Ancora in cammino: in viaggio con i nomadi Rabari

Elena Dak , antropologa particolarmente interessata alle realtà delle popolazioni nomadi in rapida trasformazione, e il fotografo Bruno Zanzottera dell’agenzia Parallelo Zero hanno seguito una famiglia di nomadi Rabari nel loro spostamento annuale alla ricerca di nuovi pascoli. I Rabari sono un gruppo che abita nel Kutch, un’area del Gujarat, regione indiana ai confini con il Pakistan, dove abitano e da cui partono gruppi di pastori in migrazione. I Rabari (in passato detti Raika) nomadizzano in questi territori e si spostano lentamente per centinaia di chilometri alla ricerca di pascoli. Questo loro peregrinare non si ferma neanche durante la stagione monsonica, sebbene le piogge permettano ai pastori di restare in territori più vicini ai loro villaggi.
Anticamente allevatori di cammelli, oggi i Rabari migrano in piccoli gruppi composti da poche famiglie, le greggi e alcuni dromedari necessari per il carico e il trasporto delle masserizie: letti, oggetti per la cucina, abiti, culle.
Le loro rotte annuali li portano a penetrare all’interno di un tessuto ambientale sempre più antropizzato, urbanizzato e industrializzato, che prevedono l’attraversamento di trafficatissime assi stradali e accampamenti a bordo autostrada.
Elena e Bruno hanno seguito i loro spostamenti per 1 mese nell’autunno 2017 vivendo insieme a loro e condividendo le attività quotidiane dei membri delle famiglie. Sono tornati nel 2018 per seguirne i movimenti durante la stagione dei monsoni e partecipare alle loro cerimonie. Durante questi periodi si sono resi conto di essere i testimoni di un cambiamento epocale nell’India di oggi e di trovarsi insieme all’ultima generazione di nomadi carovanieri di questa parte di mondo.

– Per chi volesse approfondire il lavoro di Elena e Bruno segnaliamo che marzo uscirà in libreria “Ancora in cammino. In viaggio con i nomadi Rabari del Gujarat” (Crowdbooks editore)
– (le fotografie, ovviamente, sono di Bruno Zanzottera)

Parco Naturale della Lessinia

 

Comunemente con Lessinia s’intende la fascia montuosa a nord di Verona che si estende tra la Val d’Adige, la Valle di Ronchi (Vallarsa, Trentino), il gruppo delle Piccole Dolomiti-Pasubio, la Valle dell’Agno-Chiampo e l’alta pianura veronese, dove diverse dorsali collinari si staccano dall’altopiano centrale per immergersi nei depositi alluvionali di pianura formando valli cieche come la Valpolicella, la Valpantena, la Val di Squaranto, la Val d’Illasi, la Val di Mezzane, la Val d’Alpone, la Valle del Chiampo… Nel 1990, nella zona dell’altopiano centrale e delle cime di confine con il Trentino, è stato istituito il Parco Naturale Regionale della Lessinia. Oltre 10 mila ettari coperti da un vasto altipiano prativo dal quale scendono, a pettine, profonde vallate dette localmente ‘vaj’. E’ un grande museo open air perchè l’area racchiude una sorprendente varietà di testimonianze naturalistiche, storiche e archeologiche di inestimabile valore.
Domenica 26 gennaio circa 10 mila persone hanno marciato sui sentieri delle montagne nei dintorni di Bosco Chiesanuova, a una trentina di chilometri da Verona, per protestare contro una delibera della regione Veneto che vuole tagliare una fetta del Parco Naturale dei Monti Lessini (una riduzione di circa un quinto dell’estensione del Parco). Una fiumana umana, che non si esauriva mai, composta da donne e uomini giunti dalle Venezie ma anche da Lombardia ed Emilia. La questione riguarda la provincia scaligera, ma anche quella berica vista la presenza nel parco dei comuni di Altissimo e Crespadoro. I sostenitori della riduzione del parco (il centrodestra regionale, le categorie economiche e le associazioni degli agricoltori) ritengono che questa pur non alterando gli equilibri naturali e paesaggistici garantirà un più robusto sviluppo ecologico. Se invece le tutele e i vincoli, anche edilizi, permanessero, ne soffrirebbero sviluppo economico e libera impresa. Netta invece è l’opposizione del mondo del turismo, dell’alpinismo, della galassia ambientalista ma anche di molti malgari che vedono il ridimensionamento del parco come un qualcosa che potrebbe assestargli un colpo fatale soprattutto perché l’area è già «ben antropizzata di suo». Secondo i detrattori infine, oltre che un favore ai cementificatori, la riduzione del Parco sarebbe un regalo ai cacciatori che in quei 1.700 ettari potrebbero andare tranquillamente a caccia (va ricordato che in Veneto i cacciatori sono una vera e propria lobby, finanziata con fondi regionali e – per quanto riguarda alcune associazioni – schierata apertamente a sostegno dei partiti che fanno parte della maggioranza).

