Sentieri migranti

“Un immigrato è qualcuno che non ha perso niente,
perché lì dove viveva no aveva niente”      Jean Claude Izzo

Vanno di moda i cammini. Quasi ogni settimana ne nasce uno. Tra gli ultimi nati il cammino di San Francesco. Questo è l’anno dantesco e spuntano come funghi cammini sulle orme dell’Alighieri.
Ce ne ne sono però altrettanti che non appartengono alla sfera del loisir. Sono quei percorsi oggi calpestati da chi per scelta, per obbligo e per necessità, intraprende un viaggio, trasformandosi in migrante dopo essere stato esule, perseguitato o discriminato. Percorsi da fare nel tentativo di
superare quella linea immaginaria chiamata confine. Vicino a Ventimiglia, tra Grimaldi e Garavan ci sono due sentieri che si riuniscono all’altezza della linea della frontiera. Da lì, lungo i secoli, sono passate, al prezzo di inaudite sofferenze, migliaia di persone nella speranza di una vita migliore. Dagli antifascisti (compreso, sembra, il futuro presidente Pertini) agli ebrei come Robert Baruch che nel 1939 disegnò e spedì da Nizza, alla propria comunità di Merano, una mappa che rappresenta con esattezza il sentiero. Un tentativo concreto di offrire una fuga dalle leggi razziali. Oggi su quel Sentiero della Speranza ci passano centinaia di migranti. Altri cercano di farlo sui sentieri delle Hautes-Alpes: nei boschi tra Italia e Francia, in mezzo alla neve, tra piste da sci e turismo… una realtà raccontata da “The Milky Way – Nessuno si salva da solo”, un film di Luigi d’Alife. Altri seguono i vecchi sentieri che portano in Ticino, mulattiere in passato battute da contrabbandieri e spalloni. E poi c’è la rotta del Brennero e quella che passa per il Carso. Di tutti questi sentieri ne parla Alberto Abo di Monte nel libro “Sentieri migranti – Tracce che calpestano il confine” (Mursia), che ci racconta anche la “non” differenza tra un “cervello italiano in fuga” e un migrante economico pakistano, entrambi laureati. Alberto Visconti infine, ci presenta il brano con cui recentemente ha vinto il Sanrito Festival . Un brano eseguito insieme al CoroMoro, un coro formato da giovani richiedenti asilo politico nelle Valli di Lanzo. Ragazzi che arrivano da Mali, Senegal, Gambia, Nigeria, Costa d’Avorio, che cantano e interpretano (molto spesso in dialetto piemontese) con grande energia, creatività e ironia canzoni popolari, principalmente in dialetto piemontese.

L’Ultima Ruota

 

L’Ultima Ruota è la sfida su due ruote per la Cultura e lo Spettacolo dal Vivo che è partita da Milano il 24 febbraio 2021 per arrivare, in sei tappe, a Sanremo il primo marzo, giorno di apertura del Festival. I partecipanti a questa ciclo maratona sono professionisti del mondo della Cultura e dello Spettacolo che si sono messi in sella per dar vita ad un’azione dal forte valore poetico e politico. Pedalando hanno raccolto le voci di chi riconosce la Cultura come necessaria, anche in termini di salute dei cittadini. E le hanno recapitate agli organizzatori del Festival

La loro carovana a pedali ha toccato piazze, musei e teatri, luoghi vitali per il territorio che sono stati brutalmente chiusi. Un’azione coraggiosa, democratica, epica e gentile com’è la bicicletta, che porta a spingere sui pedali all’insegna di salite e discese, glorie e fatiche. La bicicletta è stata la loro cifra stilistica, la metafora del loro mestiere, il catalizzatore sociale che ha scandito il loro procedere.

Una Milano- Sanremo dove non c’era la preoccupazione di chi arrivasse primo, perchè l’unica vittoria era arrivare insieme.

Nella puntata abbiamo raccolto alcune tra le voci che hanno salutato la partenza della carovana (dall’assessore alla cultura del Comune di Milano, Filippo del Corno, agli artisti della Brigata Brighella ) e di alcuni degli ospiti incontrati nelle tappe durante il viaggio.

