Sardegna “minore”

01_stagno di Cabras cabras

La Sardegna non è solo resort stellati e spiagge da cartolina. Ci sono scampoli di territorio, ingiustamente considerati minori, che nascondono tesori ed eccellenze regali. A partire da Sa Reina, La Regina. Per andarla a trovare non bisogna chiedere un appuntamento: basta raggiungere l’uliveto storico di S’Ortu Mannu (l’orto grande), nelle adiacenze di Villamassargia nel Sulcis Iglesiente. Seguendo la strada che porta al Castello di Acquafredda (SP2) improvvisamente, protetto da una staccionata circolare, appare un bosco di ulivi secolari dove ad attirare l’attenzione è il grande patriarca, un albero che i locali chiamano proprio Sa Reina.  La sua mole è impressionante: la circonferenza alla base è di 16 metri, mentre a un metro e mezzo d’altezza il tronco misura 1144 cm. Al suo confronto gli altri ulivi sembrano piccoli, figli di un Dio Minore. Uno sguardo più attento certifica però che sono dotati di forme disparate e hanno un’età venerabile. Ma la regina è la regina. La sua carta d’identità certifica che ha vissuto quasi mille primavere. Lo conferma anche un esame della sua corteccia: un capolavoro di disegni, istoriazioni e commenti di Madre Natura. Regale è anche il profilo del Monte Arci, raggiungibile in meno di un’ora di macchina da S’Ortu Mannu. È un massiccio isolato di natura vulcanica che si erge nella piana di Uras, nella pianura del Campidano. Durante il neolitico era molto battuto a causa dei suoi ricchissimi giacimenti di ossidiana, un minerale vetroso utile per la produzione dell’utensileria e delle armi preistoriche.  Per saperne di più basta raggiungere Pau, località dove è stato aperto un museo  dedicato interamente all’ossidiana e alle storie millenarie che ha contribuito a far nascere. Un altro tesoro è figlio dello stagno di Cabras, 2.200 ettari di superficie umida che lambisce il paese omonimo. Collegato, grazie a 4 canali, con il Golfo di Oristano, vanta la presenza di una ricca vegetazione e di una notevole componente avifaunistica. Non a caso per estensione e per rilevanza della biodiversità è una delle più importanti aree umide della Sardegna. E dallo stagno arriva anche l’oro di Cabras: la bottarga ricavata dalle uova dei cefali che lo popolano. Un altra prelibatezza indigena è la ricotta prodotta dall’Azienda agricola biologica Fattorie Cuscusa: 168 ettari (più altri 70 in affitto), di terreno fertile particolarmente adatto all’allevamento ovino. La ricotta è così eccellente che vengono a prendere lezioni private alcuni mastri casari giapponesi. Invece il tesoro del Parco naturale regionale Molentargius-Saline (un territorio di circa 1600 ettari tra Cagliari e Quartu Sant’Elena, affacciato sul Lungomare Poetto) è il sale. Conosciuto per  i fenicotteri rosa che lo popolano, il Parco ha una storia strettamente legata a quella delle Saline. Non a caso deve il suo nome a is molentargius, i conduttori di asini – su molenti, in sardo significa appunto asino – che caricavano il sale raccolto nei bacini. Cosa cantassero is molentargius durante il lavoro  non è dato sapere. In che lingua lo facessero si: il sardo. E proprio a Cagliari ogni anno si celebra il Premio Parodi, l’unico concorso italiano dedicato alla World Music. L’edizione di quest’anno, la decima, è dal 12 e il 14 ottobre.

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In bocca al lupo… viva il lupo

01_Life Wolf

“In Italia il lupo era diffuso sull’intera penisola fino alla metà del XIX secolo; è stato poi deliberatamente eradicato dall’uomo sia dall’intero arco alpino sia dalla Sicilia all’inizio del XX secolo. È sopravvissuto nel Centro-Sud Italia lungo gli Appennini e nelle zone confinanti dei Carpazi e delle Alpi Dinariche dove ha raggiunto un minimo storico negli anni Settanta. Il lupo, dagli anni Settanta ad oggi, ha recuperato parte del suo territorio originale sull’Appennino e ha iniziato a ricolonizzare naturalmente le Alpi sud-occidentali di Italia e Francia per naturale dispersione dalla popolazione appenninica” (documento di Life Wolf Alps).

Dopo la puntata dell’11 novembre 2012 dedicata alla “Via dei lupi” Onde Road torna a parlare di lupi e del loro viaggio dagli Appennini alle Alpi. In studio Marco Albino Ferrari, scrittore e direttore di Meridiani e Montagne (il suo libro “La via del lupo”, editore Laterza, 2012, era servito da traccia per la nostra trasmissione del 2012).

Ospiti Francesca Marucco, del Centro Conservazione e Gestione Grandi Carnivori, Parco Naturale Alpi Marittime e attivista del progetto Life Wolf Alps e il cantastorie dei lupi Mario Ferraguti, di cui consigliamo il libro “Sulle tracce del lupo che mi gira in testa”, Fedelo’s Editrice, 2014.

