“Questo particolare tipo di edificio ha origini e sviluppo che si accompagnano al nascere e allo svolgersi dell’alpinismo e alla fondazione delle grandi società alpine. Dopo un primo periodo di costruzioni rudimentali, fino dagli ultimi anni dell’800 si venne sviluppando tutta una particolare tecnica della costruzione dei rifugi: la quale riguarda in primo luogo la loro costituzione organica, planimetrica e altimetrica, in vista di assolvere ai diversi compiti loro assegnati (in base alla differenziazione dell’alpinismo, alla capienza desiderata, ai diversi modi di gestione, ecc.); in secondo luogo la scelta dell’ubicazione specifica (in base agli obiettivi alpinistici proprî di ciascuno, alle zone montane ed agl’itinerarî cui servono, alla salvaguardia dalle offese esterne, ecc.); in terzo luogo la conformazione delle loro singole parti, tale da prestarsi al buon funzionamento nel particolare ambiente. Circa il primo punto è da notare che recentemente il grandioso estendersi dell’alpinismo in ogni classe sociale e la sua sempre maggiore differenziazione hanno originato vari tipi di rifugi”. E’ la definizione che l’enciclopedia Treccani dà del “Rifugio Alpino”, una struttura che recentemente è stata ripensata a tal punto che fioriscono rifugi di nuova concezione. Importante sottolineare che per ”Nuovi Rifugi” non bisogna intendere la semplice edificazione ex novo di punti d’appoggio o il ripristino di vecchi edifici in alta quota divenuti obsoleti. Per “nuovo” ha da intendersi un ripensamento più ampio su come l’uomo possa presidiare la natura in condizioni estreme : contenimento dei consumi, compatibilità ambientale, facilità di messa in opera. Ne parliamo con Marco Albino Ferrari, direttore scientifico di Meridiani Montagne (il numero 97 della rivista è dedicato proprio ai “Nuovi Rifugi Alpini”), con Roberto Dini di Cantieri Alta Quota e l’archietetto Giacomo Borella dello Studio Albori.
Trieste tra mare e montagna
Trieste è una città relegata ai margini dell’Italia. E’ la fine dell’Ovest, ma è anche una porta verso l’Oriente. Lo sanno anche i cinesi che hanno deciso di puntare su un grande terminal nel capoluogo del Friuli-Venezia Giulia per fare entrare in Europa le loro merci. Ne parliamo con Luigi Nacci, scrittore triestino, ma anche guida naturalistica. Uno che, per dirlo con parole sue, “interroga il paesaggio e dal paesaggio si fa interrogare”. Riflessioni, le sue, che partono dall’irrisolto quesito se Trieste sia o meno una città di mare. In effetti il mare le entra dentro, ma ha anche la montagna -il Carso- che la preme alle spalle. A tal proposito la camminatrice Fanny Marchese ci racconta delle impressioni avute nel recente trekking intorno a Trieste, mentre Carlo Moretti, CEO di Houseboat (houseboat.it), ci racconta delle escursioni che si possono fare nelle lagune di Marano, Grado e Caorle. Trieste è anche una città dove parole come cosmopolitismo e tolleranza sono vere da secoli, da quando nel 1719 Carlo VI d’Austria elesse la città a Porto Franco, attivando traffici e commerci che avrebbero attratto popoli di varia provenienza. A proposito di commerci quello del caffè è stato (ed è anche oggi) uno dei più importanti. La storia inizia nel 1683 a Vienna quando il Gran visir dell’Impero ottomano, Kara Mustafa, fuggì con il suo esercito dalla capitale asburgica grazie all’intervento delle armate di rinforzo. I turchi, stremati dall’assedio, si abbandonarono a una ritirata disorganizzata, lasciando davanti alle mura di Vienna tende, armi, viveri e bottino. E tra quel bottino anche sacchi di caffè. Il turco kahve (tradotto come “vino” o “bevanda eccitante”) affascinò il palato austriaco al punto da cominciare ad essere importato in grandi quantità nell’impero. Gli aromatici chicchi venivano trasferiti in Europa da Alessandria d’Egitto, e il porto più adatto a conciliare, con la sua posizione, realtà orientali e occidentali era proprio quello di Trieste. Storie come queste sono raccontate in libri che si possono trovare in botteghe come la libreria antiquaria che fu di Umberto Saba (Via S. Nicolò 30). Di lei, in “Storia di una libreria”, Saba nel 1948 scrisse che ”sono più fiero di questo (posto) che del Canzoniere; il Canzoniere fu un dono della natura, la Libreria è nata da un mio sforzo”. Ce lo ricorda Mario Cerne, figlio di Carletto, il commesso di Umberto Saba, che da anni ha rilevato la storica libreria. Cerne ci dice anche che Saba era una persona ‘selvatica’, proprio come molti dei suoi abitanti. E di questo essere un po’ orsi dei triestini parla anche Luigi Nacci nel suo libro di imminente pubblicazione “Trieste Selvatica” (Laterza edizioni).