Organizzazione di tutela ambientale Lessinia Futura

https://www.facebook.com/lessiniafutura/

 

Memphis blues

“Con l’autostrada salto da una città all’altra attraversando chilometri di niente, rigidamente a tre corsie, finché arrivo a Memphis. La città del cotone, storicamente una delle più alte concentrazioni di popolazione nera degli States. E’ qui che nel 1960 vennero organizzate le prime marce per l’integrazione razziale. Ed è sempre qui che, su un balcone del Lorraine Motel, è stato assassinato Martin Luther King, icona della lotta nonviolenta per i diritti civili. Era il 4 aprile del 1968 e, visitando oggi la città, sembra che tutto si sia fermato quel giorno. A partire dal Lorraine Motel, il cui aspetto esteriore non è più stato toccato. Davanti alla camera di King è ancora posteggiata la sua macchina. L’interno invece è diventato un museo: il Civil Right Museum .

Beale Street, la via dove ci si può ubriacare di musica ogni sera, dista pochi blocchi, ma sembra di essere già in periferia. Nel museo si ripercorrono le principali tappe della lotta per i diretti civili: dalla color line ai rice riots, da Marcus Garvey a Malcom X, dalla ricostruzione della micro cella deve M.L. King venne rinchiuso nel ’63 al bus di Rosa Parks. L’ultima tappa è nella camera dove era alloggiato King prima dell’assassinio. Nulla è stato toccato da quel giorno. Prima di uscire sul balcone dove venne ucciso una grande scritta: ‘No turning back’. Per andare avanti Memphis, la città che è stata patria del blues, culla del rock’n’roll e tempio del soul, sta cercando, grazie a un investimento miliardario, di trasformarsi in una città-museo. E’ il caso degli studi Sun , dove Sam Phillips chiuse in una stanza il leggendario Million Dollar Quartet (Elvis Presley, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis e Carl Perkins) per incidere l’album che generò il rock’n’roll. O degli studi della Stax , l’etichetta che grazie alle incisioni di Otis Redding, Sam & Dave e Isaac Hayes rese grande l’impero del soul. Oggi i due studi aprono le porte ai visitatori che possono accostare le labbra al microfono dove gorgheggiava Johnny Cash o ammirare una ricca documentazione sulla Blaxploitation, il cinema dei ghetti neri. L’augurio è che non si trasformino in piccole Graceland (https://www.graceland.com/ ), l’incredidibile casa / mausoleo di Elvis Presley. E’ una specie di Disneyland dell’anima, un luogo dove una quantità incredibile di oggetti inutili, foto e video in cui Elvis si aggira come se fosse nascosto nel giardino, mi stordisce per buona parte della visita. Trasportato alle soglie del surreale mi convinco che, ai piani superiori della casa, dove nessuno ha mai messo piede, se non The King, Elvis grasso e impacciato si goda lo spettacolo offertogli dai suoi fedeli. Per scacciare i fantasmi torno in Beale Street, dove in fondo alla via hanno montato la piccola casetta di legno, dipinta di grigio, dove è nato W.C. Handy, il primo musicista afroamericano a trascrivere su un pentagramma un blues. Quello che è venuto dopo lo si può ascoltare tutte le sere nei cento locali del circondario”…
(dal diario di viaggio lungo il Mississippi con gli ascoltatori di Radio Pop)

La vita “a rotelle” di Valentina

“Scorpione a fin di bene, mantovana di nascita dal 1982, cittadina del mondo per adozione, di breve non ho nemmeno il nome e cognome”. Così si auto-definisce Valentina Tomirotti. “Non scrivo mai a caso e amo raccontare tutto da una visuale privilegiata: da un metro d’altezza, a cavallo della mia carrozzina che, spesso, trasformo, in un trono. Laureata in scienze della comunicazione, giornalista pubblicista, mangio comunicazione come pane quotidiano. Indosso perfettamente il rossetto, curo maniacalmente i capelli e nuoto nel web anche controcorrente per lasciare un segno: affronto il tema della disabilità senza essere “un caso”, ma a caso, proprio com’è la vita di tutti”. Online Valentina è conosciuta come Pepitosa e sui social snocciola ruvidi post etichettati #perdire. “La mia vita online è una finestra sul mondo che mi circonda ed è la palestra di storytelling della mia vita ‘a rotelle’. Queste ruote che mi trasportano, ma non mi conducono. Attraverso il mio blog e i canali social, cerco di creare un cocktail analcolico di ruote, sorrisi e parole serviti rigorosamente caldi”. Valentina sul proprio blog parla dell’importanza dell’autonomia personale e di quanto è stato fondamentale prendere la patente per guidare la macchina. Parla dei suoi viaggi: dalla città di Mantova all’impervia Matera, dall’isola di Lampedusa alla vetta del Lagazuoi sulle Dolomiti cadorine. Ma risponde anche a una serie di domande importantissime per un diversamente abile che vuole viaggiare. Leggere le risposte al quesito “ Come viaggiare in aereo se sei in carrozzina?” consente di capire anche ai cosiddetti ‘normali’ la complessità di queste problematiche. Dopo il successo del libro
“Un’altro (d)anno” (Mondadori Electa) Valentina sta preparando una collana di
guide di turismo accessibile delle città italiane capitali della cultura.