Un grazie a Paola Piacentini e a Guido Foddis de la Repubblica delle Biciclette

Murales

Piccole edicole, affreschi, murales, altari a Napoli ricevono la devozione popolare: sono dedicati a vittime accidentali o a quelli che la cronaca definisce “giovani criminali”. Entrambe le categorie sono ritenute in grado di intercedere per chi è rimasto. La ministra Lamorgese è drastica: “Rispettiamo il dolore, però sulla legalità non cediamo e li smantelleremo”. Nei Quartieri Spagnoli il murales dedicato a Ugo Russo, un 15enne del quartiere freddato mentre tentava una rapina ai danni di un carabiniere fuori servizio la notte del 29 febbraio 2020, è uno di questi e la volontà di cancellarlo sta creando forti tensioni, come testimoniato dalla pagina facebook del comitato degli amici di Ugo. Lo scrittore Luca Delgado, senza far coincidere le due tragiche storie, fa una riflessione tra la storia di Ugo e quella di George Floyd: “Qualcuno mi deve spiegare il perché quando George Floyd è morto si è fatta la corsa alla denuncia e alla richiesta di giustizia e per Ugo Russo invece si è fatta la corsa a chi lo disconosceva come napoletano e lo condannava con il solito campionario di cattiverie inutili e banali, come se la sua morte fosse una liberazione. Mi si deve spiegare perché, dopo l’ordinanza del Comune e il parere del Prefetto, si intende procedere alla rimozione del murale che ritrae Ugo Russo, quando di George Floyd esistono murales in tutto il mondo”.
Laika è una donna romana che tiene molto al proprio anonimato. Nelle foto che la ritraggono appare con una maschera bianca e una parrucca rossa. Di lei non è dato sapere quasi nulla, né età né quartiere di provenienza, tranne che è single. Di sé non vuole dire altro, tutto qui. Anche nelle conversazioni telefoniche usa un modulatore della voce per non correre il rischio di farsi identificare. Laika, il nome di copertura che utilizza come filtro dalla vita reale, è Laika MCMLIV (1954 scritto in numeri romani, anno di nascita della cagnetta russa che fu il primo essere vivente in orbita nello spazio a bordo dello Sputnik 2).
La scelta di non mostrare mai il proprio volto è giustificato dalla volontà di non volere che il suo aspetto fisico influenzi il suo messaggio. L’immagine neutra di un alter ego inventato la rende libera. Laika in genere non utilizza i muri come tele per i suoi dipinti, ma li usa per attaccarci i poster che lei produce. Scherzando non si definisce street artist, ma attacchina.
Qualche giorno fa si è recata al confine tra Bosnia e Croazia, nelle località di Lipa, Bihac e Velika Kladusa, nel Cantone dell’Una Sana, per raccontare, attraverso i suoi poster, le condizioni in cui versano i migranti.
Il calciatore guineiano Cherif Karamoko invece è uno che il viaggio da migrante l’ha vissuto sulla propria pelle. Un viaggio durante il quale ha perso suo fratello: dopo aver perso i genitori, il fratello rappresentava la figura più importante nella sua vita… Un’esperienza drammatica che racconta nel libro “Salvati tu che hai un sogno” (Mondadori). Una storia emblematica che aiuta a comprendere l’apocalisse che molte persone e interi popoli, non solo del continente africano, stanno vivendo in questi decenni oscuri.

Greenway: la rete delle ex ferrovie recuperate al cicloturismo

C’era una volta la ferrovia, il mezzo di trasporto che cambiò le vite della gente, le loro abitudini e l’intera società. Ma laddove c’era una volta la ferrovia e oggi non c’è più – perché superata dalle auto o addirittura dai treni ad alta velocità – sono rimasti dei cammini ferrati che sono al tempo stesso memoria storica, patrimonio culturale e, spesso, ambiente incontaminato da ripercorrere indietro nel tempo, a piedi o in bicicletta. La FIAB per anni ha portato avanti una battaglia storica che finalmente sta dando i suoi frutti perchè anche in Italia si sta estendendo la rete delle ex ferrovie recuperate al cicloturismo e alla mobilità dolce. Una realtà che ci fotografa Michele Bernelli, direttore della rivista BC , che ci ricorda che se nel 2010 erano 640 i chilometri complessivi riconvertiti, dieci anni dopo c’è un aumento di oltre il 50%: oggi l’Italia conta 1033 chilometri di ciclabili che corrono su ex sedimi ferroviari. Ornella D’Alessio, autrice
del libro “Vie Verdi” (editore Cinquesensi, collana Omnes Viae), dove raccoglie venti itinerari che permettono ai tanti walker, anche di ultimissima generazione, e biker di scoprire nuovi interessanti percorsi, ce ne consiglia alcuni. Tra questi c’è la ciclopista del Trammino, inaugurata lo scorso 8 agosto. Il tracciato è lungo quasi dieci chilometri e si sviluppa lungo l’antico tracciato del tram su rotaie, da cui prende il nome, che ha terminato le corse negli anni ’60. Antonio Dalla Vedova, ex presidente Fiab e oggi responsabile area cicloturistica, ci descrive la Treviso-Ostiglia, il tratto cicloturistico veneto più importante: 52 km già attivi (e la Regione Veneto ha finanziato il prolungamento di altri 35 km).
La cultura del riutilizzo delle ex strade ferrate è sbocciata in America negli anni Sessanta.
Oggi si può spostare la propria residenza nel nord ovest dell’Arkansas e ricevere in cambio 10mila dollari e una bicicletta (questo angolo dell’Arkansas è ricco di piste ciclabili e percorsi naturalistici). Basta aderire al piano Life Works Here: findingnwa.com/incentive. Occorre avere almeno 24 anni ed essere disposti a fare i bagagli e partire al massimo sei mesi dopo l’accettazione della propria domanda.

Grazie a lifeintravel.it per l’utilizzo di alcune loro fotografie. Un saluto a Nala che compare nella foto di apertura.