Info https://www.turismofvg.it/
Blog Luigi Necci https://nacciluigi.wordpress.com/
Teranga senegalese
Impossibile andare in Senegal e tornare a casa senza aver capito cosa significa la parola “teranga”. Per chi non c’è stato si può dire che la teranga è considerata una forma di ospitalità, ma nei fatti in Senegal rappresenta molto più di questo. La teranga è una virtù. L’ospitalità è accoglienza, ma l’ospitalità può anche essere un attenzione fornita a fini fittizi, di immagine. La teranga invece non ha finalità di immagine, è reale attenzione. E’ rispetto, cortesia, gioia e rappresenta anche il piacere di ricevere un ospite nella dimora personale. Ne parliamo con tre ospiti. La prima è Chiara Barison, giornalista italiana che a Dakar lavora in una delle televisioni del Groupe Futur Media (GFM), di proprietà del musicista Youssou N’Dour. Trentottenne veneta, Chiara da cinque anni si è trasferita nel Paese africano e – dopo aver aperto un blog (https://blog.libero.it/Dakarlicious/)– si è ritrovata catapultata nel piccolo schermo e, da lì, nelle case di migliaia di senegalesi. Una migrazione al contrario la sua – rispetto alle “rotte” solitamente raccontate dai media europei – che risulta però molto più frequente di quanto si immagini: sono, infatti, migliaia i giovani europei che, in questi ultimi anni, hanno cercato fortuna nel continente africano. Anche se, come racconta Chiara, per avere successo occorrono impegno, formazione e sacrificio. La seconda ospite è Yassin, una giovane ragazza italiana cresciuta a Milano, figlia di una coppia italo-senegalese, che ci racconta come vive la teranga quando va in Senegal… Ma ci racconta anche del suo lavoro con i migranti allo Sprar di Caserta (www.csaexcanapificio.it), una struttura sotto attacco dal ministro Salvini (tre settimane dopo la nostra trasmissione la sede dell’associazione che gestisce lo Sprar di Caserta, il centro sociale Ex Canapificio -un’associazione che assiste 200 migranti suddivisi in venti appartamenti- è stata sequestrata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere). Del suo concetto di teranga ci parla anche Modou Gueye, senegalese da anni trapiantato a Milano, oggi attivo nell’esperienza di Cascina Casottello (www.cascinacasottello.it), una ex cascina rurale riaperta nell’estate 2018 nel quartiere periferico di Corvetto (metro 3 – fermata Porto di Mare), e, grazie all’impegno dall’associazione Sunugal e della cooperativa sociale Fate Artigiane, diventata velocemente un riconosciuto polo culturale, artistico e gastronomico della Milano che vuole costruire ponti e non muri…
Un grazie per questa puntata ad Elisabetta Yankovic
In Trentino a Febbraio
Di questi tempi, per molti amanti della montagna invernale, la mitica settimana bianca da ‘giocarsi’ in febbraio è ormai solo un ricordo vintage, ma a qualche incursione mordi e fuggi non si può proprio rinunciare. In Trentino le proposte non mancano. Trentino Ski Sunrise, grazie alle aperture degli impianti anticipate di qualche ora (di solito verso le 6 del mattino), consente di arrivare sulle piste da sci prima di tutti. L’ impianto di risalita porta in quota lo sciatore, in un punto di vista privilegiato dal quale si possono ammirare le luci chiare e rosate dell’alba che, a poco a poco, infuocano il panorama. A seguire una colazione stratosferica con pane caldo appena sfornato, marmellate artigianali, torte profumate, oltre a latte, yogurt, cereali croccanti e l’immancabile caffè. Ma anche prelibatezze salate, come i salumi e gli insaccati locali, i saporiti formaggi e le uova energetiche. Chi non calza gli sci può puntare sui sentieri che portano al Santuario di San Remedio, un luogo di pellegrinaggio, costruito su una rupe calcarea alta oltre 70 metri. Immerso in una splendida cornice naturale, il complesso architettonico è formato da più chiese e cappelle costruite sulla roccia. L’intera struttura è collegata da una ripida scalinata con ben 131 scalini. La cappella più antica dell’edificio risale all’XI secolo, nel corso dei secoli sono state erette altre tre piccole chiese, due cappelle e sette edicole della Passione. Il complesso è dedicato a un santo, San Romedio, su cui circolano svariate leggende. La più nota è sicuramente quella che riguarda un orso. Si narra che l’eremita Romedio ormai anziano era diretto a cavallo a Trento, per incontrare il Vescovo, ad un certo punto il cavallo viene sbranato da un orso, ma Romedio sarebbe riuscito a rendere mansueto l’orso cavalcandolo fino a Trento. Ottimo pretesto per fare un punto sulla situazione degli orsi selvatici nei boschi del Trentino. Per brindare alla salute di questi plantigradi, augurando loro lunga vita, si può brindare al Maso Panizza di Sopra presso l’Azienda Eredi Cobelli (cobelli.it). La sua Schiava è ottima e la vista sulla Piana Rotaliana strepitosa…
