Riscopriamo Chianciano

Una volta Chianciano Terme era la Cortina d’Ampezzo del turismo termale. C’era il Concorso ippico nazionale, la villeggiatura della famiglia Savoia, e un modello nobiliare proseguito fino al fascismo, con Galeazzo Ciano ospite inamovibile della stazione termale. Nel dopoguerra ci arrivarono anche il cinema – Fellini nel 1963 vi ambientò 8 ½ – e la politica, con svariati convegni organizzati annualmente. Nel 1992 la doccia fredda: l’abolizione del congedo straordinario per motivi di salute, che permetteva ai lavoratori di usufruire delle cure termali a carico dello Stato. È iniziato così un lento e inesorabile declino: da un milione e 400 mila presenze di inizio ‘90 siamo arrivati alle attuali 700 mila. Negli ultimi anni molti ex hotel sono stati messi in vendita a cifre irrisorie e oggi i muri delle case del centro storico sono pieni di cartelli con la scritta ‘vendesi’. Chianciano e il suo circondario continuano però ad offrire tesori che meritano di essere scoperti. A partire dall’eno-gastronomia locale. I tre fratelli Rosati, per esempio, nei locali di un’ex macelleria hanno realizzato il sogno di riunire in un solo luogo (www.braditoscani.it) le eccellenze uniche del territorio: dai salumi di cinta ai formaggi, dal miele alle composte, dai vini alle birre artigianali fino all’olio extravergine di oliva. Ottimi vino e olio sono prodotti anche a Palazzo Bandino (www.palazzobandino.com), un agriturismo nel cuore della campagna ai piedi di Chianciano (splendida l’area relax con vasche riscaldate interne ed esterne che guardano il borgo vecchio). Ed è proprio perdendosi nella campagna e sulle colline adiacenti che si trovano tesori inestimabili, a partire da il “Martirio di san Sebastiano”, un affresco di Pietro Perugino, ospitato in una chiesetta di Panicale. Passando per il giardino de La Foce (www.lafoce.com), un’azienda agraria sulle colline che dominano la Val d’Orcia che ha una storia secolare con protagonisti (tra i tanti) braccianti agrari che con il loro lavoro hanno ridisegnato il volto della valle, una scrittrice anglo-irlandese (Iris Origo) e un’architetto inglese (Cecil Pinsent) creatore di giardini. E arrivando a Salci, un borgo medioevale dimenticato in mezzo all’Italia: uno dei tanti borghi fantasma diffusi a macchia di leopardo in tutto il Paese. Transenne nelle piazze e vegetazione che ormai s’è impossessata dei luoghi dove appena 50 anni fa ci vivevano fino a 1.500 persone. E’ a pochi chilometri dalla Città della Pieve, nella valle del torrente Fossalto, al confine tra Umbria, Toscana e Lazio. Un borgo medioevale fortificato, piazzato su una collina alta 322 metri, che ben fotografa la potenzialità di questo scampolo d’Italia…

 

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Salvador de Bahia : il cuore afro del Brasile

Un viaggio dentro il cuore del samba e della tradizione afrobrasiliana: Salvador de BahiaMonica Paes e Ira Rubini compongono un diario (quasi) cronologico del percorso compiuto con un gruppo di fantastici ascoltatori di Radio Popolare alla scoperta del Brasile più autentico e contemporaneo, sotto la guida irresistibile dMiriam da Silva.

Apre il viaggio una visita a un’abitazione molto speciale: la Casa do Rio Vermelho, dove hanno vissuto il celebre scrittore  Jorge Amado e sua moglie Zelia Gattai, ricevendo e frequentando artisti e intellettuali di tutto il mondo. Molto più di un memoriale, la casa conserva gran parte degli oggetti e degli arredi originali e molte fotografie storiche, oltre a un ricco archivio di documenti cartacei e sonori, che testimoniano un importante periodo della cultura brasiliana e mondiale.

La cittadina di Santo Amaro, dove le sonorità portoghesi si fusero con le percussioni degli schiavi neri, ha dato origine alla scintilla generatrice della musica brasiliana, come racconta Roberto Mendez, celebre etnomusicologo e compositore, o come testimoniano con straordinaria spontaneità i molti interpreti vocali e le sambadeiras che a tutte le età “vivono” il samba di Santo Amaro. In questo luogo sorge anche la casa di Dona Canô, una vera personalità per il Brasile: morta a 105 anni, fra i suoi otto figli c’erano anche due giganti della musica come Caetano Veloso e Maria Bethânia. E noi siamo entrati nella loro casa natale e abbiamo incontrato il fratello Rodrigo.

Salvador ha un Carnevale che affonda le radici nella storia del Brasile e da molti è considerato il più autentico del paese. I gruppi che compongono la parata del Carnevale hanno storie antiche e tutte diverse, spesso legate a fatti storici o a movimenti di opinione. Vale per gli Olodum, molto noti anche in Italia. Di questo celebre gruppo musicale, da sempre impegnato in ambito politico e sociale, abbiamo vissuto un memorabile concerto celebrativo e visitato la scuola di formazione, nel cuore della città di Salvador, il Pelourinho.

In Brasile esistono le favelas ma anche molti esempi di valorizzazione degli spazi e di servizio alla popolazione. Ne abbiamo visitati alcuni, fra cui i Quilombos Boa Morte e Sao Felix a Cachoeira, fondati dai discendenti degli schiavi liberati e volti a realizzare l’autosufficienza produttiva e logistica di una popolazione di molte migliaia di abitanti, che hanno addirittura la loro moneta, il Sururu; la a scuola di capoeira e le attività comunitarie sull’isola di Itaparica; il progetto della Instituição Beneficente Conceição Macedo, nel quartiere di Alagados a Salvador, che aiuta le famiglie e offre ai bambini strutture e attività didattiche che li tengono lontani dalla strada.