Turismo Industriale

Negli ultimi anni, il patrimonio industriale è diventato un tema d’interesse anche per il turismo. Sono nati ovunque percorsi locali e regionali, reti di musei e veri e propri sistemi di promozione turistica del territorio. E l’Italia è in prima linea nella valorizzazione di questa grande risorsa che comprende sia l’archeologia industriale – fabbriche dismesse, musealizzate o riconvertite a nuove funzioni – sia la cosiddetta cultura d’impresa, che include i musei e gli archivi aziendali e le visite all’interno di impianti industriali ancora attivi. Jacopo Ibello, cofondatore e presidente dell’associazione Save Industrial Heritage , ha realizzato “Guida al turismo industriale” (Morellini Editore): oltre 200 schede per scoprire i più importanti siti di archeologia industriale, i musei e gli archivi d’impresa che costellano la nostra penisola. Tra questi il Molino di Baggero , nel comasco. I mulini furono per secoli l’attività predominante della Brianza, attori non solo del sistema economico ma anche della trasformazione del paesaggio. A Baggero un attento lavoro di salvaguardia ha preservato un mulino sul Lambro del 1722, dove è stato ricavato un museo che spiega il funzionamento dei macchinari ed è spazio per eventi e attività artigianali. Oggi le ruote del mulino producono l’elettricità che alimenta l’hotel-ristorante alla base dell’Ecofrazione di Baggero, un luogo di accoglienza, artigianato e cultura incentrato sull’ecologia. Il Museo della Civiltà Contadina di Bentivoglio , ospitato nella splendida villa Smeraldi, ci permette di conoscere quello che c’era prima della civiltà industriale. Nei saloni della villa settecentesca è possibile apprendere come viveva una famiglia contadina tradizionale e i tanti mestieri artigianali presenti nelle comunità di campagna. Il Museo Fisogni  è il parto di un “visionario”, il signor Guido Fisogni. Per quarant’anni ha costruito stazioni di rifornimento carburanti in tutto il mondo. Non buttava i vecchi impianti, ma li accantonava per conservarli. E’ nato così, in una cascina alle porte di Tradate, un coloratissimo museo che raccoglie pompe di benzina e oggetti riferibili al mondo delle stazioni di servizio. Infine un ex dipendente della Miniera di Montevecchio in Sardegna, oggi aperta ai visitatori, ci racconta la vita in una realtà totalizzante dove tutto, dalla valuta con cui venivano pagati i minatori alla loro squadra di calcio, era governato dal padrone della miniera.

Le rotte dell’arte africana

 

“La sciabola che vi consegnamo oggi risplende alla luce del sole, è la luce della conoscenza e dell’amicizia che lega i nostri popoli”, aveva detto, in presenza del presidente senegalese Macky Sall, l’ex primo ministro francese Édouard Philippe, il 17 novembre 2019, in visita a Dakar. Interveniva in occasione della restituzione della Francia al Senegal della sciabola di El Hadji Omar Tall, condottiero che si oppose alla dominazione francese in Africa occidentale. Philippe, accompagnato da un’importante delegazione ministeriale, aveva ricordato le circostanze di questa restituzione: “Come sapete il presidente Macron ha sottolineato più volte il suo desiderio di valorizzare il patrimonio africano in Africa. E’ quello che farà il Museo delle Civiltà Nere con il sostegno dei musei francesi”. Il gesto simbolico si è concretizzato un anno dopo l’inaugurazione del nuovo museo di Dakar, che porta il marchio anche di un altro attore internazionale importante, la Cina. Da molti anni Pechino sta sviluppando infatti una “diplomazia del patrimonio culturale”, al cui centro c’è proprio l’Africa e il dibattito sulla restituzione delle opere d’arte africane da parte degli ex colonizzatori. Progettato dal Beijing Institute of Architectural Design, uno studio di architettura di cui è proprietario lo stato cinese, il Museo delle civiltà nere di Dakar è un dono di 30.5 milioni di euro della Repubblica popolare cinese al Senegal. Il Museo è il punto di arrivo di un’idea promossa mezzo secolo fa dal primo presidente del Senegal, il poeta e intellettuale Léopold Sédar Senghor. Un museo panafricano – alla stregua di quello di arte contemporanea inaugurato a Johannesburg nel settembre 2017 – chiamato a diventare un punto riferimento per far conoscere la storia culturale del continente, far emergere la sua identità artistica e il contributo dato al resto dell’umanità. In tutto potrà contenere fino a 18 mila opere che spaziano dalle vestigia dei primi esseri umani apparsi in Africa milioni di anni fa – tra cui teschi, attrezzi in pietra, maschere, pitture e sculture – fino alle creazioni artistiche contemporanee. Va però specificato che nonostante le promesse di Macron ad oggi la Francia ha restituito solo la sciabola di El Hadji Omar Tall. Uno che l’ha presa male è Emery Mwazulu Diyabanza, attivista congolese che ha deciso di ovviare a questo ritardo scendendo in campo in prima persona. Da mesi entra a volto scoperto, disarmato, nei musei d’arte africana francesi, si impossessa di opere d’arte trafugate dai colonialisti comunicando agli astanti che le riporterà in Africa… Un’attività che gli costata più di una denuncia per furto.
La riapertura, e il cambio di politica culturale, dell’AfricaMuseum: il Museo reale dell’Africa Centrale a Tervuren nella periferia di Bruxelles, considerato il più grande museo del mondo consacrato al continente africano
Il punto sulla campagna Decolonize the City a Milano e la storia della statua del rivoluzionario Thomas Sankara che, intallata vicino a quella del giornalista Indro Montanelli, è stata rimossa e sequestrata. Infine Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino ci racconta la vita della struttura che dirige in questi mesi di pandemia e di chiusure forzate.