 

Amburgo

 

Amburgo, la più ricca, la più ecologica, la più vivibile delle città tedesche. Una città a cui nuovi progetti curati da giovani creativi hanno cambiato il volto. E’ stata eletta European Green Capital grazie a una Road Map che la porterà al pareggio energetico – tra produzioni e consumi – entro il 2050. Una summa delle novità amburghesi sono nel quartiere di Hafen-city, letteralmente città-porto: un quartiere che, con un investimento di oltre 10 miliardi di capitali, ha già cambiato il volto della parte sud di Amburgo. Una delle costruzioni più appariscenti è l’Elbphilharmonie, la Filarmonica dell’Elba, inaugurata tre anni fa dopo anni di polemiche, ritardi e costi rivisti al rialzo. Nei suoi 110 metri di altezza ospita, naturalmente, molti spazi dedicati alla musica, prima fra tutte la grande sala da concerto da 2.100 posti (ci ha messo le mani il mago dell’acustica Yasuhisa Toyota), un hotel da 205 camere e 39 suite, una quarantina di appartamenti, ristoranti e caffè. A 37 metri di altezza si trova la Plaza, punto panoramico aperto al pubblico da cui si gode una vista a 360° sulla città e sul suo immenso porto. Per visitare una città è sempre meglio utilizzare una buona guida. A chi, sapendo della mia passione per Amburgo, mi ha chiesto un titolo io ho suggerito “St. Pauli siamo noi. Pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo” (ed. Derive Approdi) di Marco Petroni. Chiariamolo subito non è una guida turistica, ma un libro che racconta St. Pauli, un quartiere segnato da mille contraddizioni: da sempre punto di forza dello sviluppo commerciale della città e luogo di lotta; focolaio di resistenza all’ascesa delle squadre naziste e sede di insurrezioni sempre fallite. Nella prima metà degli anni Ottanta il quartiere è segnato da miseria e abbandono, ma rinasce attraverso i palazzi occupati della Hafenstrasse, roccaforte del movimento autonomo e crocevia di tutte le battaglie politiche e sociali dell’epoca, e il Millerntor, piccolo stadio di calcio, all’interno del quale, sotto la bandiera dei pirati e al grido di “Mai più guerra, mai più fascismo, ma più serie C”, prende forma una nuova tifoseria e un nuovo modo di intendere il calcio. Il St. Pauli FC, squadra con la fama di “club di perdenti”, diventa così la bandiera calcistica della sinistra radicale, della scena squat, degli antagonisti e dei punk dell’intera Germania. Grazie ai tifosi e alle loro battaglie contro il razzismo, prima sulle gradinate e poi all’interno della struttura societaria, il St. Pauli FC diventa il simbolo di una comunità sincera, capace di esprimere la passione popolare per un calcio liberato da ogni forma di discriminazione.

www.germany.travel/it

Crans Montana: sciare tra i graffiti…

Crans Montana: meta turistica adagiata su un altopiano soleggiato, a strapiombo sulla Valle del Rodano, a 1500 mt d’altezza. Uno dei suoi punti di forza è l’essere facilmente raggiungibile partendo dalla stazione ferroviaria più vicino alla casa del visitatore (che può lasciare tranquillamente l’auto nel suo box). Dal treno deve scendere a Sierre e dopo poche decine di metri si può imbarcare su una funicolare che in 12 minuti copre un dislivello di 927 metri. Ad attenderlo alla stazione d’arrivo una vista mozzafiato su una corona di cime che si estende dal Breithorn al Monte Bianco, passando per il Weisshorn e il Cervino. Con laghi, boschi, ghiacciai e vigne, il comprensorio di Crans Montana è in grado di offrire tutto quanto gli amanti della natura possono desiderare. D’inverno il comprensorio sciistico sale sino ai 3000 m di altitudine del Ghiacciaio della Plaine Morte, mentre i celeberrimi campi da golf dell’area si trasformano in un paradiso per fondisti e patiti delle passeggiate. Nel resto dell’anno non c’è che l’imbarazzo della scelta: in primis escursionismo e cicloturismo, senza dimenticare cinque laghi balneabili… Per chi preferisce muoversi a ritmo di musica il Caprice Festival è un appuntamento sulla neve per tutti gli amanti della musica elettronica, una vera e proprio Mecca per i cultori della house e della techno underground. Ricca anche l’offerta culturale. La Fondation Opale, in uno spazio museale intrigante anche architettonicamente, ha instaurato un dialogo permanente fra arte aborigena e arte contemporanea. Il Vision Art Festival invece ha portato la street art non solo sui muri di Crans Montana, ma anche sulle piste da sci… E quando dopo l’attività motoria e la cultura è il momento di un pit stop eno-gastronomico le proposte sono variegate: dalla Brisolée Royal (castagne, formaggi, salumi e frutta fresca) alla mitica fondue vallesana. Per il vino c’è solo un problema di abbondanza: nel Vallese, grazie a un territorio caratterizzato da grandi varietà di suoli (granitici, calcarei, scistici e gneis) si coltivano 60 diversi vitigni. Io però non ho alcun imbarazzo nella scelta: ora e sempre Petite Arvine, il grande vino bianco vallesano per antonomasia…