Carlinhos Brown, musicista di fama mondiale, è a sua volta cresciuto in un quartiere difficile di Salvador, il Candeal. Per questo dedica da anni tempo e risorse al recupero del quartiere, che si è riqualificato al punto che la percentuale di violenza è drasticamente diminuita. Lo abbiamo incontrato e, in una conversazione in esclusiva per Radio Popolare, ci ha raccontato la sua visione del mondo. 

E anche la grande Margareth Menezes da tempo patrocina e promuove un progetto culturale dedicato alle Ganhadeiras de Itapuã, che abbiamo visto cantare e danzare con le loro famiglie nel centro culturale che organizza le loro attività.
 
Negli ultimi anni, Salvador de Bahia è stata oggetto di una vasta riqualificazione urbana e ambientale, visibile soprattutto sul litorale e nella Bahia de Todos os Santos, come ci ha spiegato il Segretario al Turismo, José Alves , che abbiamo incontrato per farci raccontare l’idea di turismo sostenibile che l’amministrazione pubblica sta promuovendo.

Ma Salvador de Bahia è una infinita fonte di meraviglia: dai colori vivaci delle case antiche, al cibo che mescola sapori e profumi del mondo, dalla ipnotica spiritualità che nasce dalla fusione dei culti africani e cristiani nei riti del Candomblé, agli splendidi musei e alle chiese monumentali, per non dire delle lunghissime spiagge sull’oceano.

Una destinazione indimenticabile, che Radio Popolare vi propone secondo la sua consueta filosofia di viaggio, alla scoperta di un Brasile autentico e contemporaneo e dei suoi protagonisti culturali. Foto di Franca.

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La Bosnia e i suoi ponti

Un viaggio tra alcuni ponti della Bosnia, secondo lo scrittore Ivo Andrić tra i più belli al mondo. “Di tutto ciò che l’uomo, spinto del suo istinto vitale, costruisce ed erige, nulla è più bello e più prezioso per me dei ponti” scrive l’autore del Ponte sulla Drina “I ponti sono più importanti delle case, più sacri perché più utili dei templi. Appartengono a tutti e sono uguali per tutti…”. Il viaggio inizia a Počitelj, un antico e pittoresco borgo lungo il corso della Neretva, testimonianza viva della dominazione turca: l’antica moschea del 1563, la scuola coranica del 1664, il bagno turco, le case eleganti costruite dai notabili musulmani nel diciottesimo secolo, la Kula (torre), il tutto in un intreccio di mura a secco ed edifici realizzati con la pietra del posto. Qui ha la sua sede la colonia d’artisti fondata su stimolo di Ivo Andrić negli anni sessanta ed oggi utilizzata in parte come pensione. Mostar, la città del ponte diventato un simbolo della drammatica guerra degli anni ’90, dista una manciata di chilometri. Risalendo la Neretva si arriva a Sarajevo, il cui ponte più famoso è quello minuscolo dove Gavrilo Princip compì l’attentato contro il duca austriaco Francesco Ferdinando. E poi la čaršija (il cuore ottomano della città), le chiese ortodosse e cattoliche, la sinagoga sefardita e quella askenazita. La vecchia funicolare austro-ungarica di Bistrik, da poco riaperta. E la Viječnica: inaugurata come municipio nel 1896 durante la dominazione austroungarica e costruito in stile pseudo-moresco, dal 1949 divenne sede della Biblioteca Nazionale ed Universitaria della Bosnia-Erzegovina, oggi ricostruita dopo essere stata bombardata e distrutta dalla guerra degli anni ’90. Ma la Sarajevo di oggi è anche fatta di centri commerciali, gated communities, speculazione: una città che rischia, dal punto di vista urbanistico, il saccheggio. Proseguendo verso sud il viaggio termina a Trebinje, dove c’è il Ponte Arslanagic del sedicesimo secolo, uno dei ponti ottomani più belli di tutta la Bosnia-Erzegovina. E’ anche la sede di un Convivium Slow Food che celebra il “fagiolo poljak”, un legume inserito all’interno dell’Arca del gusto di Slow Food.

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A Cannes per un cocktail

Tutto cominciò nel secondo secolo a.C. quando la tribù ligure degli Oxybian creò un insediamento sul promontorio di Le Suquet. E, probabilmente, era ancora un piccolo porto di pescatori liguri quando nell’891 fu attaccata dai saraceni, che vi si stabilirono sino al X secolo. A quei tempi l’area era una dipendenza del monastero di Lérins, ubicato su una delle isole davanti a Cannes. I monaci costruirono una castello fortificato, le Château de la Castre, intorno al quale il villaggio si espanse. Ce n’è per scrivere la sceneggiatura di un film e può darsi che prima o poi al Palais des Festivals et de Congres durante una delle prossime edizioni del Festival del Cinema venga proiettata una pellicola che racconta la storia di Cannes. Il cinema è illusione e la città che fu degli Oxybian lo ricorda offrendo ai suoi visitatori un red carpet virtuale che raccorda una manciata di murales a tema cinematografico. Si parte da rue Louis Braille dove Harold Lloyd, uno dei grandi comici del cinema muto, è immortalato nella scena in cui cerca di fermare il tempo aggrappandosi alla lancetta di un enorme orologio. Nel vicino boulevard d’Alsace risplende in tutta la sua bellezza eterna un gigantesco ritratto di Marilyn Monroe. Proseguendo verso il centro storico si trovano un omaggio a Jean Gabin e uno a Gérard Philipe. Per uno spuntino si può puntare su Rue Meynadier, la via dei sapori, residenza degli alimentari più sfiziosi della città. Dalla Pescheria Cannoise, che esiste da oltre 40 anni, alla Boutique Aux Bons Raviolis, dove la specialità sono i ravioli niçois (da provare quelli con le biete e il manzo, agli asparagi o con basilico e pomodori essiccati). E ancora: la macelleria del quartiere, la formaggeria Ceneri e il mitico Ernest, che è qui da tre generazioni e vanta sia una drogheria che una pasticceria, una in fronte all’altra. Riprendendo il viaggio tra les Murs Peints ci si inerpica tra gli antichi vicoli del Suquet, la vecchia Cannes. La passeggiata diventa un viaggio nel tempo. Pochi passi e non c’è più nulla del glamour che imperava sino a quel punto. Le stradine sono strette, ma il sole riesce a fare capolino fra una casa e l’altra, inondando i balconi pieni di fiori. I murales evocano Buster Keaton e JacquesTati, ma l’attenzione è distratta dagli scorci mozzafiato che si intravedono tra un vicolo e l’altro. La Rue du Suquet è ripida e ha due anime completamente diverse. Di giorno è un paese fermo nel tempo, di sera si anima senza ritegno. I tavoli dei ristoranti strabordano dai locali e occupano la strada, le gallerie d’arte e i negozi d’artigianato accendono le loro vetrine sino a notte fonda.