Info sulla restituzione di tutti i tesori coloniali su colonialismreparation.org/it

 

Rugby a Maputo

“C’è una strada di asfalto e tutt’intorno viuzze di sabbia che si divincolano tra abitazioni di cemento e lamiera, tra chiese ricavate da vecchi capannoni e da baracche che vendono “tresém”, tre birre a un euro e trenta. Nel mezzo è tutta sabbia, sabbia rossa e sabbia gialla, che s’impantana quando piove e che s’impiglia nei capelli quando tira vento. Magoanine B è un quartiere tra tanti, sorto una quindicina di anni fa da un progetto di ricollocamento degli abitanti di altri quartieri devastati dalle inondazioni che periodicamente mettono in ginocchio il Mozambico. Nel Duemila qui c’erano solo alberi e sabbia, ma era considerata una zona sicura e così ci hanno trasferito la gente e poi sono arrivate le case e le strade ma si sono dimenticati di fare i canali di scolo, e allora il problema degli allagamenti si presenta ogni quindici giorni…
…la scuola primaria di Magoanine B sta nel mezzo delle strade di sabbia, a una decina di minuti a piedi dalla strada: dalla fermata CMC (acronimo di Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna) s’imbocca una larga strada di sabbia da percorrere fino al primo albero di canhu, lì si gira a destra affondando nella sabbia e nei mattoni incastonati nella terra per permettere il passaggio quando piove, e poi al terzo albero di moringa si svolta a sinistra e poco dopo spunta la scuola. È così che spieghiamo agli allenatori come arrivare alla scuola per fare i primi allenamenti di rugby: il popolo Machangana si orienta così, e non si perdono mai”.
E’ così che Irene Bellamio, sul sito www.rugbio.it/maputo/magoanine-b, racconta il luogo dove lavora come allenatrice di una squadra di rugby che oltre a far giocare con la palla ovale decine di ragazze e ragazzi, assolve a un grande compito sociale. Il progetto RugBio Magoanine B ha tanti amici, tra cui l’ASD Rugbio di Cusago: Alessandro Acito ci racconta come in pratica nella periferia di Milano, con i loro ragazzi, fanno lo stesso lavoro che Irene fa a Maputo. Giorgio Terruzzi di Rugby Milano , una realtà che oltre a coinvolgere oltre 600 giocatori dai 5 agli over 50 anni ha portato il rugby nelle carceri milanesi, ci spiega perchè lo sport con la palla ovale è una realtà che genera condivisione e appartenenza come elementi non mercificabili.

Marco Trovato, direttore della rivista Africa , ci aiuta a capire la complessa società mozambicana raccontandoci due ‘comunità’ che vivono per le strade di Maputo: i “motociclisti-indipendentisti” e i ‘madgermanes’ . Infine Martina Zavagli, della ong AVSI , ci racconta di un progetto praticato a Maputo per un uso ‘fiabesco’ della radio…

Per sostenere il progetto RugBio Magoanine B: www.gofundme.com/rugby-for-mozambique

 

JOSHUA TREE (Foreste 02)

“Gli alberi sono le braccia della terra. Quando avremo tagliato tutti gli alberi il cielo ci cadrà addosso” (proverbio degli Indios dell’Amazzonia)
Francis Hallè, botanico e biologo francese, nel suo imperdibile “Ci vuole un albero per salvare la città” (ed. Ponte alle Grazie) scrive che “ci vuole un albero per salvare le città ormai assediate dall’inquinamento, dal cemento, dal calore, dagli insetti e dal rumore”. Un albero sembra una cosa da poco, una soluzione semplice, da fiaba, per gente un po’ ingenua e pre moderna che non ama la tecnologia. Invece, sempre secondo Francis Hallé “non esiste nessuna tecnologia che sia complessa e perfetta come quella di un albero. Sono esseri viventi che non hanno la possibilità di muoversi e dunque hanno sviluppato strategie estremamente sofisticate per sopravvivere. Vivono a lungo, in modo pacifico, e possono aiutarci a stare meglio: la loro ombra rinfresca le nostre estati estive; aumentano l’umidità dell’aria e dunque abbassano la temperatura; assorbono l’anidride carbonica e le polveri sottili, e molte altre cose ancora. Dobbiamo imparare a rispettarli e ad amarli, pensare a loro come nostri amici e compagni, cittadini del mondo, silenziosi e saggi guardiani delle nostre vite”. Uno che le piante le conosce bene è il dottor Paolo Lassini. Laureato in Agraria presso l’Università degli studi di Milano, e in Scienze forestali all’Università di Padova, ha lavorato come dirigente presso diversi enti. Ha ideato, progettato o realizzato interventi di forestazione urbana, come il Parco Nord Milano, il Bosco delle Querce di Seveso (un’area naturale protetta rinaturalizzata situata nella ex zona A del disastro di Seveso, dove il terreno inquinato dalla diossina fu asportato e sostituito da terra proveniente da altre aree non inquinate), e il programma “Dieci grandi foreste di pianura e di fondovalle”. Tra queste il Bosco del Lusignolo, nel comune di San Gervasio Bresciano, attualmente gestita come parco naturale. La Grande foresta del fondovalle Valtellinese (sito tra Sondrio, Caiolo e Cedrasco) e il Parco Agricolo Urbano della Vettabbia: 37 ettari (di cui più di 26 di nuovo bosco) nel sud Milano.
Tiziano Fratus, cercatore d’alberi e un filosofo, uno dei più originali e importanti scrittori e poeti di natura italiani, ci racconta come costruire una track list per poi ‘inselvarsi’ accompagnati dalla buona musica. Con l’occasione traccia un ricordo del compositore californiano Harold Budd, recentemente scomparso per complicanze da Covid-19.
Federico Pinato ci racconta come grazie al progetto wow nature , oltre a scoprire tutte le aree in cui sta per nascere un nuovo bosco, è possibile adottare o regala un albero, per migliorare la tua città, il tuo paese e il tuo pianeta.
P.S. Per la colonna sonora della trasmissione abbiamo usato un paio di brani di “Botanica”, un lavoro dei DeProducers , il collettivo musicale composto dal tastierista Vittorio Cosma, dal bassista Gianni Maroccolo, dal chitarrista Max Casacci e dal cantautore e produttore Riccardo Sinigallia.