Clicca qui per approfondire la strategia, i criteri e i metodi per il monitoraggio dello stato di conservazione della popolazione di lupo sulle Alpi italiane.

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Sapore di Sal

01_Spiaggia sull'isola di Sal (2)

Il toponimo Capoverde viene da un dito di spelacchiata terra senegalese che dalla costa africana, seicento chilometri più a est, sembra indicare senza esitazione le isole. E’ un arcipelago fatto di dieci isole, di cui nove abitate, più vari scogli e isolotti che non lo sono, o non lo sono più. Hanno contorni, contenuti e ovviamente colori diversi, ma a parte poche baie riparate da parentesi di roccia, lottano tutte contro i capricci dei venti. L’arcipelago è talmente battuto dalla variante locale dall’harmattan (il leste) e dalle onde che i primi che lo trovarono sul loro cammino – pescatori senegalesi, esploratori genovesi e veneziani – decisero di non stabilirsi su queste terre deserte. Dopo essere state a lungo disabitate, nel sedicesimo secolo sono diventate uno scalo sulla rotta per l’America, poi il crocevia del commercio degli schiavi. Una terra di emigrazione e di miseria. Se non ci fossero state le infinite spiagge con la sabbia fine, il vento, il windsurf e Cesaria Evora, l’arcipelago sarebbe rimasto tagliato fuori dal mondo. Corinna Agostoni, titolare del blog oltreilbalcone.com, ci racconta un’isola del distretto di Sopravento: l’Ilha do Sal, l’Isola del Sale. In passato era conosciuta come Ilha Plana, isola piatta. Entrambi i termini descrivono puntualmente questo coriandolo di terra baciato dal sole in mezzo all’Oceano Atlantico. La sua essenza selvatica è a rischio perchè è l’isola di Capo Verde più gettonata dai turisti di tutto il mondo, che vengono qui per le sue spiagge da cartolina. Corinna l’ha percorsa in lungo e in largo, da Kite Beach, il paradiso dei surfisti, a Santa Maria, vivace centro urbano sulla punta meridionale dell’isola, senza dimenticare la duna solitaria di Ponta Preta (dove risiede un bar che spaccia la miglior caipirinha dell’isola), e ci elenca dove fare tappa. Ma ci racconta anche la storia di alcuni dei tanti italiani che hanno deciso di trasferirsi qui per viverci. Tra questi anche Libero, 50enne romagnolo, titolare di Tribal Surf, una delle scuole di kite surf più importanti di Sal. Libero, cittadino del mondo, con i capelli rasta e l’animo libero (gli amici lo chiamano “Free“), ci introduce i grandi campioni di kite che ha allevato, portando ai nostri microfoni cultori dell’onda perfetta come  Matchu Lopes e Airton

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Scoprire le Marche

01_Parco Naturale del Monte San Bartolo

Economia rampante, stile conservatore. Le Marche sono la regione più ottimista, quella in testa alle classifiche di inglesi e americani (il New York Times l’ha definita la regione dove “sopravvive l’Italia che non c’è più”). Ha sedotto scrittori ed artisti come Enzo Cucchi e Tullio Pericoli che è tornato a dipingere nella sua casa di Rosara, vicino ad Ascoli Piceno. Qualcuno parla di nuovo Rinascimento marchigiano… E nemmeno il terremoto è riuscito a privare la gente di questa terra della loro voglia di vivere. E’ per questo che abbiamo deciso di organizzare un viaggio targato Radio Popolare proprio nelle Marche. E di farlo nel periodo migliore , a cavallo tra primavera ed estate. La costola marchigiana di Viaggi e Miraggi ha studiato un itinerario che noi abbiamo integrato. Conosceremo così la Bicipolitana di Pesaro: una metropolitana di superficie, dove le rotaie sono i percorsi ciclabili e le carrozze le biciclette. Lo schema utilizzato è quello delle metropolitane di tutto il mondo. Vi sono delle linee (gialla, rossa, verde, arancione….) che collegano diverse zone della città, permettendoti uno spostamento rapido, con zero spesa, zero inquinamento, zero stress. E con la certezza che sulla Bicipolitana di Pesaro non si perde neanche un bambino. Andremo a Ca’ del Santo, una grande casa rurale del XII secolo, che sorge tra alberi monumentali e un’ara preistorica, dove è conservata l’Arca dei Semi di “Civiltà Contadina”, uno scrigno di biodiversità alimentare a livello europeo. Avremo un incontro (molto) ravvicinato con la cultura enogastronomica marchigiana, il risultato di diverse civiltà e popolazioni che si sono succedute nel corso dei secoli e della mescolanza tra la tradizione contadina, fatta di ingredienti semplici e pasti frugali, e l’opulenza dei banchetti di nobili e clero, dove l’abbondanza e la ricercatezza dei cibi rappresentavano vere e proprie manifestazioni di potere. Le Marche sono una regione poco conosciuta dal punto di vista enogastronomico, eppure può vantare una varietà di prodotti tipici davvero straordinaria: ciauscolo, lonzino di fico, tacconi, cicerchia, vernaccia, vino cotto. La lista è davvero lunga, e la scopriremo insieme ascoltando un brano del nuovo lavoro dei Gang