www.cannes-destination.fr

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Cannes, itinerario tra i murales sul cinema

 

Delta del Danubio

“Dove finisce il Danubio? In questo incessante finire non c’è una fine, c’è solo un verbo all’infinito presente. I rami del fiume se ne vanno ognuno per conto proprio, si emancipano dall’imperiosa unità-identità, muoiono quando gli pare, uno un po’ prima e uno un po’ dopo, come il cuore, le unghie o i capelli che il certificato di morte scioglie dal vincolo di reciproca fedeltà. Il filosofo avrebbe difficoltà, in questo intrico, a puntare il dito per indicare il Danubio, la sua precisa ostensione diverrebbe un incerto gesto circolare, vagamente ecumenico, perchè il Danubio è dappertutto e anche la sua fine è dovunque in ognuno dei 4300 chilometri quadrati del delta”.

E’ uno stralcio da “Danubio”, un libro di Claudio Magris che fotografa poeticamente un universo dove “non c’è confine fra la terra e l’acqua, le strade che nei villaggi conducono da una casa all’altra sono ora viottoli coperti d’erba ora canali sui quali fluttuano giunchi e ninfee; terra e fiume trapassano e sfumano una nell’altro, i ‘plaur’ricoperti di canne fluitano come alberi alla deriva o si attaccano al fondo come isole”.

Il delta del Danubio è un paradiso naturalistico. Un labirinto lacustre trasformatosi in una fiaba con uccelli meravigliosi, una specie di nodo terrestre in cui si incrociano 5 strade di passaggio di volatili. Praterie di ninfee tagliate in due dalle barche, che sostituiscono le macchine dato che da queste parti, spesso, mancano le strade. Viaggiando nel Delta del Danubio, oltre alla fauna e alla flora, ci si rende conto che durante il viaggio cambiano i volti, le lingue e i costumi di chi abita in questa regione. Si incontrano minoranze nazionali disparate, che proprio qui hanno stabilito la loro residenza. Greci, ucraini… e friulani, come la signora Otilia. Abita nel villaggio di Greci, e come gran parte dei suoi concittadini discende da famiglie di friulani emigrati alla fine dell’Ottocento, dalla zona di Poffabro, Maniago e Pordenone, per andare a lavorare come scalpellini nelle cave della regione. La capitale di questo incredibile universo è Sulina, l’ultimo paese bagnato dalle acque del fiume prima che la terra venga sommersa dal Mar Nero. E’ il punto più orientale del paese e dell’intera Unione europea continentale. Ma non sta qui la sua importanza. Quasi sconosciuta oggi, Sulina in passato era un prospero porto, sede della Commissione Europea danubiana. Nata nel 1856, dopo la guerra di Crimea, era un’istituzione che anticipò di oltre un secolo la Commissione Europea di oggi. Ne facevano parte tutte le potenze europee dell’epoca: Regno Unito, Francia, Austria, Prussia, Italia (o meglio, il Regno di Sardegna), Russia e Turchia. La Romania ne era fuori all’inizio, non essendo ancora uno stato indipendente. Tutti avevano interesse a marcare stretto gli altri e ad avere voce in capitolo per garantire che il Danubio avesse una sorta di status internazionale, che ne assicurasse la navigabilità. Sulina divenne porto franco e si sviluppò rapidamente diventando una piccola cittadina cosmopolita, la cui neutralità, anche in caso di guerra, era certa per statuto. Una sorta di Tangeri danubiana. Tutti marcavano la loro presenza con chiese, palazzi e funzionari. E come nella “Zona Internazionale” di Tangeri arrivarono spie, contrabbandieri e pirati… Di quell’universo oggi restano vecchie chiese, qualche casa turca, un faro costruito con le tasse imposte alle navi che entravano nel porto, qualche facciata vagamente liberty…

