“Dove finisce il Danubio? In questo incessante finire non c’è una fine, c’è solo un verbo all’infinito presente. I rami del fiume se ne vanno ognuno per conto proprio, si emancipano dall’imperiosa unità-identità, muoiono quando gli pare, uno un po’ prima e uno un po’ dopo, come il cuore, le unghie o i capelli che il certificato di morte scioglie dal vincolo di reciproca fedeltà. Il filosofo avrebbe difficoltà, in questo intrico, a puntare il dito per indicare il Danubio, la sua precisa ostensione diverrebbe un incerto gesto circolare, vagamente ecumenico, perchè il Danubio è dappertutto e anche la sua fine è dovunque in ognuno dei 4300 chilometri quadrati del delta”.
E’ uno stralcio da “Danubio”, un libro di Claudio Magris che fotografa poeticamente un universo dove “non c’è confine fra la terra e l’acqua, le strade che nei villaggi conducono da una casa all’altra sono ora viottoli coperti d’erba ora canali sui quali fluttuano giunchi e ninfee; terra e fiume trapassano e sfumano una nell’altro, i ‘plaur’ricoperti di canne fluitano come alberi alla deriva o si attaccano al fondo come isole”.
Il delta del Danubio è un paradiso naturalistico. Un labirinto lacustre trasformatosi in una fiaba con uccelli meravigliosi, una specie di nodo terrestre in cui si incrociano 5 strade di passaggio di volatili. Praterie di ninfee tagliate in due dalle barche, che sostituiscono le macchine dato che da queste parti, spesso, mancano le strade. Viaggiando nel Delta del Danubio, oltre alla fauna e alla flora, ci si rende conto che durante il viaggio cambiano i volti, le lingue e i costumi di chi abita in questa regione. Si incontrano minoranze nazionali disparate, che proprio qui hanno stabilito la loro residenza. Greci, ucraini… e friulani, come la signora Otilia. Abita nel villaggio di Greci, e come gran parte dei suoi concittadini discende da famiglie di friulani emigrati alla fine dell’Ottocento, dalla zona di Poffabro, Maniago e Pordenone, per andare a lavorare come scalpellini nelle cave della regione. La capitale di questo incredibile universo è Sulina, l’ultimo paese bagnato dalle acque del fiume prima che la terra venga sommersa dal Mar Nero. E’ il punto più orientale del paese e dell’intera Unione europea continentale. Ma non sta qui la sua importanza. Quasi sconosciuta oggi, Sulina in passato era un prospero porto, sede della Commissione Europea danubiana. Nata nel 1856, dopo la guerra di Crimea, era un’istituzione che anticipò di oltre un secolo la Commissione Europea di oggi. Ne facevano parte tutte le potenze europee dell’epoca: Regno Unito, Francia, Austria, Prussia, Italia (o meglio, il Regno di Sardegna), Russia e Turchia. La Romania ne era fuori all’inizio, non essendo ancora uno stato indipendente. Tutti avevano interesse a marcare stretto gli altri e ad avere voce in capitolo per garantire che il Danubio avesse una sorta di status internazionale, che ne assicurasse la navigabilità. Sulina divenne porto franco e si sviluppò rapidamente diventando una piccola cittadina cosmopolita, la cui neutralità, anche in caso di guerra, era certa per statuto. Una sorta di Tangeri danubiana. Tutti marcavano la loro presenza con chiese, palazzi e funzionari. E come nella “Zona Internazionale” di Tangeri arrivarono spie, contrabbandieri e pirati… Di quell’universo oggi restano vecchie chiese, qualche casa turca, un faro costruito con le tasse imposte alle navi che entravano nel porto, qualche facciata vagamente liberty…
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