civiltacontadina.it – viaggiemiraggi.org

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Pellegrini 2.0

01_Camminando a Creta

Decine di migliaia di persone ogni anno percorrono a piedi la via per Santiago e la via Francigena. Nuovi pellegrini che rinnovano la secolare tradizione del viaggio nei luoghi santi per trovare risposte nuove a domande eterne. Antichi tracciati che costituiscono la memoria profonda di un continente e che sono in grado di raccontarci quello che siamo stati e come potremmo essere. A fianco di queste ‘camminate’ spirituali in questi ultimi anni sono nati decine, centinaia di sentieri ‘laici’. O, molto più semplicemente, ci si rapporta laicamente ai grandi cammini ‘mistici’. In entrambi i casi trattasi di cammini veri, lunghi. Che affaticano e sfiancano. E trasformano chi li pratica. Non è (solo) un’esperienza spirituale, ma un modo diverso di conoscere un territorio. La gente che ci vive. Un viaggio in cui emergono con forza inaudita i sentimenti più profondi: paura, spaesamento, nostalgia, disillusione, stupore e allegria. La viandanza diventa uno straordinario modo per conoscere anche se stessi. E’  una grande metafora… c’è tanta vita dentro.   In questa puntata di Onde Road ne parliamo con Luigi Nacci, insegnante, giornalista, guida escursionistica ed ideatore del Festival della Viandanza (quando non viaggia a piedi da solo lo fa con The Rolling Claps, gruppo che ha fondato per riscoprire le antiche vie). Con Marco Albino Ferrari, scrittore e direttore di Meridiani e Montagne. Con Luca Gianotti, scrittore che con la Compagnia dei Cammini da oltre vent’anni diffonde in Italia la cultura del cammino, il turismo responsabile e il movimento lento. E con Nicoletta Cesari, una pellegrina 2.0.

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Vale un viaggio

01_Ex Seccatoi Tabacco_Città di Castello

Il pretesto del viaggio odierno è l’uscita del libro della giornalista e critica d’arte Beba Marsano: “Vale un viaggio. 101 meraviglie d’Italia da scoprire” (Cinquesensi Editore). Un libro che è al tempo stesso una guida di resoconti di viaggi e un testo antologico di divulgazione critica. Una collezione di inaspettati capolavori. Il volume è diviso in 20 capitoli, tanti quante le regioni italiane. Per ogni capitolo, un elenco di luoghi da visitare attraverso un percorso d’arte, senza dimenticare preziosi indirizzi gourmet e posti dove alloggiare. “ Non una semplice collezione di luoghi – racconta l’autrice Beba Marsano – ma un’antologia di emozioni che ho vissuto in prima persona quando in queste meraviglie mi sono imbattuta. A volte per caso, altre per scelta, altre ancora per una felice intuizione del cuore”. Dalla casa Museo di Luciano Pavarotti agli ex Seccatoi di Tabacco di Città di Castello. Dal quadro di Giuseppe de Nittis “Colazione in Giardino” al Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Tra le mete che da sole valgono un viaggio c’è anche Palazzo Biscari a Catania, splendido palazzo barocco che è anche il più importante palazzo privato etneo. Ce lo siamo fatto raccontare da Ruggero Moncada, il suo proprietario. Altra meta il Santuario della Madonna della Corona, descritto nell’ “Atlante dei Luoghi Insoliti e Curiosi“, di Alan Horsfield e Travis Elborough pubblicato da Rizzoli. E’ un volume che celebra la varietà degli scenari terrestri e le eccezionali capacità dell’immaginazione umana raccontando città perdute, regioni abbandonate, destinazioni remote, edifici visionari e isole sommerse. Il tutto accompagnato da fotografie e mappe appositamente realizzate. Infine, in occasione dei 150 anni di storia della Società Geografica Italiana, abbiamo incontrato il Prof. Franco Salvatori, Presidente Emerito della SGI. Tra le singole mete che valgono un viaggio anche la sede romana della SGI, presso il cinquecentesco Palazzetto Mattei in Villa Celimontana.