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Iran del Nord

Il viaggio nel nord dell’Iran è un viaggio dentro mondi diversi, che susseguono, uno dietro l’altro. Mashad, città sacra agli sciiti in quanto sede del mausoleo dell’Imam Reza, ottavo imam degli sciiti e discendente del Profeta, martirizzato nel 817. E’ la prima città santa dell’Iran e tappa obbligata del pellegrinaggio religioso. Una delle meraviglie del mondo islamico. La strada che, costeggiando le montagne delle mille moschee (le Dolomiti iraniane), porta, nelle adiacenze del confine con il Turkmenistan, sino a Kalat: un villaggio, piazzato su un vasto massiccio protetto dalle montagne, che ha saputo resistere all’assedio di Tamerlano. La tomba di Ferdowsi, il maggior poeta epico della letteratura persiana medievale. Il fascino senza tempo della Torre astronomica di Radkan, costruita alla fine del 1200, dove si può calcolare il primo giorno di tutte le stagioni (equinozi e solstizi), gli anni bisestili e si può calcolare il mezzogiorno in tutte le giornate di sole. Se si guardano le stelle sulla parte superiore della torre di Radkan si possono inoltre trovare le latitudini e l’azimut delle stelle, come con un telescopio. Il coraggio di un gruppo di ragazzi, alcuni dei quali appena rientrati in Iran dopo anni di emigrazione in Occidente, che a Radkan hanno ristrutturato una vecchia casa tradizionale, con più di 100 anni di storia, trasformandola in un eco resort (www.radkanarg.ir) dove è possibile mangiare e dormire. Le barche che solcano il Mar Caspio per raggiungere Bandar-e Torkeman, nella regione del Golestan. L’incontro a Gorgan con una donna che gestisce la “Gorgan Women’s Charity Association“, una struttura che tra le sue mission ha la valorizzazione e l’accrescimento dell’autostima delle persone disagiate, in particolare delle donne capofamiglia. La magia di Masuleh, un villaggio a mille metri di altitudine con un’architettura unica, l’unico luogo totalmente pedonalizzato dell’intero Iran. Aggrappato al fianco della catena montuosa di Alborz, lungo un dislivello di circa cento metri, presenta una conformazione terrazzata in cui il tetto della casa inferiore costituisce il cortile e il marciapiede di quella superiore. Un eccellente esempio di ecosostenibilità sia per i materiali usati (le case sono in legno e argilla su due piani collegati da scale tortuose) che per i labirintici passaggi che collegano i vari strati cittadini che rendono impossibile l’accesso delle auto. L’ascesa alla fortezza di Alamut: situata a 1800 metri, nel cuore dei Monti Elburz, è famosa per essere stata il nucleo della cosiddetta “setta degli assassini”. Una setta tristemente famosa per la sistematica eliminazione fisica dei rivali politici e in generale dei nemici dell’Islam. Gli adepti venivano imbottiti di hashish (il nome “assassini” sembrerebbe proprio coincidere con l’arabo “consumatori di hashish”) in modo da essere suggestionati al punto di compiere missioni a priori ritenute suicide.

Anche le immagini di un viaggio come questo hanno qualcosa di lisergico, ma per viverle non c’è bisogno di fumare niente di strano…

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Trieste: un altro mondo

Trieste è una bella città per fare jogging. Per una camminata, tutta salute e paesaggio da cartolina, c’è  la strada Napoleonica: circa un’ora la sola andata, con un lieve dislivello in discesa fino al piccolo abitato di Prosecco, e splendide vedute sul golfo cittadino. Per chi vuole corricchiare c’è la tratta che collega la Stazione centrale con Barcola e oltre, verso il castello di Massimiliano. Il percorso si snoda parallelo ai chilometri di inferriata, e di muro, oltre i quali si nasconde un segreto di 700mila metri quadrati. E’ una città nella città, un luogo nato come parte integrante dello spazio urbano, oggi separato dal centro abitato da alte mura, recinti e valichi sorvegliati. E’ il Porto Vecchio, l’antico scalo marittimo cresciuto ai tempi dell’impero asburgico, motore dell’economia finché Trieste fu emporio dell’Austria-Ungheria, quindi avviato a un lento e inarrestabile declino dal novembre del 1918, quando la città fu occupata dall’esercito italiano. E’ uno dei waterfront più appetibili d’Europa, un enorme potenziale per la città (… basta vedere cosa hanno fatto a Marsiglia e Glasgow). C’è chi ha pensato di ‘sfruttare’ un elemento di cui Trieste è ricca, il vento, per creare un magazzino che raccogliesse elementi che potrebbero finire in un vero e proprio museo dei venti. Ci si può trovare l’Archivio dei Venti del Mondo (una bizzarra raccolta di venti in scatola, ovvero oltre 130 venti imbottigliati, inscatolati, impacchettati provenienti da quasi tutto il mondo), ma anche opere di qualità di artisti talentuosi tra cui Pascutto, Pastrovicchio, Pezzolato, Spigai, tutte pertinenti con i temi del museo. Questo magazzino è la conferma che Trieste, oltre a eccellenze fantastiche (piazza Unità d’Italia, il Museo Revoltella, il castello di Miramare…) ha tanti altri ‘piccoli’ segreti da scoprire. Tra questi Katastrofa, un nuovo Alì Babà pieno di passione e poesia che, ai suoi visitatori, propone vecchi mobili rivisitati, oggetti d’arte, antiche ceramiche e vetri ricercati in Italia e all’estero. Chi invece vuole un tuffo nel passato, oltre ad un aperitivo negli storici caffè cittadini, deve puntare sulla drogheria Toso: qui tutto è rimasto intatto dal 1906.  Dagli scaffali con cassetti di legno color avorio alti fino al soffitto, agli articoli che ormai da anni non vengono più smerciati negli altri negozi. Nei grandi cassetti in legno ci sono ossidi per decoratori, terre verdi e rosse, talco. Caramelle e caramelline per tutti i gusti: al rabarbaro, balsamiche al miele, i diavolini, le mente bianche… E poi catturapolvere in piume di struzzo, scope in crine di cavallo, gratta schiena in legno. L’odore che punge le narici è quello delle spezie, dei chiodi di garofano, della citronella, dei semi di senape e del sapone di marsiglia, tutto sfuso e venduto a peso. L’odore che invece si respira nelle cantine dell’agriturismo Bajta è quello dei salumi che qui stagionano tra la roccia viva. Siamo nel cuore del Carso e qui tutto deve fare i conti con la conformazione morfologica dell’area. Anche i maiali che razzolano intorno all’agriturismo.