www.crans-montana.ch

Nashville, the music city

Nashville, Tennesee, una città che nel suo nick name nasconde le sue fortune: Music City. A Nashville la musica arriva ovunque. Si spalma come spezia nel breakfast, uova pancetta e salsiccia. Vibra nelle corse dei runner durante la corsa mattutina lungo il ponte sul fiume Cumberland. Esce dai finestrini dei pick-up impolverati e rimbalza tra le pareti dei negozi per cow-boy. E fa la parte del leone nelle feste lungo la Broadway dei numerosi ragazzi americani che adottano questa città per i loro adii al celibato (nubilato). Da queste parti la gente ha poche pretese, perché uno stato come il Tennessee, dove 15 persone su cento vivono sotto il livello di povertà non lascia spazio alle illusioni. Qui per essere felici è sufficiente una costoletta di bue inumidita dalla salsa dolciastra di queste parti, un buon giro di chitarra in sottofondo e una chiesa a portata di mano dove raccomandarsi al signore. Sovente musica e religione si confondono, ed è capitato anche a Johnny Cash: musicista con un tenace attaccamento alle proprie origini, povere ma piene di dignità umana. Con una religiosità profonda e mai bigotta. Mosso dalla ricerca di un riscatto culturale per chi, come lui, viene dal basso. Tutto lo conoscono come The man in black, e il perché lo si capisce ascoltando l’omonima canzone: “Vesto di nero per i poveri e gli sconfitti / che vivono nella parte affamata e disperata della città / Vesto nero per il prigioniero che ha pagato da tempo per il suo crimine / ma è lì perché è una vittima dei tempi. / Vesto nero per quelli che non hanno mai letto / o ascoltato le parole di Gesù / Be’, stiamo andando benissimo, credo / nelle nostre macchine lampeggianti e nei nostri vestiti alla moda / ma almeno così qualcuno ci ricorda di quelli che rimangono indietro…”. Come centinaia di colleghi anche Johnny Cash si è esibito al Grand Ole Opry, il più longevo programma radiofonico del mondo. Tutti i più grandi artisti del country, da quasi 90 anni, vi partecipano andando in onda sui 630 WSM – AM. Lo studio di registrazione è un grande palco ospitato nella Opry House, a 16 km a est dal centro di Nashville, in quella che pomposamente è chiamata Music Valley Opryland. Per avere la conferma di cos’è l’Ameriaca basta visitare il Gaylord Opryland Resort, raggiungibile facilmente a piedi dall’Opry House. Definirlo Hotel o Resort è riduttivo. Si tratta di una città con tanto di servizi, racchiuso in gran parte da un ampolla di vetri gigante. In effetti proprio per questo motivo, all’interna si gode di un clima differente dall’esterno. La struttura comprende 19 ristoranti, da steakhouse di alto livello a semplici pizzerie, e include anche 36.500 m2 di spettacolari giardini interni che ospitano diverse cascate e qualche laghetto su cui si organizzano gite in barca. Per trovare la natura, quella vera, basta raggiungere, alla periferia di Nashville, l’inizio della Natchez Trade: 724 chilometri che collegano Nashville con Natchez, un porto fluviale che sorge poco prima che sterminate paludi accolgano nelle loro acque stagnanti il Mississippi. E’ una sorta di laico Cammino di Santiago a stelle e strisce, percorsa da migliaia di ‘Pellegrini’ che marciano immersi nella natura, guadando torrenti, costeggiando laghi e sostando in prossimità di tumuli di nativi, di monumenti che ricordano protagonisti della storia americana o di sterminate piantagioni di tabacco.

Il “Mani” di Patrick Leigh Fermor

Delle tre “dita” del Peloponneso, la penisola del Mani è il medio. La zona più ostile e selvaggia della penisola è l’esatta antitesi della Grecia classica. Paesaggi da Highlands scozzesi, abitanti che si proclamano fieri discendenti degli spartani e uno skyline di case-torri che svettano nel cielo come sentinelle di pietra. Pochi turisti, rocce e arbusti al posto della solita macchia mediterranea, scogliere a picco sul mare, spiagge di ciottoli, solo fichi ed ulivi eroici. Da Gythion fino a Capo Tenaro, il mitologico ingresso dell’oltretomba posto nel punto più a sud dell’Europa continentale, una strada a zig-zag ricama l’arida catena montuosa del Taigeto. Un territorio per veri collezionisti di finis terrae. E tra questi va annoverato Sir Patrick Leigh Fermor, scrittore e viaggiatore britannico. Trentatreenne, nell’ estate del 1948,