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Lanzarote, quando il paesaggio si fa architettura

01_Jardin de cactus_Lanzarote

Lanzarote è un’isola vulcanica dell’arcipelago delle Canarie che dista 170 km dalle coste africane. Il viaggiatore milanese può raggiungerla tranquillamente in tre ore e mezza prendendo un volo diretto Ryanair dall’aeroporto di Bergamo-Orio al Serio. Bastano pochi chilometri  e ci si ritrova in un nulla spiazzante. “Spiazzante” perché non assomiglia a nessun nulla di cui abbiamo esperienza. Spiazzante perché questo nulla, in realtà, è già stracolmo di cose, ma inerti: pietre nere, colate di lava rafferma, sterpaglie già morte alla nascita… E vulcani, continui. E’ un paesaggio con pochi eguali al mondo, ma è una bellezza frutto di un dramma, di un disastro. In una notte terribile dell’anno 1730, la terra si aprì e spuntò all’improvviso una montagna. L’isola per giorni interi, per mesi, per anni, fu devastata da eruzioni incessanti che l’hanno lasciata ricoperta di lava solidificata, sassi sputati come bombe che hanno formato crateri imponenti. Al termine della fase eruttiva la fisionomia dell’isola sarà completamente diversa da quella fino ad allora conosciuta. E’ questa la Lanzarote che vediamo oggi. E se non la vediamo massacrata da grattacieli e bulimici centri vacanza bisogna ringraziare Cesar Manrique. Pittore, scultore, architetto, artista multidisciplinare, anima e grande coscienza critica dell’isola. Un artista che ha usato l’isola come tela su cui plasmare le proprie idee artistiche e di difesa dei valori ambientali. L’amore che provava per la sua terra e la sua travolgente personalità hanno fatto il resto. Grazie all’appoggio delle istituzioni, è riuscito a far promulgare una ferrea tutela ambientale dell’isola in cui gli interventi umani si armonizzano con l’unicità dei paesaggi. La natura, punto di partenza dei suoi progetti, è  anche il punto di arrivo. Per sincerarsene basta visitare la sua casa,  ricavata all’interno di 5 bolle vulcaniche (oggi sede della Fondazione Cesar Manrique ), o il Giardino dei Cactus, recente vincitore del Premio Internazionale Carlo Scarpa. Tra i numerosi ‘must’ dell’isola segnaliamo gli innumerevoli piccoli crateri dove si coltivano le uve utilizzate per i i vini locali (per visita e degustazione consigliamo la Bodegas Rubicón.  Il Museo Agricola El Patio, dove German vi racconterà di come si calmano i cammelli nervosi. La Caleta de Famara, un imperdibile paradiso per gli amanti del surf (scuola consigliata).  Il ristorante El Diablo, all’interno del Parco di Timanfaya, che per la preparazione dei piatti sfrutta  il calore geotermico del vulcano dormiente sul quale sorge la struttura. Il Nautilus Lanzarote, un complesso di appartamenti immersi in 1200mq di giardini impreziositi da numerose opere d’arte (l’unico sull’isola ufficialmente certificato dalla consultora Equalitas Vitae come libero da barriere architettoniche).

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Rifugi montani: riparo collettivo o strutture “alberghiere” di qualità?

Rifugio Walter Bonatti (Val Ferret)

Il nuovo bivacco Gervasutti, installato su uno sperone roccioso a 2.835 metri di altezza, sotto le spettacolari pareti delle Grandes e Petites Jorasses. Il rifugio Oberholz a Obereggen, caratterizzato da un concetto contemporaneo di design legato a spazi aperti nel rispetto della Natura e realizzato con materiali eco-sostenibili. Strutture hi tech. Chef stellati. I menù e l’accoglienza “alberghiera” sono sempre più importanti nei rifugi di montagna. Una analisi contro cui si scagliano i cultori della ‘sobrietà alpina’: nostalgici dei tempi in cui erano semplici e spartane capanne di legno con il tetto in lamiera, mimetizzate tra le rocce e quasi invisibili agli alpinisti alla ricerca del bivacco per riposare, prima dell’assalto alla vetta. Bastano tavolacci di legno e una stufa, il resto meglio cercarlo a fondovalle. E accusano il CAI,  che tra rifugi e bivacchi è proprietario 774 strutture, di voler trasformare queste realtà in alberghi e ristoranti con cucina stellata. Mauro che da 23 anni gestisce il Rosalba – storico rifugio sulla Grigna meridionale, in posizione panoramica su un dosso naturale alla base della famosa Cresta Segantini – ci parla della sua esperienza come gestore di un rifugio alpino. E di come si sia trovato spiazzato quando il CAI gli ha comunicato che dal prossimo anno non avrà il rinnovo della gestione. Motivazione: non aveva presentato un piano accettabile per il potenziamento della funzionalità della struttura. Massimo Minotti, presidente del CAI Milano, è l’uomo accusato di voler trasformare i rifugi in quota in una macchina acchiappa soldi. Lui risponde che oggi i rifugi non sono prevalentemente frequentati da alpinisti, ma da escursionisti, e questi ultimi vogliono uno standard di un certo livello. E poi chiosa “Se oggi si va in montagna con attrezzature iper tecniche che anni fa ci si sognava, perchè le strutture d’ospitalità montana devono essere scomode?”.  Giorgia Battocchio, che ha curato molte delle interviste di questa puntata, ha sentito anche il gestore del Rifugio Brioschi, sulla cima del Grignone in Valsassina, che ci racconta la quotidianità di chi vive e lavora in un rifugio d’alta montagna. La sign.ra Mara, che lavora al Rifugio Walter Bonatti, invece ci racconta l’emozione del grande alpinista ed esploratore ogni volta che transitava dal rifugio che porta il suo nome.