N.B. Dopo avere ascoltato la puntata di Onde Road sulla coltivazione delle mele in Val di Non (blogs.radiopopolare.it/onderoad/?p=3562) un comitato territoriale che da anni lotta contro l’uso dei pesticidi in agricoltura ci ha chiesto un intervento che ovviamente ospitiamo volentieri.
Mele e ghiaccio Trentino
La Val di Non è la valle delle mele, molte delle quali coltivate da agricoltori che fanno riferimento al consorzio Melinda (melinda.it). E’ un’azienda con più di 1100 dipendenti che recentemente ha ha iniziato a immagazzinare le mele in celle ipogee. L’idea dello stoccaggio delle mele in una ex miniera nasce dall’idea di una azienda leader nella produzione di materiali per l’edilizia e per il restauro come Tassullo (tassullo.it) di sviluppare nel corso del 2014, le proprie cave ipogee, consentendo così a Melinda di realizzare il primo magazzino al mondo sotterraneo in atmosfera controllata. Sono state le peculiarità di questa parte del Trentino a favorire la nascita di questo futuristico magazzino: un sistema geologico, quello di Tuenetto di Taio in Val di Non, dalle caratteristiche uniche al mondo, ricco di opportunità nascoste nel sottosuolo. Gli aspetti ambientali e paesaggistici del nuovo magazzino sono numerosi, a partire dai benefici al processo di frigoconservazione con l’eliminazione degli isolanti artificiali e dall’azzeramento dei consumi di acqua a scopo industriale di cui gli impianti frigo tradizionali necessitano. Un colpo importante anche alla occupazione di suolo, nel pieno rispetto del territorio e del paesaggio, evitando la costruzione di nuovi volumi su oltre 10.000 metri quadrati di superficie, rimanendo al servizio dell’agricoltura e della comunità locale. Inoltre le celle ipogee garantiscono un consumo di energia di circa il 60-80% in meno rispetto ad un impianto tradizionale di conservazione delle mele. Ovviamente le mele della Val di Non non sono targate solo Melinda, e noi per fare il punto sui piccoli agricoltori indipendenti, abbiamo sentito Caterina Bonetti, titolare dell’Azienda Agricola Biomela (biomela.eu) di Sporminore, nella bassa valle.
Percorrendo tutta la Val di Sole, per poi raggiungere a 2600 mt d’altezza i piedi del ghiacciaio Presena, si incontra la sala da concerto più alta d’Europa. E’ il teatro-igloo dove si svolge l’Ice Music Festival (valdisole.net/it/Ice-Music): una rassegna musicale dove, come strumenti, vengono utilizzati solo quelli costruiti con il ghiaccio dall’americano Tim Linhart, uno scultore-liutaio che in Lapponia ha perfezionato l’arte di far suonare proprio il ghiaccio…
www.visitvaldinon.it www.valdisole.net www.visittrentino.info
4810: il Monte Bianco
– L’icona delle Alpi non è il Monte Bianco, ma il Cervino. Se chiediamo a un cinese o a un russo di dirci il nome di una montagna delle Alpi citerebbero il Cervino. Ma il Bianco, oltre all’altezza, ha qualcosa in più del Matterhorn. Di cosa si tratta ce ne parla Paolo Paci nel libro “4810 il Monte Bianco, le sue storie, i suoi segreti” (Corbaccio Editore) in cui racconta le storie degli uomini che hanno ‘vissuto’ questa montagna. A partire dal signor Prospero, sua moglie Serafina e sua figlia Giuditta. Una famiglia la cui storia è legata al vecchio Pavillon, il più antico rifugio custodito delle Alpi… Alexander Burgener e Patrick Gabarrou, due guide divise, anagraficamente, da più di 100 anni ma unite proprio per le loro imprese sul Mont Maudit, famso tra gli alpinisti per i suoi tre possenti pilastri addossati l’uno all’altro… Edward Whymper, un alpinista inglese che si divertiva a sbeffeggiare i colleghi francesi… Achille Ratti (poi divenuto Pio XI) alle prese, seppur in discesa, con il Miage, un’autostrada pietrosa per coloro che amano fare molta fatica. Storie che ci fanno capire che non è vero che il Monte Bianco sia la montagna più conosciuta di tutto l’arco alpino, più più la si frequenta e più si scopre che è piena di angoli nascosti.