Il cammino dei Briganti

La Marsica e il Cicolano sono terre di boschi, montagne e storie di briganti. In particolare il territorio attraversato dal cammino è un territorio di confine, oggi tra Abruzzo e Lazio, ieri tra Stato Pontificio e Regno Borbonico. I briganti vivevano sul confine per passare da una parte all’altra a seconda della minaccia. I briganti non erano malviventi, erano più simili ai partigiani, lottavano contro l’invasione dei Sabaudi, che avevano costretto il popolo a entrare nell’esercito. Erano spiriti liberi, che non volevano assoggettarsi ai nuovi padroni, e per questo erano entrati in clandestinità. Una storia fatta anche di rapimenti, riscatti, e tanta violenza. Una storia di 150 anni fa. Oggi l’esperienza dei viaggiatori antichi viene riproposta basata sul viaggiare a piedi da paese a paese lungo questo cammino di 7 giorni, tutto ben percorribile, segnato e con posti tappa attrezzati. E’ qui che si dipana il Cammino dei Briganti: sette giorni di cammino a quote medie (tra gli 800 e i 1300 m. di quota) sulle orme dei briganti della Banda di Cartore tra la Val de Varri, la Valle del Salto e le pendici del Monte Velino. Partenza e arrivo da Sante Marie, vicino a Tagliacozzo (AQ). La guida “Il cammino dei briganti. 100 km a piedi tra paesi medioevali e natura selvaggia” ne dettaglia e illustra storia e percorso. Alberto Liberati, uno degli autori (nonchè guida autorizzata della Regione Abruzzo), lo fa per Onde Road, illustrando la valenza politica e sociale del brigantaggio. Per un approfondimento
“Brigantesse. Storie d’amore e di fucile” di Andrea del Monte (ed. Ponte Sisto) raccoglie tredici poemi che raccontano la vita grama e i riscatti “d’amore e di fucile” di altrettante brigantesse. Tra loro c’è anche Michelina de Cesare, brigantessa nata il 28 Ottobre 1841 a Mignano, in Terra di Lavoro (attuale provincia di Caserta). Figlia di una famiglia poverissima, rimase vedova del primo marito e si sposò con Francesco Guerra nel 1862. Guerra era un soldato borbonico che, come tanti altri, non volle tradire il giuramento di soldato e passare in un esercito nemico, capo di una banda di cui faceva parte anche Michelina e dove, pur essendo donna, ricopriva un ruolo di comando, come dimostrano le armi da lei possedute: una pistola e un fucile a due colpi. Fu tradita dal cugino Giovanni, che condusse i soldati al loro nascondiglio. Lì furono sorpresi nel sonno e uccisi: i corpi di Michelina e Francesco Guerra furono denudati, fotografati e messi in mostra nella piazza principale della città. Tornando ai giorni nostri il pastore Americo, oltre che della sua quotidianità, ci racconta i rischi di estinzione che sta correndo il Lago della Duchessa (situato tra Lazio e Abruzzo, all’interno dell’omonima Riserva Naturale Montagne della Duchessa, con i suoi 1788m è uno dei laghi più alti dell’Appennino). Infine incontriamo il musicista Giacomo Proia, un “ritornante”: dopo anni vissuti a Milano è tornato nella terra dove è nato e ha aperto un ottimo punto di riferimento per i camminatori: l’Ostello Casa Bella.

P.S. Un grande grazie a Fanny, viaggiatrice di Radio Popolare, che ha testato per noi il Cammino dei Briganti dandoci poi le dritte per realizzare questa puntata