Più info su TurismoFVG.it

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Estasi marocchine

L’aeroporto di Marrakech-Menara dista meno di 20 km di Tamesloht.  Piazza Djema el Fna con la sua umanità che sembra uscita da un buco spazio temporale è un piacevole ricordo. E i lussuosi riad di Marrakech dove, per accontentare i pruriti esotici degli occidentali, gli operatori turistici offrono una parodia del vero Marocco, sono distanti anni luce. A Tamesloht il passato non è rinnegato come se fosse immondo: in questo villaggio circondato da uliveti vive un Marocco che ha i piedi nell’ieri ma guarda avanti. E’ abitato da artigiani, come quelli che vivono nel quartiere dei “potiers”, un piccolo universo fatto di  terra e  terracotta.  Il caos della casbah di Marrakech appartiene a un altro universo. Nell’Ensemble d’Artisanat diversi artigiani, specializzati nei più vari mestieri, hanno i loro laboratori e abili mani lavorano la pelle, il vetro, l’osso… La perla di Tamesloht è una sorta di cittadella dove risiedevano i signori locali, un complesso di residenze risalenti al XVI° secolo. Visitarla è come trovarsi dentro la scenografia di un film, e non a caso  le elaborate porte delle case ed i soffitti in legno decorati sono finiti in più di una ripresa cinematografica. Orson Welles invece, decidendo di adottarla per le riprese del suo Otello, sulla pellicola ha immortalato Essaouira, un gioiello della costa atlantica a due ore di macchina da Marrakech. Vanta due primati originali: è una città senza semafori e senza ascensori, perchè all’interno delle sue antiche mura non circolano auto e i palazzi sono tutti antichi. Se qualche decade fa è stata il rifugio africano di hippie in fuga dall’Occidente, oggi è il paradiso di surfisti in attesa della grande onda. Essaouira continua ad essere una sorta di risacca esistenziale, un luogo dove imperversa una luce che esalta il candore delle  case imbiancate a calce e che rende vivido il blu delle porte e delle finestre. Un vento costante giustifica gli adesivi che appiccicati sul lungomare avvisano il forestiero che è a Wind City, Afrika. Il vento batte senza sosta anche gli alberi di Argania che crescono sulle colline intorno alla città. I frutti di queste piante, bacche di colore verde, simili ad un oliva ma di dimensioni maggiori, ospitano un nocciolo particolarmente duro che a sua volta racchiude due o più mandorle da cui si estrae l’olio d’Argan, il “petrolio” di questa regione (da anni il governo del Marocco aiuta la formazione di cooperative femminili dedite alla produzione dell’olio di argan e oggi circa due milioni e mezzo di marocchini vivono dai proventi derivati dall’arganier). Per il pranzo ad Essaouira basta seguire il profumo di pesce alla griglia che arriva da alcune baracche in prossimità del porto. Qui, a partire dalla tarda mattinata, i pescatori preparano e servono un menu che spazia da un’abbondante porzione di sardine a un elegante piatto di crostacei dell’Atlantico…

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Da Genova verso la realizzazione di un sogno…

 

Genova è una città musicale ed è possibile percorrere le sue geografie non solo sul pentagramma, ma anche percorrendo vicoli e caruggi, o sostando davanti al mare di Boccadasse accompagnati da una guida messa a disposizione da via del campo 29 rosso, la casa dei cantautori genovesi.  E’ nel cuore di Genova, dove lavorano anche gli operatori della Comunità di San Benedetto al Porto. Don Gallo quest’anno compirebbe novant’anni, e il suo insegnamento continua ad ispirare i membri della comunità. Anche di chi lavora alla trattoria ‘a Lanterna, nota ai più come il ristorante della comunità di Don Gallo, che oggi può avvalersi della remise en forme operata dallo chef Cannavacciuolo. La trattoria prende il nome dalla vicina Lanterna, la torre che domina il porto di Genova. Costruita nel 1543 è il secondo faro più alto d’Europa, e grazie al lavoro di Andrea de Caro e di alcuni amici dell’associazione “Giovani Urbanisti” della Fondazione “Mario e Giorgio Labò” propone  ai turisti una intrigante visita alla struttura (info). Merita una visita anche la casa natale di Sandro Pertini a Stella, a pochi chilometri da Savona. Anche qui è solo grazie a dei volontari, capitanati da Elisabetta Favetta, che è stato creato un museo che consente di conoscere meglio un Presidente che ha lasciato un’eredità morale oggi spesso citata come contraltare del malcostume di usare la politica per interessi privati. Proseguendo lungo la riviera di Ponente si arriva a Ventimiglia dove centinaia di migranti attendono di passare in confine con la Francia per realizzare il sogno di una nuova vita. Anche se per farlo bisogna superare, senza l’adeguata attrezzatura,  un passo alpino con due metri di neve. Chi invece il proprio sogno lo ha realizzato sono le persone che vivono nell’Ecovillaggio Torri Superiore: una realtà autogestita che ha rivitalizzato un borgo abbandonato nell’entroterra di Ventimiglia.