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La Val Grande: l’Amazzonia alle porte di Milano

Dal Passo al bivacco, Vel Grande

Il Parco Nazionale della Val Grande si estende nel cuore della provincia del Verbano Cusio Ossola, tra creste dirupate e cime solitarie, ed è parte del Sesia-Val Grande Geopark, una più grande area di interesse geologico entrata a far parte della rete mondiale di geoparchi, patrocinata dall’Unesco. E’ l’area selvaggia più vasta d’ltalia, una wilderness a due passi dalla civiltà.  Un santuario dell’ambiente dove la natura sta lentamente recuperando i suoi spazi, dove boschi senza fine, acque trasparenti e silenzi incontrastati accompagnano ogni passo del visitatore. Ma la Val Grande è anche storia. Il lungo racconto di una civiltà montanara narrato dai luoghi e dalla gente dei paesi che circondano quest’area fra Ossola, Verbano, Val Vigezzo, Valle Intrasca e Cannobina. Percorrendo i sentieri della Val Grande si scoprono i segni lasciati dall’uomo nei secoli passati quando la valle era meta di pastori e boscaioli, tracce di una vita faticosa, testimonianza della capacità di adattarsi a un territorio impervio e inaccessibile. La verticalità era il principale elemento di sopravvivenza: tutta l’economia della comunità montana era basata sugli spostamenti altitudinali stagionali, in base ai ritmi della natura. Ne sono testimonianza le ciclopiche opere di terrazzamento destinate alla coltivazione ed una fitta rete di strade e sentieri che segnavano i versanti vallivi collegando il fondovalle ai maggenghi e agli alpeggi. Su queste montagne, inoltre, è stata scritta una pagina importante della Resistenza italiana. Nel giugno del 1944 la Val Grande e la Val Pogallo furono teatro di aspri scontri tra le formazioni partigiane e le truppe nazifasciste (nelle adiacenze va visitata la Casa della Resistenza -www.casadellaresistenza.it-, un importante luogo di memoria). Di questo e molto altro ne parlano Marco Albino Ferrari, direttore e giornalista, e Massimo Gocci, presidente del Parco Nazionale della Val Grande. Invece la naturalista Valentina Scaglia ci racconta del suo commovente incontro con Gianfry, l’eremita della Val Grande.

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Belgrado, la Berlino dei Balcani

Cinema Komunisto (02)

Vecchia capitale della Jugoslavia di Tito, crocevia di civiltà e imperi come quello Austro-Ungarico e Ottomano divisi qui solamente dalle acque del Danubio, Belgrado è oggi tra i centri più vivaci dell’Europa sud-orientale. “Città-fenice”, è risorta per l’ennesima volta dai conflitti degli anni novanta e dal tragico bombardamento Nato del 1999 grazie soprattutto alla creatività dei suoi abitanti. Il fascino retrò delle kafane, le vecchie osterie serbe in cui sorseggiare un bicchiere di slivovitz, un’acquavite ottenuta dalla distillazione del succo di prugne, convive con le più ricercate sonorità jazz o elettroniche provenienti dai numerosi localini nascosti nei cortili degli edifici del centro oppure adagiati lungo la Sava, che proprio qui confluisce nel Danubio sotto le mura della fortezza di Kalemegdan. Una vivacità che inizia a destare più di un appetito immobiliare (e non solo…).  E’ quello per esempio che sta succedendo a Savamala, all’ombra del ponte di Branko. E’ uno dei quartieri più interessanti della città, rivitalizzato negli ultimi anni da artisti e ragazzi che hanno aperto locali ed atelier in edifici vecchi e cadenti. Proprio alcuni di questi edifici sono stati espropriati con una legge speciale da parte del governo, obbligando i proprietari a sgomberare l’area per far posto ad una opera di “pubblica utilità”. Si tratta della costruzione del nuovo complesso “Belgrado sull’acqua”, operato dalla Eagle Hills di Abu Dhabi, controllata da uno dei più grandi colossi immobiliari al mondo: la Emaar Properties. Una decisione contro cui si batte il comitato “Non (affon)diamo Belgrado”, che cerca di impedire la distruzione di Savamala. In pieno centro città enormi cartelloni pubblicitari con i rendering del progetto “Belgrado sull’acqua” cercano di nascondere i capannoni fatiscenti dove centinaia di profughi pakistani e afgani sono ‘parcheggiati’ in attesa che cerchino di raggiungere l’Europa. Storie diverse che si incrociano e che meriterebbero un film che le racconti perchè Belgrado, e la ex Jugoslavia tutta, ha da sempre una passione per il cinema. Lo testimoniano il Museo della Cineteca Jugoslava di Belgrado (che non a caso si definisce ancora ‘jugoslava’) e i resti degli Avala Studios. Negli anni in cui Cinecittà era la Hollywood sul Tevere il maresciallo Tito creò la Hollywood dei Balcani, attirando investimenti e capitali stranieri: gli Avala Studios appunto. Vi iniziarono ad arrivare le star, da Alfred Hitchock a Sophia Loren e Carlo Ponti, da Alain Delon a Kirk Douglas, alloggiati all’Hotel Metropol di Belgrado e accolti nella residenza estiva di Tito e della moglie Jovanka a Brioni, con tutto lo sfarzo del caso. Un’epoca raccontata in Cinema Komunisto, un lavoro della giovane regista Mila Turajlic. E’  la storia di un’immagine. Di come sia costruita, di quanto sia potente, della memoria di sé che lascia un’immagine: in questo caso quella della Jugoslavia, un paese unito solo e soltanto sotto il governo di Tito, che è collassato rovinosamente poco dopo la sua morte.