Lo scittore Marco Albino Ferrari si sofferma inoltre su Courmayeur, su cos’era negli anni ’50 e cosa è oggi che è diventato un paese che grazie alle entrate nette dell’Imu delle seconde case (circa otto milioni di euro) è il comune sopra i mille abitanti più ricco d’Italia..
La Cuba che resiste
La casa di Marisol in calle Neptuno, una delle case particular all’Avana dove dormono i viaggiatori di Radio Popolare, è in cima a una ripida scala, protetta da un cancello. Ha più di 100 anni: è del 1911. Osservandola si ha la conferma della smodata passione dei cubani per le sedie a dondolo. Ogni stanza della casa di Marisol ne ha un paio. Di alluminio, di vimini, in legno… non importa il materiale: purché dondolino. La colazione di Marisol è stellata: latte, caffè, burro salato, biscotti, frutta tropicale, pane, gelatina di guaiaba, marmellate fatte in casa, crema di arachidi, succo di frutta… E per finire una piccola omelette. Per mantenere in ordine la sua casa Marisol deve combattere contro i mille problemi della quotidianità di Cuba. Gli interruttori della luce, per esempio, sono uno diverso dall’altro. Non solo come forma, ma anche come concezione. E le finestre nascondono un segreto: quello di come possano essere chiuse pur essendo fuori asse. E’ con economie come quella di Marisol che segmenti della popolazione cubana riescono ad uscire dal ‘minimo di sussistenza’ che garantisce loro lo stato socialista cubano. Quanto potranno resistere ancora le ‘Marisol di Cuba’ ai problemi creati loro dal blocco economico americano da una parte e dai ritardi e dagli errori strategici del governo cubano dall’altra? Di questo, ma anche della nuova costituzione e dello scenario politico internazionale, ne parliamo con il prof. Antonio Moscato, collaboratore di Limes e, per decenni, docente di Storia del Movimento operaio e Storia contemporanea presso l’Università di Lecce (per alcuni anni anche di Storia e istituzioni dei paesi afroasiatici). Con David, mitico accompagnatore dei nostri viaggi, e con Casimiro, un agricoltore che ha trasformato l’azienda di famiglia nella fattoria più sostenibile di Cuba, utilizzando tecniche agroecologiche in grado di resistere meglio all’impatto del cambiamento climatico e garantire la sicurezza alimentare della popolazione senza pesare sull’ambiente.
L’Albania di Stefano Boeri
Un territorio grande come la Sicilia in cui convivono un codice sanguinario come il Kanun (il dovere di vendicare l’offesa subita dalla famiglia) con rave party di musiche techno che ogni estate animano i campeggi selvaggi di Vuno. Una terra dove vige ancora la cultura dell’avash, avash (piano, piano): un caffè dev’essere bevuto seduto a tavola, anche in mezz’ora. Un paese che ha un sorprendente animo punk, un gusto per l’eccentrico e un carattere dissacrante. La capitale, Tirana, cresce a un ritmo di 50 persone al giorno, 20 mila l’anno (molti arrivano dalle campagne, altri sono emigrati di ritorno). In città sono aperti un centinaio di cantieri e sconta gravi problemi nelle periferie. Mancano fognature e marciapiedi, l’abusivismo edilizio è diffuso a tal punto che è difficile stabilire il numero degli abitanti della città. E’ però una città viva, che negli ultimi anni è cambiata profondamente. E’ una ragazza di vent’anni che per imitare le sorelle maggiori – le capitali europee – esagera col trucco, solo per farsi guardare. Se negli anni ’20 del secolo scorso, durante l’occupazione italiana da parte di Mussolini, Tirana era stata ‘investita’ dai lavori dell’architetto Armando Brasini, un secolo dopo è Stefano Boeri, un altro architetto italiano (questa volta in accordo con le legittime autorità locali) a rivedere la struttura della capitale. Spiegandoci le basi con cui si è approcciato a questo impegno l’architetto Boeri ci ha dichiarato che “la strategia principale propone un necessario e non più prorogabile contenimento del consumo di suolo, la discontinuità nel tessuto urbano, la frammentazione dell’edificato, eventualmente lo sfruttamento di una certa verticalità per liberare terreno ulteriore. Tirana è una città con altezze medie non elevate, ma una densità tra le maggiori d’Europa, come se fosse stata compressa sacrificando tutti gli spazi aperti”. L’architetto milanese ci ha raccontato dei lavori che ha già realizzato, di quelli che sta progettando, ma anche delle impressioni e delle emozioni vissute da quando ha iniziato a frequentare la Terra delle Aquile.