RESQ – People Saving People

Una puntata anomala, non solo perchè è prodotta in diretta, ma perchè è legata a un viaggio particolare: quello che migliaia di cittadini del sud del mondo decidono di intraprendere nella speranza di migliorare la qualità della loro vita. Con la puntata di oggi Onde Road vuole dare il suo contributo a “Tra il dire e il mare”, la campagna per mettere in acqua una nuova nave che si aggiunga alle pochissime unità operative nel Mediterraneo. Nella presentazione del progetto RESQ – People Saving People si legge: “…ci siamo uniti per dare un segno concreto e contrastare la cultura dell’indifferenza. Mettendo in mare un’altra nave che sostenga donne, uomini e bambini costretti a spostarsi da situazioni drammatiche o volenterosi di inseguire il proprio sogno, come di diritto. Aggiungendo, con il contributo di chi non è indifferente, una nave alla flotta umanitaria, oggi del tutto insufficiente e spesso ostacolata. Il progetto è avere una nave di circa 40 metri con 10 persone di equipaggio per il funzionamento, e 9 tra medici e infermieri, soccorritori, mediatori, giornalisti e fotografi. Due gommoni veloci, invece, assicureranno gli avvicinamenti alle imbarcazioni in difficoltà e il salvataggio dei passeggeri. Il progetto nasce da un piccolo gruppo di amici, professionisti di varia natura che, stanchi di vedere morire migliaia di migranti nel tentativo disperato di attraversare il Mediterraneo, cercando per sé e per i propri figli un domani migliore, hanno deciso di rompere il muro dell’indifferenza e provare a mettersi in gioco, con un solo obiettivo chiaro: restare umani”.
Ospiti della puntata odierna, per parlare di questo drammatico viaggio:
Gherardo Colombo, ex magistrato, presidente onorario della Onlus ResQ, da quando si è dimesso dalla magistratura, ormai 13 anni fa che si occupa di educazione
Alì Sohna, migrante, nato a pochi chilometri da Banjul, la capitale del Gambia. A quindici anni sua madre e suo fratello maggiore lo hanno portato via, hanno attraversato il deserto e poi il Mediterraneo, ma in Italia è arrivato solo lui.
Don Giuseppe Bettoni, Presidente della Fondazione Arché onlus e titolare di una grossa esperienza di lavoro sociale in un quartiere come Quarto Oggiaro.
Lella Costa, attrice e sostenitrice del progetto RESQ – People Saving People
Massimo Cirri, Caterpillar (Rai 2) e sostenitrice del progetto RESQ – People Saving People

Lessico e nuvole

Che nuvola sarà quella che sta passando sopra la tua testa proprio in questo istante? Quando guardi una nuvola cosa ti viene in mente? Per un tuo ritratto fotografico quale nuvola vorresti come sfondo? Queste sono alcune delle domande che abbiamo fatto a Sarah Zambelli che ha curato i testi (i disegni sono di Susy Zanella) di “Nuvolario. Atlante delle nuvole” (2020, Nomos Edizioni).
Paolo Valisa, che gli ascoltatori di Radio Popolare conoscono per i bollettini metereologici che diffonde dal Centro Geofisico Prealpino, racconta il rapporto con le nuvole di un ricercatore che per lavoro studia quotidianamente le condizioni metereologiche.
Il fotografo Paolo Giocoso ci spiega come fotografare le nuvole, mentre Marco Schiaffino (che a Radio Popolare cura la trasmissione Doppio Click) ci svela i misteri del “cloud”: perché è nato, che cos’è, come funziona, ma è davvero gratis, di chi è, c’è da fidarsi?
Sabrina Peron, avvocatessa milanese, una delle 250 persone al mondo che può esibire la “Triple crown” (riconoscimento che spetta a chi riesce a effettuare il giro dell’isola di Manhattan, la Catalina in California e ad attraversare la Manica) ci racconta le nuvole che incrocia con lo sguardo quando, durante le sue imprese natatorie, alza la testa verso il cielo.
Pedro Armocida, critico cinematografico e direttore del Pesaro Film Festival, ci racconta la genesi di “Che cosa sono le nuvole”, una canzone scritta da Pierpaolo Pasolini, cantata da Domenico Modugno e inserita nella colonna sonora di un episodio, diretto dallo stesso Pasolini, del film “Capriccio all’Italiana” (tra gli attori Totò, Ninetto Davoli, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Laura Betti e lo stesso Domenico Modugno).
P.S. La puntata è dedicata a Nuvola Rossa, nativo americano che in virtù dei successi ottenuti in vari drammatici scontri con l’avanzata americana verso ovest, conquistò un posto di assoluto primo piano tra i capi Lakota del XIX secolo.

Viaggio “al fresco”

Una puntata che a qualcuno potrà sembrare anomala, fuori contesto. Invece per gran parte della trasmissione parleremo di un viaggio, il viaggio dentro le carceri italiane che Luigi Pagano ha fatto nelle vesti di direttore dei suddetti carceri. La ns guida di viaggio è “Il direttore. Quarant’anni di lavoro in carcere “, Zolfo editori, il libro con cui Luigi Pagano, storico direttore penitenziario, racconta i suoi quarant’anni passati accanto ai carcerati, una vita spesa cercandodi ottemperare quel famoso articolo 27 della Costituzione che sancisce come ogni detenuto deve essere recuperato alla società vivendo in condizioni umane; ma anche una vita vissuta all’interno della nostra società che spesso dimentica il principio costituzionale. Con questo libro Pagano traccia un resoconto della propria vita professionale tra Francis Turatello e Mario Chiesa, mafiosi e brigatisti. Quarant’anni vissuti a gestire carceri, da Pianosa ai quindici anni di San Vittore passando per Nuoro, Asinara, Piacenza, Brescia e Taranto. Quarant’anni in cui si è sempre battuto per cercare di rendere umane le “dimore” di chi ha un conto da pagare con la società.
Patrizio Gonnella (presidente dell’Associazione Antigone e conduttore, a Radio Popolare, della trasmissione Jailhouse Rock) dopo una fotografia delle carceri in questo periodo di pandemia, ci elenca una serie di ex carceri che potrebbero diventare luoghi di racconto, luoghi della memoria. Come l’ex carcere di Capraia (chiuso a metà degli anni Ottanta) o la fortezza di Santo Stefano a Ventotene (ci vennero incarcerati l’irredentista Settembrini, Gaetano Bresci e Sandro Pertini)… L’esempio è il Museo della Memoria Carceraria realizzato a Saluzzo. Invece la vecchia tenuta agricola del carcere di Procida, in abbandono dal 1988, grazie al lavoro di decine di volontari, si è trasformata in un parco pubblico: il Giardino sul mare dell’incanto. Il dottor Carmelo Cantone, che in passato era stato Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Toscana, ci racconta l’esperienza dell’isola/carcere di Gorgona, dove il muro di cinta della prigione è il mare. Infine Francesco Ravaioli, frate francescano, ci racconta la storia della Chiesa di San Francesco del Prato a Parma, attualmente al centro di un’ambiziosa opera di restauro che mira però a non cancellare gli anni bui in cui questa struttura, di dimensioni paragonabili a quelle della Cattedrale cittadina, venne utilizzata come penitenziario, ossia dall’epoca napoleonica sino al 1992. Per finanziare le opere di restauro è stato messo in vendita un cofanetto eco-sostenibile che contiene il simbolo della “liberazione” della chiesa. L’oggetto, numerato, è alloggiato in un contenitore espositivo unitamente al certificato di autenticità, oltre ad un opuscolo che racconta la storia della chiesa. Per averlo: info su www.sanfrancescodelprato.it/it/cofanetto