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Iran

Teheran è una capitale divisa in un Nord ricco, dove si costruiscono senza sosta nuovi palazzi e dove le Maserati dai colori bizzarri rombano intorno ai caffè alla moda, e un Sud povero dove famiglie iraniane e migranti afgani vivono in case basse e vecchie, tra disoccupazione e tossicodipendenza. Una città che, mentre viaggi dall’aeroporto al centro città, ti regala la visione di una costruzione da mille e una notte (che poi scoprirai essere il mausoleo dell’ayatollah Khomeini) e che sui muri al posto di disordinate tag propone incredibili murales in maiolica. La serie di contraddizioni che trovi nella capitale iraniana sono il paradigma della dicotomia tra modernismo e tradizione che regna nell’animo dei giovani persiani. Basta farci due chiacchiere per capire che hanno un orgoglio che spesso li spinge a sentirsi superiori agli arabi, agli ebrei, ai pachistani, agli indiani, ai turchi, ai curdi, agli afgani e, nello stesso tempo, a coltivare il culto del khareji, lo straniero. Secondo la scrittrice Lila Azam Zanganeh, “sono in balia, a volte preda, di un dualismo lancinante: l’attrazione per tutto ciò che è occidentale e il senso profondo della cultura locale e dell’orgoglio nazionale”. I libri delle scrittrici iraniane sono un ottimo mezzo per entrare in un mondo così diverso dal nostro. Brioschi editore ha pubblicato i lavori di autrici iraniane che vivono nella Repubblica islamica dell’Iran e scrivono in persiano senza ammiccare all’Occidente. Farian Sabahi ne consiglia almeno un paio: “La scelta di Sudabeh” di Fattaneh Haj Seyed Javadi e “A Teheran le lumache non fanno rumore” di Zahra ‘Abdi. Per capire l’Iran di oggi è anche opportuno visitare la città di Mashad, dove sono iniziati i disordini delle scorse settimane. E’ meta di pellegrinaggio religioso dove viene venerato Alī al-Riḍā, l’ottavo Imam dello sciismo duodecimano, ed è un buon punto di partenza per spingersi verso le verdi coste del Mar Caspio, e conoscere località come Sari e Ramsar. Un viaggio che può avere la sua apoteosi inerpicandosi sino a Masuleh: un villaggio a mille metri di altitudine con un’architettura unica. Aggrappato al fianco della catena montuosa di Alborz, lungo un dislivello di circa cento metri, presenta una conformazione terrazzata in cui il tetto della casa inferiore costituisce il cortile e il marciapiede di quella superiore. Un eccellente esempio di ecosostenibilità sia per i materiali usati (le case sono in legno e argilla su due piani collegati da scale tortuose) che per i labirintici passaggi che collegano i vari strati cittadini che rendono impossibile l’accesso delle auto.

Come allegato a questa puntata un file con l’intervista a un ragazzo iraniano trentacinquenne. Da anni vive in Italia ed è appena tornato da un viaggio in Iran, dove ha parlato con i ragazzi in piazza in queste ultime settimane.

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Zurigo

Uno dice Zurigo e la mente corre a un insieme di caveau bancari. Ovviamente ce ne sono tanti, ma c’è anche una città che negli ultimi anni si è rimodellata seguendo una logica che sorprende il visitatore. E’ il caso di Zurich West, ex sobborgo industriale della città. Fabbriche e cantieri sono stati riconvertiti in gallerie d’arte, teatri, jazz bar, atelier di giovani stilisti. E c’è persino un centro termale aperto all’interno di un vecchio birrificio. Tutto è figlio di una pianificazione urbanistica progettata verso la fine degli anni ’80 quando la municipalità zurighese doveva risolvere il problema della riconversione di un’area che sino ad allora era stata esclusivamente industriale. Decise di non destinarla al terziario, ma di voler creare un quartiere vivo, dove eventuali uffici dovevano essere solo ai piani superiori degli edifici. A piano terra le licenze sono state concesse solo a laboratori artigiani, negozi, asili…  Un esempio illuminante è l’oasi verde Frau Gerolds Garten. E’ riconoscibile per un grande murales realizzato da una studentessa della scuola di arte applicata e per le creazioni di urban knitting che lo adornano: biciclette e sedie rivestite a maglia con sgargianti colori. Su un grande pezzo di terreno incolto in un’ottantina di orti rialzati vengono piantate verdure, erbe aromatiche, insalata e frutta. Questi prodotti sono utilizzati nella cucina del ristorante che può così vantare una vera cucina a km zero. Gli orti-aiuola sono anche un punto d’incontro per gli abitanti del quartiere, che possono affittare o chiedere in prestito i cassoni con cui coltivare le piante in base ai propri desideri. A fare ombra a questa enclave bucolica ci pensa la Prime Tower, un grattacielo alto 126 metri, dove dal 35esimo piano, sede del ristorante Le Nuvole, è possibile ammirare il paesaggio urbano zurighese nella sua complessità, compreso il centro storico, fatto di stradine e vicoli da percorrere rigidamente a piedi. Tra le mete imperdibili il Cabaret Voltaire, un piccolo locale della città Vecchia che da qualche anno ha riaperto i battenti grazie all’aiuto della municipalità. E’ la culla del movimento Dada, l’anima ribelle di Zurigo che cento anni fa mise al centro del suo agire il rifiuto di ogni atteggiamento razionalistico. L’articolazione delle iniziative di Tristan Tzara, Hugo Ball, Hans Harp e dei loro soci ebbero infatti come motore ‘il caso’, una scelta provocatoria che doveva generare una nuova arte, coincidente con la vita stessa e non separata da essa. Il razionalismo marxista ha invece imperversato a lungo nelle stanze del Coopi, il Ristorante Cooperativo italiano di Zurigo, un centro culturale noto nella storia dell’antifascismo, del movimento socialista e dell’emigrazione italiana in Svizzera. Qui  venne fondata una libreria e un quotidiano, “L’Avvenire dei Lavoratori”, che durante il regime fascista fu l’unico foglio socialista italiano edito fuori dalla clandestinità (oggi pubblicato sotto forma di newsletter). Tra i collaboratori della storica testata Serrati, Rosselli, Colorni, Saragat, Pertini, Nenni, Silone, Fortini, Barbara Wootton e molti altri…

Info: myswitzerland.com/zurigo

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La via incantata verso il grande nord

