nel vallone laterale di Rittana. Oggi è una realtà che offre servizi di carattere culturale, sociale e turistico, dove vivere tutto l’anno un’esperienza di comunità accogliente, solidale e sostenibile. Il vecchio villaggio alpino protagonista della storia della Liberazione, è stato completamente restaurato secondo un progetto architettonico innovativo pluripremiato ed efficientato energeticamente. La borgata Paraloup (toponimo occitano che significa “al riparo dai lupi”) nel 1943 diede ospitalità alla prima banda partigiana di Giustizia e Libertà, capitanata da Duccio Galimberti e che vide il passaggio di personaggi come Dante Livio Bianco, Nuto Revelli, Leo Scamuzzi, destinati a diventare protagonisti della lotta di liberazione. Fu una fucina di libertà, un luogo in cui circa 200 giovani, dell’età media di 20 anni, di ogni estrazione sociale si radunarono da tutto il Paese per ricevere formazione politica e militare in vista della lotta per la liberazione dal nazifascismo e la ricostruzione di un’Italia democratica. Oggi, grazie all’opera della Fondazione Nuto Revelli , la borgata Paraloup è un mirabile esempio di montagna che rivive.