Sulla strada

Per anni il numero 69 di Viale Ortles è stato solo un dormitorio per persone senza dimora.
Ora non è più così. E’ questo che racconta il libro “El me indiriss, Ortles 69 – La storia e le
storie della Casa dell’Accoglienza Enzo Jannacci” (di Cinzia Morselli, Il Castello editore): le
storie della trasformazione di Viale Ortles 69 da dormitorio pubblico a Casa dell’Accoglienza Enzo Jannacci.
Un racconto corale della vita e delle tante storie che si intrecciano nella casa della solidarietà
più grande d’Europa. La storia di donne e uomini che hanno avuto uno scampolo di
esistenza, più o meno lungo, sulla strada e poi hanno incontrato Casa Jannacci. E’ un libro
prezioso perchè nessuno si può immaginare cosa c’è dietro il clochard che si incontra sulla
panchina sotto casa. Dando voce a chi in genere non viene data voce, questo libro è uno
schiaffo all’indifferenza. Leggendo queste storie sarà difficile non considerare i clochard
per quello che sono: donne e uomini come noi. Con la differenza che a volte la vita fa brutti
scherzi. I dati della seconda sezione del libro, che raccontano con la cruda chiarezza dei
numeri il lavoro di Casa Jannacci, sono invece un inno alla speranza. Anche le situazioni più
disagiate possono cambiare, basta non dimenticarsi che ci sono donne e uomini più
sfortunati di noi.
Oltre a Cinzia Morselli, autrice del libro, e a Massimo Gottardi, direttore della Casa,
intervengono Pierfrancesco Majorino, oggi deputato al Parlamento europeo, in passato
assessore alle politiche sociali del comune di Milano, e Gabriele Rabaiotti, attuale
responsabile di quell’assessorato. Majorino ricorda che Casa Jannacci non è il museo dei
poveri da visitare dall’alto della propria condizione materiale, magari per mettersi un poco il
cuore in pace. Ale e Franz hanno evidenziato quanto sia facile di questi tempi passare
improvvisamente da ‘persona normale’ a homeless perché oggi la povertà è dietro l’angolo.
Federico Traversa, autore di “Rock is Dead – Il libro nero sui misteri della musica”
(Il Castello edizioni, 2020), ci ha raccontato di Leadbelly, un homeless che ha fatto la storia del
blues. Abbiamo ascoltato la più bella cover di sempre: quella di Creep dei Radiohead
eseguita da Daniel “Homeless” Mustard.
Abbiamo scoperto come la voce di un barbone che canta un frammento di un canto
religioso, dal titolo “Jesus’ blood never failed me yet”, nelle mani di Gavin Bryars & Tom Waits possa scalare le classifiche discografiche. Elisabetta Vergani ci ha letto le pagine del libro che raccontano la storia di Miran, una ex ‘inquilina’ di Casa Jannacci. Mentre Patrizia e Salvatore, detto Moreno, che alla Casa ci vivono ancora, ci raccontano come ci sono finiti e cosa
hanno imparato vivendoci dentro…

