«Dopo tanti, tanti libri dedicati alla montagna, quello di Marco Albino Ferrari, dedicato alla madre, è il più intimo e bello che abbia letto. La montagna c’è ancora: non sullo sfondo ma tutt’intorno a questa donna e questo ragazzino, paesaggio del loro amore segreto». Così scrive Paolo Cognetti di “Mia sconosciuta” (Ponte delle Grazie editore), il libro dove Marco Albino Ferrari racconta il suo intenso rapporto con Rosamaria, la madre. È lei – figlia ribelle della migliore borghesia – la sorprendente protagonista di questa storia vera. La passione per i ghiacciai, per gli alberi pionieri, per la grande montagna, per la vita in due, incessantemente in due: lei e il figlio Marco. Colonna sonora le note del repertorio pianistico che questa donna senza freni suona fino a notte fonda. I ricordi si allineano riempiendo un mondo speciale
e perciò carico di nostalgie. L’insospettabile vita a Courmayeur durante la guerra; l’unione clandestina con Edi Consolo, mitico agente segreto della Resistenza;
le notti senza luci della Milano della Ricostruzione, al bar Jamaica, con le avanguardie e i circoli dell’anti-accademia. Non la si sarebbe mai incontrata a un pranzo di nozze o a un veglione di capodanno. E nemmeno a un funerale. Li considerava inutili convenzioni sociali, consuetudini prive di senso. E poi i lunghi mesi estivi in montagna con il piccolo Marco, a cui trasmette il suo amore per la montagna. Tutto filtrato da una critica laica, da uno sguardo che milita contro ogni forma di retorica e di presunta purezza. Infine, alla soglia della morte, il gravoso passaggio del testimone di una madre che non vuole vedere il suo mondo e i suoi insegnamenti dissolversi con lei. “A lei” scrive Marco Albino Ferrari “non piaceva soprattutto l’idea di purezza, le piacevano gli ibridi, quasi per una forma ideologica. Io stesso ero un ibrido, nato da una donna latina e un uomo sconosciuto del Nord Europa; o meglio, ero un bastardo, come aveva detto lo zio Carlo…”