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La traversata delle Alpi con Walter Bonatti

 

SERATA BONATTI

Walter Bonatti, il tenente degli alpini Luigi Longo e alcuni compagni che via via condivisero tratti del percorso, tra il 14 marzo e il 18 maggio 1956, compirono un’impresa senza precedenti nella storia delle Alpi. Facendo affidamento solo sulle loro gambe e senza mai aver preso strappi da mezzi meccanici, Bonatti e Longo riuscirono in 66 giorni ad attraversare l’intero arco alpino. Partenza: Stolvizza (573 m), Alpi Carnie. Arrivo: Colle di Nava (934 m), Alpi Marittime. 1795 chilometri e 73mila metri di dislivello. Per quest’impresa Bonatti dismise i panni dell’alpinista estremo che tutti conoscevano, e divenne un viandante della neve. Rifare oggi, passo passo, questo percorso è impossibile: le Alpi sono troppo cambiate. Secondo il geografo Franco Michieli è difficile capire se le Alpi siano mutate di più da quando l’uomo le ha abitate dopo l’ultima glaciazione o negli ultimi sessant’anni. Fotografie, appunti  ed oggetti di questa impresa oggi sono reperibile al Museo della Montagna di Torino.

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Marsiglia è i suoi bar

Marsiglia_Bar des 13 coins

Marsiglia è da sempre una zuppa di popoli. Ogni quartiere ha un’anima diversa. E un bar dove fare tappa. Il nostro viaggio inizia dal Bar des 13 Coins, un locale riconoscibile per i suoi affreschi da graffittari degni di Keith Haring. Ubicato nel cuore del Panier, era uno dei locali amati da Jean-Claude Izzo, l’inventore del noir mediterraneo e dei gialli del commissario Montale. Entrambi però avrebbe guardato con raccapriccio la gentrificazione imposta al quartiere. Scendendo verso il porto vecchio si incontra Cup of Tea, il caffè letterario più bello del Panier. Una parete ostenta barattoli di caffè, tutte le altre libri, molti a tema musicale. Abbondano anche i vinili, mentre su una mensola sono accatastati una Stratocaster d’annata, una fisarmonica e un sax. Piegando verso destra si incomincia a vedere il bacino portuale, sede di recenti trasformazioni architettoniche che hanno portato alla nascita del MuCEM, il Museo delle Civiltà d’Europa, e della Villa Méditerranée, che ospita attività di ricerca e spazi di documentazione sul Mediterrano, e alla ristrutturazione dei vecchi docks. Tornati al Vecchio Porto, dopo una sosta a La Caravelle (titolare del miglior balcone sul Vieux Port e del miglior mohito della città) è obbligatoria una sosta a La Maison du Pastis, un negozietto che ha in vendita 95 etichette del liquore profumato d’anice che è la carta d’identita di Marsiglia. Sul lato opposto del quai c’è l’Unic: pareti rosso fuoco, ottima selezione di rhum e una grande foto in bianco e nero di Serge Gainsbourg. Per chi ama i profumi (e le avventure) marine c’è il Sunlight Social Club. E’ lungo la Corniche, all’altezza del promontorio di Malmousque e tra i suoi clienti abbondano i militari della legione straniera residenti nella vicina caserma. Visitando il Marchè des Capucins, l’enclave magrebina di Marsiglia, dopo un brick con le patate alla Patisserie Journo, bisogna fare un salto alla Maison Empereur, il “negozio più bello del mondo”: un buco spazio-temporale che è l’antitesi di un centro commerciale. Due bar anche alla Plaine, un gruzzolo di strade che Izzo in Solea definì “… il quartiere più alla moda di Marsiglia”. Di uno, il Bar des Maraichers, era un frequentatore il Commissario Montale. L’altro, il Bar de la Plaine, è amato dai musicisti: da Manu Chao ai Massilia Sound System, passando per il salentino Claudio Cavallo. Chiusura con il bar e il ristorante della Friche de Belle de May, un’antica manifattura di tabacchi che dal 1992 si è trasformata in uno spazio dedicato alla creazione artistica e alla sperimentazione contemporanea.