Viaggio tra alcune geografie della musica napoletana

A Napoli per capire quanto si è popolari basta andare in San Gregorio Armeno, la via dove decine di artigiani vendono le statuine del celebre presepio partenopeo. Un presepio dove oltre alle classiche statuine con il bue, l’asinello e i re magi ci sono quelle dei personaggi della cronaca e della politica. E’ una sorta di classifica partenopea dei personaggi più pop degli ultimi mesi. Quest’anno le statuine laiche che vanno per la maggiore, sono quelle di De Luca, il presidente della regione Campania ritratto con in mano un lanciafiamme; quelle di Alex Zanardi che pedala sul suo handbike e quelle di Liberato, rappresentato di spalle con la felpa con il suo nome sulla schiena. Liberato è un cantante mascherato di cui non si conosce l’identità: una sorta di Elena Ferrante del pentagramma. La sua musica è un incrocio tra elettronica, trap e afrori neomelodici. Leggendo le sue liriche è sorprendente scoprire analogie con il testo di Carmela, un classico della canzone napoletana. Se è vero che l’amore è il contrario della morte, come recita la canzone di Salvatore Palomba, è a quello che la città deve aggrapparsi per tornare a vivere: all’amore della sua gente, non alla morte sociale voluta da pochi. Oggi per sentire canzoni come Carmela bisogna andare al Trianon Viviani, sede della compagnia stabile della canzone napoletana. In cartellone un repertorio di classici, tra cui qualche canzone scritta al Gran Caffè Gambrinus, il caffè letterario più prestigioso della città. Qui abbiamo incontrato Arturo Sergio, uno dei proprietari. All’hotel Luna Rossa invece abbiamo incontrato Adele Mazzella, nipote di Antonio Viscione, in arte Vian (nick name adottato per omaggiare il grande scrittore e trombettista francese Boris Vian). E’ lui il compositore della canzone che dato il nome all’hotel, una canzone che è stata reinterpretata da decine di artisti: da Claudio Villa a Jovanotti, da Frank Sinatra a Caetano Veloso. C’è un altro albergo che ha contribuito a scrivere la storia della musica napoletana. E’ su una punta della Penisola Sorrentina, “…lì dove il mare luccica e tira forte il vento…”. La “vecchia terrazza davanti al golfo di Sorrento” che Lucio Dalla rese immortale attraverso le note di “Caruso”esiste davvero: è la balconata più celebre della musica italiana (sulla quale fu realmente composto il brano) e appartiene alla suite del Grand Hotel Excelsior Vittoria, un cinque stelle sicuramente accessibile a pochi, ma che condivide con Napoli un’importante pezzo di storia della cultura e della musica italiana. Dalla stazione ferroviaria di Napoli bastano quindici minuti di taxi per raggiungere San Pietro a Patierno, il borgo dell’immediato hinterland napoletano dove è nato Nino D’angelo. Sulla parete di un anonimo palazzone lo street artist Jorit ha appena terminato di realizzare un enorme ritratto del padre putativo della musica neomelodica. La novità dei neomelodici, all’interno della musica partenopea, è la loro provenienza: è tutta gente dei quartieri popolari, come San Pietro a Patierno. Per i testi delle canzoni prendono spunto dalla vita e dai sogni di chi in quei quartieri vive. Canzoni che diventano subito le colonne sonore dei loro momenti di festa, dai battesimi ai matrimoni. A Scampia, altra periferia napoletana, incontriamo e ne parliamo con Daniele Sanzone, scrittore, autore e voce della rock band A67.

Altre puntate di Onde Road su Napoli sono qui:
– La Napoli del Rione Sanità blogs.radiopopolare.it/onderoad/?p=4486

– La Napoli dei Maestri di Strada e del dios umano blogs.radiopopolare.it/onderoad/?p=4322
Una Napoli altra blogs.radiopopolare.it/onderoad/?p=3356

Alpi Occitane

Demonte, Demount in Occitano: un paese della media Valle Stura. Antichissimo borgo alpino di origine romana, ha acquistato lungo i secoli il ruolo di “capitale” della valle.

La valle è segnata in tutto il suo territorio dal fiume Stura, che defluisce dal lago della Maddalena a quasi 2000 metri di altezza, corre impetuoso tra le forre dell’Olla e separa le Alpi Marittime dalle Cozie. Una valle che si presenta con dolci declivi nel tratto iniziale, più aspra e tipicamente alpina nella parte alta. La strada che la percorre culmina ai 1.996 m del Colle della Maddalena che collega il cuneese alla val d’Ubaye, in Francia. Vicino alla sommità si trova una stele in onore di Fausto Coppi, che sulla salita del colle diede inizio alla mitica fuga che lo portò a trionfare nella tappa Cuneo-Pinerolo nel Giro d’Italia del ’49.

A partire dagli anni Sessanta la valle è stata fortemente segnata dallo spopolamento, raggiungendo un picco di calo demografico del 75%. Oggi è un tranquillo borgo che conta circa 2000 abitanti, con un centro storico caratterizzato dalla struttura porticale della via centrale del paese impreziosita da capitelli medioevali. Delle ricchezze di questo borgo, e dei suoi problemi, ne abbiamo parlato con il sindaco Francesco Arata. Roberto, dell’agriturismo Lausè, ci illustra di come si vive in montagna (e di come cambiano i suoi abitanti…). La signora Sescia di Elva, piccolo borgo nell’omonimo vallone laterale della Valle Maira, ci ricorda che per poter vivere i suoi compaesani, sino a pochi decenni fa, si erano inventati un lavoro: quello dei “raccoglitori di capelli” (*). Oggi un piccolo museo illustra la loro storia. Colonna sonora di queste vallate è la musica occitana, una musica senza frontiere. L’Occitania non è uno stato né una regione, ma solo un segmento del pianeta (compreso geograficamente tra le Alpi, i Pirenei, il Mediterraneo e l’Atlantico Francese) contraddistinto da una lingua comune. Abbiamo incontrato Sergio Berardo, il padre della scena musicale occitana italiana.

(*) A proposito di capelli la puntata ospita una intervista a Dina Azzolini, hairstylist milanese, o acconciatrice come si diceva un tempo. Una maestra nel trattare i capelli per farli star bene. Dina, che negli ’60 e ’70 era una protagonista del mondo della moda e spettacolo (era la pettinatrice, tra gli altri, di Mina, Benedetta Barzini, Rosita Missoni), oggi continua il suo lavoro di ‘potatrice dei capelli’.