in compagnia della moglie Joan, intraprese il primo di una serie di viaggi nella regione del Mani. Ne scaturirà uno dei migliori libri di viaggio del Novecento, celebrato da decenni nel mondo anglosassone, che in Italia è stato pubblicato da Adelphi (“Mani – Viaggi nel Peloponneso“, pagg. 390, 24 euro). Un libro che da queste parti è più gettonato della guida Lonely Planet. Fermor conosceva bene la Grecia, anche prima di questa serie di viaggi. Negli anni dell’occupazione nazista aveva addirittura compiuto gesta così audaci e rocambolesche da ispirare nel dopoguerra due o tre film. Fu infatti tra gli organizzatori della resistenza cretese, partecipando a una lunga serie di sabotaggi, culminati nel rapimento del comandante tedesco sull’isola, generale Heinrich Kreipe, nell’ aprile ’44. Alessandro Vergari, guida ambientale ed escursionista, che l’ha conosciuto nella villa vicino a Kardamyli dove Fermor visse a lungo, ci racconta l’emozione di questo incontro. Una villa dove spesso fu ospite lo scrittore Bruce Chatwin, grande amico di Fermor. Quando l’autore di “In Patagonia” e de “Il vicerè di Ouidah” morì, fu proprio Fermor a seppellirne le ceneri ai piedi di un ulivo in un anonimo angolo delle pendici del Taigeto. Marino Periotto, viaggiatore e titolare del blog alternativanomade.it, ci aiuta a capire come fare a rintracciare il luogo della sepoltura…

 

CAST: il castello delle storie di Montagna

Il Parco nazionale dello Stelvio e il Parco delle Orobie Valtellinesi (ma anche molte altre valli e foreste della Valtellina) sono splendide montagne da vivere e da raccontare. E sono proprio ‘racconti’ ad essere ‘esposti’ al Cast, acronimo di Castello delle Storie di Montagna. E’ un nuovo museo interattivo dedicato alla città di Sondrio e alle sue vette, inaugurato lo scorso 6 ottobre. Il nome ・dovuto al fatto che il museo ha la sua sede in due ali del Castello Masegra, che risale al periodo medievale del capoluogo lombardo. A dispetto della sua antica cornice, il Cast si presenta al pubblico con l’allestimento all’avanguardia progettato dal collettivo milanese Studio Azzurro  e con la curatela di un grande narratore di viaggi e montagne come Marco Albino Ferrari. “Il castello è di epoca medievale e finalmente vediamo i frutti di un lavoro che è iniziato nel 2013 – ha spiegato Michele Diasio, assessore al Turismo e alla Promozione territoriale del Comune di Sondrio -. Oggi siamo fiduciosi nella capacità del Cast di soddisfare la passione degli appassionati e avvicinare anche i più giovani attraverso installazioni multimediali ed esperienze interattive, coniugando storia e tecnologia”.
L’allestimento del CAST è articolato su tre piani. Il percorso di visita non è obbligato, ma può essere personalizzato a seconda che il visitatore si senta più arrampicatore o esploratore dell’ambiente. Per esempio il secondo livello, situato al primo piano, racconta l’alpinismo e con esso il desiderio dell’uomo di spingersi in alta montagna attraverso un viaggio vertiginoso sulle Alpi, sui colossi himalaiani e del Karakorum, sui picchi della Patagonia, tra i ghiacci dell’Alaska e dell’Antartide. Una sorta di scalata che culmina in un tributo a tre icone della storia dell’alpinismo: Alfonso Vinci, Carlo Mauri e Walter Bonatti. Il terzo livello, allestito al secondo piano, è dedicato all’ambiente naturale, alla sua conservazione e alle aree protette, mentre un itinerario virtuale fra le diverse specie e gli habitat delle montagne è reso possibile grazie alla sala del castello circondata da finestre che offrono una veduta d’insieme sulla valle.
Castel Masegra non è l’unica magione storica in questo segmento di arco alpino e per il loro recupero / conservazione è fondamentale il ruolo del FAI, basti pensare a Castel Grumello, un maniero che deve il suo nome al dosso roccioso (grumo) sul quale è stato edificato. Un ruolo, quello del FAI – Fondo Ambiente Italiano che si estende anche su realtà ambientali apparentemente marginali, come gli alpeggi Talamona e Pedroria.

INFORMAZIONI E BIGLIETTI
Il Cast  è visitabile da giovedì a domenica dalle 10 alle 18 (biglietto d’ingresso 7 euro; 5 euro ridotto; 2 euro per ragazzi dai 14 ai 25 anni). Per sapere di più sul museo e per i contatti: http://www.visitasondrio.it/site/home/vivi/cast-a-castello-masegra.html