Letture consigliate:

“Jean Claude Izzo, storia di un marsigliese” di Stefania Nardini (2015, Edizioni e/o)

“Alcazar – Ultimo spettacolo” di Stefania Nardini (2013, Edizioni e/o)

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Tirolo sugli sci, in bici e a cavallo

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Se d’estate in Tirolo si può andare in bicicletta anche con l’e-bike, grazie a una vasta rete di percorsi, stazioni di noleggio e ricarica delle batterie che vi permetteranno di scoprire paesi da cartolina come Kirchberg, Schwarzsee e Kitzbühel, d’inverno si possono percorrere i suoi boschi, con un paio di sci di fondo ai piedi, battendo le piste di Seefeld. E’ la capitale alpina dello sport nordico, non a caso l’Olympiaregion Seefeld (con i suoi 262 chilometri per lo skating e lo stile classico) è stata tre volte sede dei Giochi Olimpici per le discipline nordiche – 1964, 1972 e in gennaio 2012 per i Giochi Olipici per la Gioventù. Per gli stakanovisti tra Seefeld e Mösern c’è una pista di tre chilometri dove si può sciare anche di sera: la pista è illuminata tutti i giorni dalle ore 17 alle 20. L’ A2 Loipe Lenerwieser invece è una pista di 1,9 chilometri  dove si può sciare insieme al proprio cane. Per chi agli sci preferisce i cavalli nella cittadina di Ebbs il Fohlenhof, un centro equestre che vanta la più antica e famosa scuderia di cavalli Avelignesi. E’ una razza di cavalli bicolor, con il mantello color zenzero, coda e criniera chiarissime. E una memoria impressionante: se gli viene insegnato qualcosa la ricorderanno per sempre, anche a distanza di molti anni. La vostra memoria potrebbe invece avere qualche attimo di crisi se vi intestardite nel provare tutti i gin in vendita allo Stollen 1930: un locale di Kufstein ricavato all’interno di una roccia. La selezione di bottiglie conta ben 811 etichette al mondo, la più ricca al mondo. Per la cena no problem: il menù tirolese è ricco e variegato. E se optate per le osterie e i ristoranti degli chef membri dell’associazione KochArt avrete la certezza che vengono utilizzati  solo prodotti contadini locali di origine controllata. Come colonna sonora non c’è discussione: musica targata Gregor Glanz, l’Elvis locale. Ascoltare per credere…

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Una pagina di lotta partigiana sulle Dolomiti feltrine

Vette Feltrine_Dalla cima del Diavolo il sole si nasconde dietro il monte Ramezza (1)

Intorno alla mezzanotte del 31 agosto 1944, il celebre esploratore Harold William «Bill» Tilman si fa paracadutare dagli Alleati sulle Dolomiti Bellunesi. Con due milioni di lire in tasca per finanziare la guerriglia partigiana, raggiunge il suo posto operativo a fianco dei partigiani della brigata “Gramsci” del comandante Bruno. Nato nel Cheshire nel 1898, Tilman è il continuatore di quella tradizione tutta britannica che ha portato a sventolare l’Union Jack negli ultimi luoghi inesplorati della Terra.

Negli anni trenta insieme ad Eric Shipton divennero la punta di diamante delle esplorazioni coordinate dalle Società Reali inglesi. Nel dopoguerra Tilman si dedicò alle esplorazioni negli angoli più remoti dell’Asia. Quasi sessantenne scoprì il fascino del mare dedicandosi all’esplorazione dei fiordi e dei canali Patagonici, dell’Antartide, di sperdute isole come le Kerguelen e le Spitsbergen. Nel 1977, alla soglia degli 80 anni, scomparve con il suo cutter durante una traversata da Rio de Janeiro a Port Stanley nelle Falkland. Con Marco Albino Ferrari, autore di “Il sentiero degli eroi – Dolomiti 1944. Una storia di resistenza” (Rizzoli Editore), raccontiamo la storia di questo inglese imperturbabile, di poche parole, sempre con il bocchino della pipa tra i denti. Sa muoversi di notte attraverso foreste, valli secondarie e sentieri nascosti, ma è davanti all’accerchiamento finale dei nazisti che il suo spirito combattivo si manifesta. Insieme a quindici uomini trova un nascondiglio sulla parete nord del Monte Ramezza, dove rimarrà tre giorni senza mangiare, sotto la tormenta, senza potersi muovere, e con le vie di uscita bloccate. Quelle montagne meravigliose diventano una trappola mortale, che la neve contribuisce a rendere perfetta. Le montagne (oggi ‘protagoniste’ del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi) sono sono quelle feltrine: un segmento di Dolomiti ingiustamente trascurate, come ci confermano Marcella Morandini (direttore Fondazione Dolomiti Unesco) e Enrico Bacchetti (direttore dell’Isbrec Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea). Per chi volesse seguire le orme di Tilman e degli uomini che erano con lui Roberto Mezzacasa ha ‘inventato’ l’ Alta Via Tilman. Partenza da Falcade, segnata da un bassorilievo dello scultore Franco Murer. Si raggiunge Caviola, poi Forcella della Stia, la valle di Garés e di San Lucano. Si entra quindi nel Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi attraversando la Riserva naturale Piani Eterni – Erera – Val Falcina, quindi verso il Cimonega e le Vette Feltrine. Raggiunto il Monte Grappa si cala fino a Valstagna. Si sale quindi verso l’Altopiano dei Sette Comuni percorrendo i 4.444 scalini della Calà del Sasso, poi Col del Rosso, Cima Ekar, contrada Bertigo a Gallio, Zocchi per terminare al sacrario militare di Asiago. Un percorso che può essere suddiviso in 10 tappe, tutte di un certo impegno.