“La via incantata” (Ponte alle Grazie) è il titolo dell’ultimo libro di Marco Albino Ferrari, un lavoro con cui l’autore torna a parlare del navigatore ed esploratore italiano Giacomo Bove. Nella puntata di Onde Road dello scorso 5 marzo ci aveva raccontato perchè proprio a Bove è stato dedicato il lungo sentiero che percorre  le creste della Val Pogallo in Valgrande, la più grande wilderness italiana. Oggi invece ci parla del tentativo di Bove di aprire il Passaggio a Nord Est. Ai suoi tempi  la navigazione tra i due oceani era un’impresa che aveva contato solamente fallimenti e sulle acque ghiacciate che cingono la Siberia da Nord si disegnava un cimitero di buone intenzioni. Navigare dalla Norvegia allo Stretto di Bering significava aprire una nuova via commerciale che poteva risparmiare la via più lunga circumnavigando l’Africa o pagando pedaggio agli inglesi per il nuovo Canale di Suez. Partiti il 18 luglio del 1878,  Bove e l’equipaggio dell’ammiraglia Vega, una nave civile rinforzata in metallo a prua e dotata di tutti gli strumenti scientifici più moderni dell’epoca, a partire dal 29 settembre rimasero per 294 giorni bloccati tra i ghiacci prima di poter riprendere la strada verso il Giappone. Se Marco Albino Ferrari ci racconta le interminabili giornate di Giacomo Bove tra i ghiacci,  Alberto della Rovere, a lungo capo dell’odierna spedizione italiana in Antartide, ci racconta la sua quotidianità tra i ghiacci. Il prof Franco Brevini, studioso delle tradizioni letterarie in dialetto nonchè alpinista, ci spiega cos’è l’idea del grande nord che tanto ha affascinato la cultura occidentale.  Lo scrittore Davide Sapienza infine ci regala una bibliografia dedicata al camminare e viaggiare verso e nel Grande Nord.

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Terre promesse

01_Betlemme

Hamed è l’insegnante di scienze della scuola di bambù di Abu Hindi. La scuola si chiama così perché dovendola ristrutturare, con il divieto da parte dell’esercito israeliano di toccare la preesistente struttura in lamiera, si è pensato di realizzare una copertura della stessa con delle canne di bambù. Il villaggio è un casuale susseguirsi di baracche su cui sventolano tappeti impolverati e sacchi di plastica. Hamed ha vissuto negli Stati Uniti dal 2000 al 2010. Lavorava, si è sposato, ha guadagnato la Green Card, si è separato ed ha deciso di tornare in Palestina. Da 7 anni lavora alla scuola di Abu Hindi. Lo stipendio è di circa 3000 shekel al mese (circa 750 Euro). Oggi ha perso il bus che porta alla scuola tutti gli insegnanti e il taxi gli è costato 30 shekel. Solo andata. Il 3% del suo salario mensile. Per arrivare all’accampamento beduino bisogna percorrere un paio di km dalla strada che porta a Gerusalemme. E’ una polverosa  strada sterrata, che costeggia una discarica a cielo aperto, con una ripida discesa che sprofonda a tradimento nel fondo della vallata. Non è stato Hamed a decidere di venire qui, lo ha mandato il ministero palestinese dell’istruzione. E come si può intuire non c’è la coda per venire ad insegnare alla scuola di bambù. E’ stanco di vivere in una situazione così al limite. “Mi sono arreso” mi confessa.  Hamed aspetta la fine dell’anno scolastico, poi tornerà a San francisco. “Un posto di commesso in un supermercato dovrei riuscire a trovarlo”. E’ il blues del prof. di scienze, una plastica (e sconsolata) fotografia della situazione vissuta dal popolo palestinese, sempre più schiacciato dalla rapacità di terra dei coloni. Quella israeliana è una realtà complessa, popolata non solo da fondamentalisti. Ci sono quelli che abitano nei kibbutz, un sogno socialista che oggi fa i conti con il terzo millennio. E quelli che vivono a Gerusalemme, insieme agli arabi. La città è piena di pellegrini prevenienti da mezzo mondo: è una città santa, ma nel settore israeliano è ricca di piaceri profani. L’epicentro di questa Gerusalemme è tra i banchi di un antico mercato trasformato in tempio della movida: il Mahane Yehuda Market. Invece il mercato di Qalqilya, città palestinese completamente circondata da un muro che ne limita confini e crescita, è tristemente vuoto. Come Shuhada Street a Hebron. E’ tra le quattro città sante per l’ebraismo e l’Islam. La seconda città più grande della Cisgiordania, sotto occupazione militare dal 1967. Gli insediamenti israeliani si trovano nel cuore del centro storico palestinese: 800 coloni vivono oggi all’interno della città vecchia, dove l’esercito israeliano impone ai palestinesi un sistema di restrizioni, checkpoint e divieti che hanno trasformato questo fiorente segmento della città in una “Ghost Town”, una città fantasma. Per cercare di navigare in un mare così drammaticamente tribolato ci affidiamo alla saggezza della scrittrice ed architetto Suad Amiry che, oltre alle sue tre vite, ci racconta cosa significa oggi vivere in Palestina.