Lignano Sabbiadoro

Le spiagge delle località balneari del Friuli Venezia Giulia ricevono ogni anno le prestigiose Bandiere Verdi dei pediatri e le prestigiose Bandiere Blu assegnate dalla Foundation for Environmental Education. In linea con questi riconoscimenti, la spiaggia di Lignano Sabbiadoro ha avviato un cambio di paradigma strategico verso la sostenibilità. Dalla prossima estate diventerà più ecosostenibili grazie ad alcuni stabilimenti balneari alimentati energeticamente con pannelli solari, al progetto “plastic free” che punta all’eliminazione della plastica monouso a favore di quella biodegradabile, alle aree baby beach smoke free e all’utilizzo di una speciale pagaia dotata di uncino per la pulizia del mare durante le escursioni. Ernest Hemingway la definì “la Florida d’Europa“, per la finissima sabbia color oro naturale. Al netto dei suoi 8 chilometri di spiaggia, Lignano Sabbiadoro vanta molti altri assi nella manica che la rendono una meta meno mainstream – e più autentica – di quello che si potrebbe immaginare. Scopritela in bici, in autunno o in primavera. E, se lo avete, portatevi il vostro cane (anche d’estate: gli amici a quattro zampe hanno a disposizione spiagge a loro dedicate con aree agility, docce, servizio veterinario e toelettatura). Lignano è attraversata dalla Litoranea Veneta: una “idrovia”, una via d’acqua realizzata dalla Serenissima Repubblica di Venezia al suo apogeo. Grazie ad un sistema di canali artificiali e sfruttando i corsi d’acqua (fiume Sile, Piave, Livenza, Lemene, Tagliamento, Stella e Isonzo) e le lagune (Venezia, Caorle, Marano e Grado) già esistenti, la Litoranea Veneta collega la Laguna di Venezia con la foce del fiume Isonzo. Si tratta, quindi, di un meraviglioso percorso, di grande interesse storico e naturalistico, lungo ben 127 chilometri. L’idrovia, a tutt’oggi navigabile con canoe, barche a remi e piccole imbarcazioni da diporto, consente di vedere, da una prospettiva unica, una serie variegata ed imprevedibile di scenari. A proposito di imbarcazioni Corinna Agostoni, autrice di questo reportage, ha incontrato il figlio di Elio Zaccarato, l’inventore del pedalò. Nel 1952 partorì quello a remi, per poi arrivare poco dopo alla realizzazione del primo prototipo del pedalò a pedali. Fu un successo senza precedenti. Ben presto non riuscì a soddisfare le richieste che provenivano non solo dalla riviera friulana. In seguito, la ditta romagnola Amadori-Biagi ne prese uno e ne fece costruire un gran numero in Carnia. Erano gli anni d’oro, gli anni in cui sulla spiaggia lignanese arrivavano i migliori calciatori del tempo, da Corso a Rivera. Gli anni in cui il simbolo dell’estate italiana divenne il suo pattino. Unico rammarico degli Zaccarato: “Non aver mai depositato il brevetto dell’invenzione”…

https://oltreilbalcone.com/2019/10/06/lignano-cosa-vedere/

Le brughiere delle Cime Tempestose

Ci sono 140 anni di distanza, ma la musicista inglese Kate Bush e la scrittrice Emily Brontë sono nate lo stesso giorno e mese (il 30 luglio). Sarà casuale, ma all’anagrafe la cantante è registrata con il nome Catherine, lo stesso dell’eroina di Emily Brontë. Ma ad accomunarle è soprattutto uno spirito ribelle e il fatto di essere entrambe autrici di Cime Tempestose, un romanzo e una canzone come mai nessuno li aveva scritti prima. Il loro è un legame indissolubile. Paola de Angelis asserisce che “la canzone pop del 1978 sta al romanzo (1847) più di qualsiasi adattamento cinematografico: in quattro minuti e mezzo condensa l’amore viscerale e soprannaturale che avvince Cathy e Heathcliff nell’arco di quattrocento pagine”. E ha ragione. Come Emily, che viveva nel mondo immaginario di Gondal, Kate ha sempre avuto una fantasia fervida. Il suo tratto distintivo è l’originalità. Di lei Tricky ha scritto: “Di alcune grandi cantanti riconosci le influenze, ma Kate Bush non ha ne padre ne madre”. Ma ha sicuramente una sorella maggiore, suppur di 140 anni più vecchia. A regalarci un approfondimento su Emily ci pensano Selene Chilla e Serena Di Battista, due appassionate di letteratura anglosassone e delle sorelle Brontë. Due innamorate dei paesaggi inglesi, soprattutto delle brughiere e di quel magico mondo immerso in un’incantata atmosfera dove il tempo sembra essersi fermato. Un mondo fondamentale per Emily, a tal punto che sua sorella Charlotte ebbe a dichiarare che “Emily era innamorata della brughiera; ai suoi occhi negli angoli più cupi della landa sbocciavano i più vividi fiori, la sua mente sapeva trasformare in un Eden la più tetra valletta affossata sul livido fianco di una collina. Nella squallida solitudine trovava le più rare delizie; e certamente, non ultima, anzi, la più amata, la libertà. La libertà era l’aria che Emily respirava…”. Un’aria di cui la Chilla e la Di Battista sono andate a caccia, visitando i luoghi dell’infanzia delle sorelle Brontë e quelli che hanno ispirato i loro immortali romanzi. Oltre a inventarsi un fortunato blog italo inglese The Sister’ Room, le due amiche hanno scritto il libro “E sognai di Cime Tempestose. Viaggio nei luoghi del romanzo di Emily Brontë (Edizioni Alcheringa). Il loro obiettivo è quello di accompagnare il lettore attraverso i luoghi dell’Inghilterra che hanno ispirato Emily Brontë nella stesura del suo capolavoro.