www.visitalbania.al www.mrizizanave.al www.stefanoboeriarchitetti.net
Pedalando a Utrecht
Il fatto che appena sbarcato dal treno a Utrecht una delle prime cose che balzano agli occhi sia una grande moschea non è casuale. Utrecht è una città meticcia: dei suoi 350mila abitanti il 20% è di origine straniera. E’ anche una città giovane, perché un altro 20% è composto da studenti che frequentano le università cittadine. Città giovane e meticcia, ma carica di storia. Per capirlo basta imbarcarsi su uno dei battelli che solcano i canali cittadini, oppure cavalcando una bicicletta. In città, su 345mila abitanti, sono più di 125mila le persone che l’attraversano su due ruote sfruttando i 300 km di piste ciclabili urbane. La CNN l’ha definita la migliore città al mondo per chi ama spostarsi sfrecciando in bici: in alcune strade le piste ciclabili sono addirittura più grandi di quelle per lo scorrimento delle macchine. Utrecht vanta persino un servizio di “onda verde” per i ciclisti e vanta il più grande parcheggio coperto di bici al mondo. Si trova sotto la stazione centrale. E’ stato inaugurato (dopo quattro anni di lavori) l’agosto dello scorso anno e attualmente può ospitar più di 12.500 biciclette ma entro il 2020 nei pressi della stazione centrale troveranno spazio più di 33.000 bici. Pedalando si incrociano numerosi palazzi storici che, in una città promiscua come Utrecht, hanno usi non convenzionali. Per esempio il Cafè Olivier (cafe-olivier.be) è ospitato in una antica chiesa ormai sconsacrata, ma ancora perfettamente conservata nel suo aspetto originario: ottime birre belghe da degustare tra gli stalli del coro e un organo a canne. Mentre la Janskerk (janskerk-utrecht.nl), la chiesa di San Giovanni, famosa perchè a pochi metri dal suo ingresso ospita una statua che ricorda Anna Frank, ospita concerti, ma anche degustazione di vini. Se passeggiando, dopo aver bevuto un paio di bicchieri, incrociate un tagliapietra che aggiunge un sanpietrino con una lettera incisa convinto che sta componendo quella che un giorno sarà la poesia più lunga del mondo, tranquillizzatevi: lui non è pazzo e voi non siete ubriachi. E’ una creazione collettiva ideata dall’associazione Sichting letters van Utrecht (delettersvanutrecht.nl): l’idea alla base è quella di un filo rosso che unisca le generazioni attraverso una poesia le cui lettere sono incise su sampietrini. Tutti possono partecipare, acquistando una lettera della misteriosa composizione i cui versi vengono continuamente rinnovati dai poeti della città. Nessuno vedrà mai completata l’opera, ma quel che conta è che il legame fra passato e presente sarà inossidabile come la pietra… Pura poesia è anche la casa che Gerrit Rietveld e Truus Schröder (rietveldschroderhuis.nl/en) costruirono ai margini della città nel 1924. Lui era un designer che con i legnetti trovati nei giardini e nei boschi circostanti alla sua abitazione costruiva sin da bambino giocattoli o piccoli mobili. Lei era una ragazza ribelle, prima giovane e benestante moglie di un avvocato piuttosto conservatore, e poi dal 1923 inquieta vedeva con tre figli, desiderosa di cavalcare i venti della diversità. Insieme hanno realizzato una casa che stupisce anche oggi…
Frêney 1961:
1961. L’anno in cui Mina porta al successo “Le mille bolle blu”. John Kennedy diventa il 35° presidente degli Usa e Yuri Gagarin il primo uomo a volare nello spazio. A luglio sette tra i più forti alpinisti di quei tempi sono impegnati sul Pilone Centrale del Frêney al Monte Bianco, l’ultimo grande “problema” delle Alpi. Da giorni, gli italiani guidati da Walter Bonatti e i francesi da Pierre Mazeaud si trovano in alto sulla parete. Lampi, vento, neve, temperature a venti sottozero bloccano la salita. Sembra che resistere nella speranza dell’arrivo del sereno sia l’unica soluzione. Ma la tempesta non si placa. E quando Bonatti decide di tentare una discesa disperata, è ormai troppo tardi. Un dramma nazionale, da copertina, che ha lasciato sgomenta l’Italia di allora, quella del boom economico. Marco Albino Ferrari, autore di “Frêney 1961. La tempesta del Monte Bianco” (un libro uscito per la prima volta nel 1996 e ora, raggiunto lo status di classico della letteratura di montagna, ripubblicato da Ponte alle Grazie), ci racconta di quel dramma, dell’intensità con cui quell’Italia visse quei giorni e di come ha raccolto le preziose testimonianze di Walter Bonatti e di Pierre Mazeaud. In una intervista raccolta qualche anno fa, Rossana Podestà, la storica compagna di Walter, ci racconta del legame ‘intimo’ che lo univa al Monte Bianco…
Mecenati 2.0 ad Alba, terra di vini e tartufi
Il Gruppo Ceretto (ceretto.com) è un’azienda familiare radicata in Piemonte che da tre quarti di secolo unisce alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio enogastronomico italiano la promozione del mecenatismo. L’omonima azienda vitivinicola, fondata nel 1937, con un’estensione di più di 160 ettari situati nelle aree più pregiate delle Langhe e del Roero, comprese le DOCG Barolo e Barbaresco, è tra i maggiori proprietari di vigneti del Piemonte. Alla fine degli anni ’80 la famiglia Ceretto scelse un antico casolare alla porte di Alba, terra di vini e tartufi, come quartier generale. Questa tenuta, chiamata Monsordo Bernardina (la storia ci ricorda che è legata alla storia d’amore fra Vittorio Emanuele II e la Bella Rosina), nel giro di pochi anni è diventa il centro nevralgico di un’azienda che oltre alle vigne possiede un noccioleto e un paio di ristoranti ad Alba: la Piola (lapiola-alba.it) e il Piazza Duomo (piazzaduomoalba.it). Quest’ultimo, gestito dallo chef Enrico Crippa, si avvale dei prodotti dell’orto e della serra curati da Enrico Costanza, un culinary gardener che accudisce con cura erbe e piante ‘immaginifiche’ come la pianta ostrica, la pianta Coca Cola e la pianta formaggio. La famiglia Ceretto, da sempre appassionata di arte contemporanea, dal 1999 mette a disposizione le sue proprietà come spazi ideali per le opere e le performance artistiche di artisti nazionali e internazionali. Fu in quell’anno che gli artisti Sol Lewitt e David Tremlett decisero di trasformare la cappella della Madonna delle Grazie in un’opera contemporanea, con moduli geometrici dai colori accesi all’esterno e sfumature più morbide all’interno. Dalla Cappella del Barolo in poi ogni anno i Ceretto hanno finanziato eventi culturali che per il 2018 prevede la mostra “Lynn Davis & Patti Smith. Conspiracy of Word and Image”al Coro della Maddalena di Alba. Unite in passato dalla comune vicinanza a Robert Mapplethorpe, le due artiste per 30 anni hanno spesso fantasticato sull’idea di poter fare qualcosa insieme, magari un libro. Idea che si è concretizzata, grazie ai Ceretto, con questa mostra che mette insieme le immagini della fotografa e le parole della musicista.