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Oriente cubano

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Santiago è la capitale dell’Oriente cubano. E’ una città nera. I discendenti degli schiavi africani qui sono molto più numerosi che nel resto dell’isola. Una città meticcia anche nelle sue bevande, come dimostra la Pru: un refresco la cui storia può essere fatta risalire al 1800, dopo la rivoluzione haitiana, quando i coloni francesi, i loro schiavi e gli schiavi liberati si insediarono nelle terre a est di Isla Mayor portando seco usi e costumi. Secondo le tradizioni orali degli haitiani che vivono a Cuba oggi, è la pru a dar loro la forza di completare le dure attività agricole sollevando i loro spiriti e guarendo le loro malattie. Par raggiungere Baracoa, da Santiago, bisogna percorrere una strada che, dopo Guantanamo, si arrampica sui monti. E’ la mitica “Farola“, un regalo di Fidel Castro agli abitanti di Baracoa per l’aiuto ricevuto durante la rivoluzione. Matthew, l’uragano che si è abbattuto su Baracoa lo scorso ottobre, non ha fatto regali. Ha portato solo distruzioni: case scoperchiate, altre sventrate, centinaia di palme (il petrolio locale) decapitate… Il lavoro di prevenzione delle autorità cubane e dei comitati popolari ha impedito che ci fossero vittime anche qui, come è  accaduto nella vicina Haiti. Prima di partire avevamo chiesto agli ascoltatori di Radio Popolare di aiutarci a dare una mano agli abitanti di Baracoa, lanciando l’operazione “Una cazzuola per Cuba”. Avevamo chiesto materiale utile per i lavori di ricostruzione. La generosità dei ns ascoltatori, ancora una volta, non si è fatta attendere e in redazione sono arrivate non solo cazzuole, ma  trapani, pinze, tenaglie, pappagalli, chiodi… La sosta a Baracoa è stata l’occasione per consegnare il materiale raccolto. La visita alla Comandancia de la Plata, sulla Sierra Maestra, è stata invece l’occasione per una immersione nella storia. E’ il cuore di Cuba:  monti di un verde brillante e rigoglioso, le cui vette regalano scorci del mar dei Caraibi. Al belvedere di Alto de Naranjo, nel Parque Nacional Turquino, sopra il villaggio montano di Villa Santo Domingo, i cartelli indicano due sentieri. Il primo porta al Pico Turquino, che con i suoi 1974 metri è la montagna più alta dell’isola. Il secondo conduce alla Comandancia de la Plata. Sono tre chilometri aspri e sconnessi che portano  nel cuore della Sierra, là dove Fidel Castro e Che Guevara per due anni diressero la guerriglia contro le forze di Fulgencio Batista. A poco meno di metà sentiero  c’è la spartana area di sosta Medina. Il nome è mutuato da Osvaldo Medina, un campesino che negli anni della rivoluzione viveva lì in una baracca. Medina, assieme ai suoi figli, faceva parte del Quinteto Rebelde, un gruppo che suonava per i barbudos che vivevano sulla Sierra.  Al termine del sentiero c’è la sede della mitica Comandancia. La capanna-comando di Castro, con il suo letto, le librerie in legno e il frigo a cherosene impreziosito dal buco di una pallottola su un fianco. La baracca dove il medico-comandante Ernesto Guevara de la Serna visitava i feriti e la “Casa de la Prensa”, teatro delle interviste con i giornalisti che si arrampicavano quassù. La nostra ascesa si è avvalsa della competenza di Isaia, un campesino che fa la guida su quei sentieri. Il suo era un eloquio emozionante, dove nelle pause dei racconti, tra i rumori del bosco e i nostri ansiti per le ripide salite, avevamo l’impressione di poter ascoltare la musica del Quinteto Rebelde e la voce di musica del Quintetto Rebelde e la voce di Fidel…

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