Contadini in Alto Adige

Che per un giovane trovarsi un lavoro non sia cosa facile è un dato di fatto. Storicamente le nostre montagne si sono spopolate perché erano tra i luoghi più difficili dove trovare un lavoro. Negli ultimi anni si sta registrando un processo inverso: sono numerosi i casi di giovani che decidono di investire studi e fatica per cercare di impiantare una attività nella propria terra. Spesso decidendo di sporcarsi le mani proprio con quella terra, restando così anche fisicamente legati al proprio territorio. Una scelta dove dove antico e moderno convivono tra tradizione e innovazione. Abbiamo fatto un piccolo tour in Alto Adige dove abbiamo registrato alcune storie. La prima tappa è a Barbiano, borgo famoso per le cascate del rio Ganda, per il suo campanile pendente e per le tre cappelle gotiche di Bagni Trechiese. Al maso Aspinger , abbiamo incontrato Harald Gasser, un giovane contadino che ha deciso di ridare valore a verdure ormai rare recuperando i sapori autentici della tradizione altoatesina. Nel 2001 Harald iniziò la sua avventura con un campo di 15m² e con appena 180 semi coltivò tipologie di frutta e verdura del passato. Oggi, in armonia con la natura, crescono su una superficie di 5000 m² più di 600 varietà di frutta e ortaggi locali ed esotici, così come varietà rare quasi dimenticate che restituiscono i sapori più antichi del territorio altoatesino. A Collalbo, uno dei borghi di un paradiso escursionistico poco distante da Bolzano chiamato Altopiano del Renon, abbiamo incontrato Stefan Rottensteiner del maso Oberweidacherhof, allevatore di bovini giapponesi Wagyu. Per diverse generazioni mucche da latte e vitelli d’allevamento sono stati la principale attività del maso Oberweidacherhof. Qualche anno fa però qualcosa è cambiato, Stefan ha dato voce alla sua voglia di innovare e ampliare la propria attività dedicandosi all’allevamento dei pregiati bovini Wagyu. Alla tenuta vitivinicola CEO di Solornoil vigneron Dietrich Ceolan ci ha introdotto alle sue uve, da cui ricava ben sette vini caratteristici della zona. Invece ad Aldino, sull’altopiano del monte Regolo, nell’antico maso Hof im Thal, Andreas Kalser e Josef Obkircher hanno recuperato un vecchio fienile e lo hanno riprogettato per creare le condizioni ideali alla coltivazione biologica di funghi pregiati. La sfida è iniziata nel 2017 e oggi i funghi crescono con spontaneità e semplicità durante tutto l’anno, in particolare due qualità davvero uniche per il territorio altoatesino: gli shiitake, originari della Cina e del Giappone, e i cardoncelli, tipici delle zone mediterranee. L’ultima tappa è stata ad Anterivo, in Val di Fiemme, un borgo immerso nell’area del Parco Naturale Monte Corno. Qui Hartmann Varesco del maso Kürbishof ci ha introdotto ai segreti del caffè di lupino. Ricavato dal seme dell’omonima pianta, oggi è un’alternativa alla nota bevanda. In passato il caffè di lupini permetteva anche ai più poveri di realizzare un piccolo guadagno, era un caffè molto amaro, a causa della lunga tostatura e veniva quindi consumato miscelato (fino al 20%) con l’orzo. Il desiderio di guardare al passato ha portato cinque agricoltori, tra cui Hartmann, a coltivare questa pianta dalle straordinarie proprietà: con essa infatti si produce non solo caffè, ma anche birra, cioccolato, grappa e persino gustosi formaggi.

www.idm-suetirol.com

www.sudtirol.info

Minorca: un’isola da scoprire senza fretta

 

Scordatevi Maiorca, la sorella maggiore. Minorca è tutta un’altra cosa (non a caso dal 1993 è Riserva della Biosfera dall’Unesco). Con 700 chilometri quadrati di estensione (un quinto di Maiorca), la più settentrionale delle Baleari è un concentrato di sorprese in grado di stupire anche il viaggiatore più navigato. Tanto che nel raggio di pochi chilometri si passa dall’Inghilterra vittoriana del XVIII secolo a un angolo sperduto del Nordafrica, da un paesaggio dolcemente normanno all’asprezza della pietra che si incontra all’interno della Sardegna. E’ invece molto più difficile incontrare la “movida” mondana e rumorosa che imperversa a Ibiza e non è nemmeno la destinazione delle vacanze tutto compreso. In compenso che sia di sabbia, ghiaia o rocce ogni spiaggia dell’isola si affaccia su acque cristalline. Bastano anche pochi minuti di cammino per incontrare calette di purissima bellezza come ne sono rimaste poche nel Mediterraneo. A cominciare dalla riserva naturale Albufera di “Es Grau”. E’ una immensa laguna naturale che comprende sistemi dunari ed isolotti: si trova a Nord-Est dell’isola, estendendosi per circa 2 kilometri ed occupandone una superficie di oltre 5 ettari. E’ un autentico paradiso per gli amanti dell’ornitologia, perché in inverno si è arrivati a contare fino a più di undicimila uccelli acquatici di quasi un centinaio di specie diverse. In una lunga chiacchierata Marti Escudero, direttore del parco, ci racconta la sua storia a partire dalle lotte popolari condotte dal GOB, un movimento nato nel 1977 con la mission (mai tradita) di promuovere la difesa dei valori ambientali, l’equilibrio tra le attività umane e la conservazione della natura. Il vino che si produce all’interno del parco è una delle eccellenze eno-gastronomiche dell’isola. Il gin, eredità inglese; un formaggio a latte crudo; gli insaccati, i dolci tipici (tra cui il mitico coca bamba) e la regina della cucina balearica: l’aragosta. Sono solo alcune delle eccellenze dell’isola. Un viaggio del gusto nell’entroterra minorchino, in cerca di produttori doc e ristoranti gourmet è un altro valido motivo per un viaggio a Minorca. E si scoprirà anche, con un po’ sorpresa, che è qui che è nata la maionese. E che da queste parti la “pomada” non è un prodotto farmaceutico, ma un ottimo cocktail…