Lanzarote: una casa fatta di libri e un’isoletta ‘Graciosa’
“Il piacere profondo, ineffabile, che è camminare in questi campi deserti e spazzati dal vento, risalire un pendio difficile e guardare dall’alto il paesaggio nero, scorticato, togliersi la camicia per sentire direttamente sulla pelle l’agitarsi furioso dell’aria, e poi capire che non si può fare nient’altro, l’erba secca, rasente al suolo, freme, le nuvole sfiorano per un attimo le cime dei monti e si allontanano verso il mare, e lo spirito entra in una specie di trance, cresce, si dilata, manca poco che scoppi di felicità. Che altro resta, allora, se non piangere?”. (Josè Saramago, Quaderni di Lanzarote, Einaudi). Il Premio Nobel Saramago nel febbraio 1993 decise di dividere la sua vita fra la residenza abituale di Lisbona e l’isola di Lanzarote. La sua casa delle Canarie si trova a Tías, una piccola località nei pressi di Arrecife, ed è visitabile, per la gioia degli affezionati lettori. “Una casa fatta di libri” così definiva Saramago la dimora di Lanzarote e per il visitatore odierno è sicuramente una grande emozione muoversi fra gli oggetti, i quadri, le fotografie e i tanti libri dello scrittore.
E scoprire che nella casa di Saramago (acasajosesaramago.com) tutti gli orologi, su sua esplicita volontà, sono bloccati sulle 16 passate da qualche minuto: l’ora in cui conobbe la giornalista spagnola Pilar del Río, che poi divenne la sua compagna. Casa Saramago è una delle eccellenze di Lanzarote, un’isola che seguendo i dettami di Cesar Manrique (raccontati nella puntata del 30 aprile 2017 blogs.radiopopolare.it/onderoad/?p=2456) è riuscita a salvarsi dai danni del turismo di massa salvaguardando una natura straordinaria e puntando sulla cultura e la qualità. Come il Museo Agrìcola El Patìo di Tiagua, un complesso rurale vecchio di due secoli che trasformatosi in museo conserva il passato per stabilire il futuro. O l’Hotel Nautilus (nautilus-lanzarote.com) di Matagorda, una struttura alberghiera che investendo sull’arte è diventata un interessante museo d’arte contemporanea. E se un paradiso naturalistico come la piccola isola La Graciosa, divisa da un piccolo braccio di mare da Lanzarote, continuerà ad essere un enclave senza asfalto, abitata solo da vulcani, lunghe spiagge lambite da acque turchesi, biciclette e barche di pescatori…
Una Napoli altra…
Quattro fotografie di una Napoli altra. La prima è quella di un giardino nello storico quartiere Materdei. Non è un giardino come gli altri, ma è un giardino “liberato”, ovvero “occupato” solo dalle attività sociali, culturali e artistiche che gruppi di cittadini spontaneamente realizzano da circa sei anni a questa parte. Il giardino è solo una piccolissima parte dell’immenso spazio che, in Salita S. Raffaele numero 3, un tempo era occupato dal convento delle Teresiane e che recentemente è stato restituito alla collettività semplicemente grazie alla tenacia dei cittadini che si sono mobilitati per farne un bene comune. La seconda fotografia è quella di un maestro di strada napoletano: un soggetto sociale che frequenta luoghi aperti, senza reti di protezione, senza divise che lo proteggono, dove il sapere e la competenza si incontrano e confrontano con le necessità della vita e con la convivenza civile. Un maestro pronto ad essere sempre esaminato e messo alla prova da una realtà che anche lui ha contribuito a creare, quella di una persona autonoma che possiede saldamente la propria vita e che lavora perché una relazione così intensa e coinvolgente come quella educativa, abbia un termine e che il suo successo si misuri soprattutto dal modo e dal tempo in cui si conclude. La terza è quella dell’Afro Napoli United, più che una squadra di calcio un modo per combattere il razzismo e il mal di pancismo imperante.
Infine un piccolo tre stelle nel cuore della capitale partenopea, intitolato a una delle canzoni più celebri del repertorio napoletano: Luna Rossa (hotellunarossa.it), tradotta in mezzo mondo e interpretata magistralmente anche da Caetano Veloso. La padrona di casa è Dora Viscione, figlia di Antonio, autore del bran, che ha radunato nell’albergo splendidi cimeli legati alla luna di cui sopra.