ONG Vento di TerraBlog ItIsrael

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Sentieri etilici vallesani

Per gli amanti delle sensazioni forti un week end nel Vallese può iniziare prendendo la funivia a Blatten, poco lontano da Briga, e con una breve camminata raggiungere  l’hotel Belalp e la sua cappella. Qui ci si trova al cospetto del ghiacciaio dell’Aletsch: una visione che lascia senza fiato. Poi con calma ci si può spostare verso la vallata del Rodano, dove si coltivano oltre 60 vitigni differenti. L’85% del territorio è coltivato a Pinot Noir, Chasselas (da cui si ricava il bianco più comune, il Fendant) e Gamay,  ma sempre più si cerca di piantare vitigni autoctoni ed esclusivi, come i rari Petite Arvine, Amigne, l’HumagneBlanche (per quanto riguarda i bianchi) e Cornalin e Humagne Rouge (per i rossi). I vigneti sono ricavati da vasti terrazzamenti che si arrampicano dalle sponde del Rodano, spesso ripidamente. Il lavoro è particolarmente difficile perché i muri a secco richiedono una costante manutenzione per evitare frane e anche tutti i lavori in vigna devono essere effettuati rigorosamente a mano, con l’unica eccezione in alcuni casi dell’impiego di particolari monorotaie mobili che permettono di trasportare le gerle con i grappoli vendemmiati. E’ un’enologia che si può definire eroica anche perché gli appezzamenti sono in genere piccoli, se non minuscoli. A dar una mano ai vigneron ci pensa il clima. “Stretto” tra le alte montagne dell’Oberland Bernese a nord e le Alpi a sud, la valle del Rodano è protetta dalle piogge e così in Vallese piove mediamente quanto ad Algeri. Tanto è vero che l’irrigazione è fornita da una lunga rete di canali (le “Bisses“) che portano a valle l’acqua di scioglimento della neve dalle montagne. Lungo le bisses sono stati ricavati dei percorsi escursionistici affascinanti, sentieri che attraversano i vigneti costeggiando i muri a secco. Uno dei più belli è la Bisse de Clavau, nei pressi di Sion.  Si parte dal centro città e superato lo strappo che porta ai vigneti, si percorre un sentiero pianeggiante che regala viste strepitose sulla vallata e sul Rodano, che per via dei minerali che trasporta dal ghiacciaio da cui nasce ha un incredibile color turchese. A rendere ancora più interessante la camminata sono le tappe che si possono fare presso alcune garitte che spuntano in mezzo ai vigneti. Qui si possono accompagnare i vini locali con stuzzichini del territorio, raclette vallesana a volontà e torte di stagione della casa. Per saziare lo spirito invece c’è la vigna di Farinet. Joseph Samuel Farinet a metà del XIX secolo era famoso come falsario delle monete da 20 Centesimi di Franco che distribuiva generosamente tra la popolazione in cambio di cibo e protezione dalle autorità. Nonostante tutti sapessero che le monete erano false, nondimeno queste circolavano liberamente. Farinet, braccato, arrestato, evaso subito dopo e poi fuggiasco, morì in circostanze non chiarite e divenne una specie di eroe popolare. Ritenuto una sorta di Robin Hood locale, c’è chi si spinge a presentarlo come il Che Guevara del Vallese. La vigna che porta il suo nome, oggi  di proprietà del Dalai Lama, è un oasi di pace spirituale visitata ogni anno da migliaia di persone. E Farinet, pur non dispensando miracoli, è diventato una sorta di laico Padre Pio.

vallese.ch  –  belalph.ch  –  siontourisme.ch

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Esplorando la Guascogna: eresie, foie gras e jazz

01_Jazz in Marciac

Francia sud-occidentale. La capitale è Tolosa, la ville en rose, la città rosa, per il profluvio di coppi e mattoni dei suoi vecchi palazzi. In realtà non è una città monocromatica, ma un arcobaleno di racconti ed emozioni: crocevia della storia e del mondo, antica e moderna. Esoterica ed aeronautica, sportiva e colta, golosa e discreta. Giovane di tanti studenti (115.000) e di 150 nazionalità, felicemente indecisa tra provincia e metropoli, cresciuta negli ultimi anni fino a diventare il quarto centro di Francia. Multietnica (Garcia è il secondo cognome) e metamorfica (oggi affidata agli architetti Juan Busquets e Rem Koolhaas) tra prossime ramblas e un futuro parco delle esposizioni. Siamo non lontano dai Pirenei e dal confine spagnolo, alla confluenza della Garonna e del Canal du Midi. E’ la città degli Zebda, gruppo rock talmente radicato in città che una lista elettorale ispirata dalla band (Motivé-e-s)  presentatasi alle elezioni municipali del marzo 2001 riscosse il 12,8 % dei voti, ottenendo quattro seggi in consiglio municipale. Siamo nella regione dei Catari, l’eresia medievale per eccellenza: la più importante e diffusa in tutto l’occidente cristiano. Quella per cui è stata istituita l’inquisizione, frutto della reazione decisa da parte della Chiesa. Nato qui, nel Midi della Francia, il catarismo si diffuse con grande velocità in tutta Europa, Italia compresa (la capitale fu Concorezzo alle porte di Milano). 80 km ad ovest di Tolosa sorge Auch: capitale della Guascogna, è incastonata in un paesaggio collinare, in una provincia prettamente rurale, e rappresenta la città in campagna. La regione, da un punto di vista paesaggistico, è una garanzia di scoperte e relax. Ed è in mezzo a questo universo rurale, tra chiese medioevali, castelli e grandi dimore che un piccolo paese di nome Marciac ospita uno dei jazz festival più importanti al mondo. E’ una sorta di Woodstock del jazz: il pubblico ha qualche anno in più di quello del mitico festival americano, ma la passione è la stessa. Concerti per migliaia di persone sotto lo chapiteau, esibizione più intime tra le vigne e nelle cantine. Il Jazz in Marciac richiama ogni anno più di 200mila persone, dura una quindicina di giorni e si celebra nella prima metà di agosto. 

tourism-occitania.co.uk  –  toulouse-visit.com  –  tourisme-gers.com

Per info sul catarismo in Italia: Archivio Storico della Città di Concorezzo
Associazione culturale. Via Santa Marta, 20 – Concorezzo (MB) – Tel:  039.62800307

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