 

Viaggio nelle Alpi

 

In occasione dell’uscita del numero 100 della rivista Meridiani Montagne il suo direttore scientifico Marco Albino Ferrari, in compagnia dell’antropologo Annibale
Salsa, è partito per un viaggio nelle Alpi. Un viaggio nell’immaginario mutevole delle Alpi, con i suoi stereotipi e le sue rappresentazioni mediate dal tempo. Un viaggio non in accordo alla filastrocca memotecnica “ma-con-gran-pena-le-reca-giù”
(Marittime, Cozie, Graie, Pennine, Lepontine, Retiche, Dolomiti, Giulie), ma seguendo la più naturale linea eliodromica. Da Est a Ovest, seguendo il percorso del sole dall’alba al tramonto. Dall’altopiano del Carso a La Turbie: duemila chilometri a zig zag. Un susseguirsi di incontri inattesi: donne, uomini, animali, immaginari apparentemente lontani tra loro, eppure attraversati da un filo che tiene tutto.
Oltre a Marco, e al suo ‘fido’ antropologo, in questa puntata di Onde Road sono intervenuti il geografo e camminatore (nonché garante internazionale di Mountain Wilderness) Franco Michieli che ci ha parlato dello stato di salute dei Parchi alpini. E Irene Borgna, titolare di un dottorato di ricerca in Antropologia alpina, che ci ha parlato del controverso processo di ripopolamento (umano, animale e vegetale) che si sta vivendo sulle Alpi. A proposito di ‘ripopolamento’ Sofia (26 anni, milanese, pittrice, scultrice e maestra di sci) ci ha raccontano della scelta sua e di Mario (27 anni, madrileno, liutaio, violinista ed arrampicatore) di trasferirsi nell’Alta Val Tanaro
per riaprire (e viverci tutto l’anno) il Rifugio Quarzina: un eremo alpino che dai suoi 1350 m. d’altezza regala uno sguardo che arriva sino al mare…

Rifugio Quarzina, nell’omonima frazione di Ormea
Telefono 0171.182.2009, cellulare 339.1978652
Facebook: @rifugioquarzina

Bretagna: una ‘strana’ crociera

 

Il 22 e il 23 giugno scorso si è svolta la 36° edizione della crociera di Pen Bron dal porto di La Turballe a quello di Arzal, in Bretagna. Circa 6 ore di navigazione. La peculiarità di questa manifestazione è che delle più di 1.000 persone imbarcate 200 erano disabili, ognuna assistita da una accompagnatrice o da un accompagnatore, provenienti da diversi istituti di Francia oltre a coloro non ospedalizzati.
L’idea nasce 36 anni fa dalla passione per la vela del dr. François Moutet, allora direttore del centro di riabilitazione di Pen Bron. Unire il mondo della vela, dei marinai, con quello dei disabili.
L’intuizione di Françoise Moutet poggia su due forti convinzioni: la prima, che possiamo definire etica, afferma che le persone disabili hanno diritto ad un loro reale posto nella società e che i medici e tutto il personale sanitario hanno il dovere di creare le migliori condizioni umane e sanitarie perché possano raggiungere questo obiettivo. La seconda, altrettanto potente, che possiamo definire “medico-professionale”, è sintetizzata nell’intervista, riportata alla fine della trasmissione: “tutti noi invecchiamo e un giorno saremo anche noi disabili, quindi più creiamo dei legami sociali e dei modi di vita solidali più penso che migliorerà la qualità di vita di tutti”.
La crociera diventa quindi una forma di terapia: due giorni su barche “normali” cioè non adattate, impone ai disabili e agli abili di verificare: ai primi le proprie capacità motorie o meglio la ricerca del limite che ha sempre come esito un nuovo limite e, ai secondi, di agire sempre in stretta relazione con l’altro.
Il dr. Patric ha raccontato una storia commovente ed entusiasmante e chiude il suo racconto con la magia e il messaggio che viene dalla “Pen Bron”: vivere insieme nello stesso spazio facendo le stesse cose porta le persone a scoprire risorse e capacità, conoscenze e sensibilità speciali e insospettabili.

www.croisiere-penbron.com