facebook.com/giardinoliberato.dimaterdei
Geografie partigiane dell’Alto Lario
“Sotto l’ombra di un bel fiore” (2018, Milieu) è un romanzo, basato su memorie dirette, di Cecco Bellosi che ha per protagonisti Pedro e Paolo che ripercorrono a distanza di anni le loro esperienze, di partigiano e di esule, e assistono in presa diretta al progressivo smantellamento dei loro sogni di cambiamento. Costruiti da Bellosi ricalcando le caratteristiche di alcuni dei protagonisti della Resistenza che ha conosciuto nel corso della sua vita, Pedro e Paolo rivivono gli avvenimenti che hanno segnato un intero territorio, quello del Lago di Como, teatro di uno degli episodi cardine della storia italiana del Novecento: la cattura e l’uccisione di Mussolini. In compagnia di Cecco abbiamo utilizzato il suo romanzo come fosse una guida di viaggio e abbiamo ripercorso le geografie della lotta partigiana dell’Alto Lario cercando protagonisti e voci della Resistenza. A Lenno l’astrofisico Corrado Lamberti, custode della bandiera originale della 52esima Brigata Garibaldi, ci racconta della battaglia che il 3 ottobre 1944 si consumò a poche decine di metri da casa sua, quando un manipolo di partigiani cercò di rapire il ministro degli Interni della R.S.I. Guido Buffarini Guidi, a quel tempo residente a Lenno. A Dongo incontriamo Wilma Conti che ci racconta di quando, quattordicenne, faceva la staffetta partigiana. Franco, per anni gestore del rifugio Brioschi sulla Grigna, ci spiega il ruolo di Riccardo Cassin, il “padre” dei Ragni di Lecco, con la lotta partigiana dell’Alto Lario. Ascoltiamo le voci dei partigiani custodite in un museo che Dongo ha dedicato alla resistenza (ma che un pazzo ha voluto chiamare “Museo della fine della guerra” www.museofineguerradongo.it). Infine a Bonzanigo di Mezzegra, davanti a Casa de Maria (un odierno B&B dove Mussolini passò le ultime ore prima di essere giustiziato), Cecco ci racconta il ruolo del partigiano Neri in quelle ore che hanno fatto la storia…
N.B. La colonna sonora della puntata è ricavata da “Songs of Resistence: 1942 – 2018”, undici canzoni tra passato e presente con vista sul futuro prossimo venturo, recentemente incise da Marc Ribot (la versione di “Bella Ciao” è cantata da Tom Waits)
Preservare e riattivare i borghi italiani
Una puntata figlia di un convegno organizzato da Fondazione Cariplo dal titolo “Borghi. Un patrimonio da preservare e riattivare: le esperienze in Lombardia”.
A suo tempo il compositore Gustav Mahler sentenziò che “la tradizione è custodire il fuoco, e non adorare le ceneri”. Tenendo questa massima come riferimento il convegno è stato un’occasione per fare un bilancio di un lavoro che negli ultimi dieci anni ha promosso e incentivato innovazione in ambito culturale e ambientale con lo scopo di incrementare lo sviluppo sociale, tecnologico ed economico di siti a forte interesse come i borghi e il patrimonio storico. Sono stati presentate le case history più significative e il progetto per le Valli Resilienti, realtà dove “resilienza” non è solo la messa in sicurezza ed eventuale ricostruzione dei luoghi, ma anche il rilancio di tutte le attività locali con risultati tangibili. Dalla gestione del rischio spopolamento del centro urbano a Sabbioneta, la città ideale inventata dal Principe, alla realtà di Bienno in Valle Camonica, il borgo dell’acqua e del ferro che oggi è conosciuto come il borgo degli artisti, una comunità innovativa, culturalmente attiva, con prospettive di sviluppo… Esempi concreti di come sia possibile creare buone pratiche di intervento quando l’abbandono sembra aver preso il sopravvento. Qui approfondiamo due esperienze che in comune hanno la riscoperta della bellezza delle cose che ci stanno vicino e il valore di condividerle con gli altri. La prima è il lavoro fatto in Val Camonica, la Valle dei Segni dove per migliaia di anni gli uomini hanno lasciato qui, sulla pietra di queste montagne, il segno della loro presenza. Oggi, grazie a Wall in Art (una rassegna figlia dell’intuizione del Distretto Culturale della Valle, celebri) street artist come Ozmo e Moneyless hanno portato in valle la loro arte con enormi murales. La seconda è il distretto culturale della liuteria di Cremona, un progetto che sostiene la cultura musicale e la liuteria cremonese, coordinando i soggetti che in città si occupano di educazione, formazione e ricerca in ambito musicale e liutario, avvicinando gli ambiti della formazione e della ricerca con la cultura materiale dei liutai. Cremona vissuta non come città dei violini, ma come città dei liutai. Una mission che deve spingere ogni liutaio a volersi trasferire nella città che diede i natali a Mina. Un’esperienza che risalta ancora di più se paragonata a come non viene sfruttato a Genova il violino più famoso al mondo: il Cannone di Paganini…
#EuropeforCulture #areeinterne
http://www.distretticulturali.it
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