Sri Lanka

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Subhash è un contadino di Heeloya, un villaggio sulle montagne alle spalle di Kandy. Un universo verde fatto di risaie terrazzate, palme e una lussureggiante vegetazione tropicale. Subhash ha partecipato a una serie di incontri con dei tecnici di ICEI-Overseas, ONG italiane che operano sull’isola seguendo i dettami dello sviluppo sostenibile. Sua figlia Sirimavo ha seguito un corso per conoscere le regole del turismo responsabile, un’attività che può avere un impatto considerevole sullo sviluppo sostenibile. Oggi è una guida che aiuta i turisti ad avere un atteggiamento rispettoso della cultura locale e, con il suo lavoro, fa in modo che i ricavi dell’industria turistica creino dei vantaggi concreti alla gente di Heeloya. Le associazioni di villaggio ricevono un contributo dal tour operator per ogni turista ospitato, contributo che viene poi utilizzato per lo sviluppo di attivita’ produttive o per affrontare alcuni problemi prioritari delle comunita’. Kandy, la vecchia capitale dell’odierna Sri Lanka, dista una quarantina di minuti d’autobus da Heeloya. Fu la capitale dell’ultimo regno singalese, caduto nelle mani degli inglesi nel 1815 dopo aver resistito ai portoghesi e agli olandesi per tre secoli. La città si sviluppa attorno a un lago artificiale, nelle cui adiacenze sorge il Tempio del Sacro Dente. Sacro perché pare sia uno dei 32 di Buddha. Impossibile vederlo perché è custodito all’interno di uno scrigno d’oro a forma di santuario, che a sua volta contiene una serie di sei scrigni sempre più piccoli, sino ad arrivare al dente. Per chi ama i reperti architettonici, lasciata Kandy si può puntare a tre obiettivi al centro dell’isola. Dambulla, per i suoi templi ricavati dentro maestose grotte. Sigiriya: una fortezza piazzata sulla sommità di un enorme dirupo di roccia. E Polonnaruwa, per tre secoli (a partire dal X) capitale sia del regno chola che di quello singalese. Di quell’epopea restano imponenti rovine di templi, edifici, il palazzo reale e tre enormi statue del Buddha… Dopo questo tuffo nella storia, niente di meglio di uno nell’oceano. E’ la costa che nel 2004 è stata drammaticamente colpita dallo tsunami e che ha ripreso a vivere solo recentemente. Ad Arugam Bay è un villaggio a maggioranza musulmana dove sulla spiaggia giovani freak armati tavola convivono con donne velate che fanno il bagno interamente vestite. Più mondana la vita a Mirissa, una delle mitiche località balneari della costa meridionale. Discoteche sulla spiaggia, amache legate alle palme e la possibilità di praticare il whale watching, l’avvistamento delle balene…

ICEIMowgli Italia

Volare.. a Trebisonda

© Keith Thompson 2009

Istanbul, un agglomerato di culture e mondi. C’è anche chi cerca (con successo) di importare all’ombra dei minareti la musica di Domenico Modugno. E’ il caso di Adil Akbasoglu, che ci racconta dell’interesse che molti turchi hanno per la cultura italiana. Poi, con una barzelletta, ci fa capire come i turchi vedono gli abitanti di Trabzon, importante città sul Mar Nero. Trabzon, l’antica Trebisonda greca, non è una città bellissima. Palazzoni, tanti outlet e l’autostrada E77 che divide le sue case dall’acqua del Mar Nero. E’ però fondamentale per capire la Turchia (e il perché delle manifestazioni di questi giorni a Istanbul e Ankara, manifestazioni che -non casualmente- a Trebisonda non ci sono state). Oggi Trabzon il bastione del nazionalismo turco. E’ da qui che veniva il presunto assassino del giornalista armeno Hrant Dink, ucciso a Istanbul il 19 gennaio 2007. Ma è anche una città segnata da una pratica dell’islam sempre più ostentata e rigida. Bisogna scendere nei quartieri del porto per trovare bar che servono apertamente alcol, mentre giovani donne vendono le loro grazie ai marinai di passaggio. La clientela interessata è più russa che turca. Ogni giorno, infatti, dei traghetti collegano Trabzon a Sotchi, in Russia. Le navi sono vecchie e gli orari incerti, ma una folla indaffarata si accalca all’imbarco. Affollato è anche lo stadio del Trabzonspor. Qui il calcio è uno strumento di riscatto sociale e una potente valvola di sfogo. Fedele all’indole dei suoi abitanti, anche lo sport a Trebisonda è schierato. Alla manifestazione di Istanbul contro l’omicidio di Dink, in cui centomila persone -turchi, curdi e armeni- avevano scandito lo slogan “Siamo tutti armeni, siamo tutti Hrant Dink”, i tifosi della squadra di calcio di Trebisonda hanno risposto a modo loro. Nella prima partita in casa del Trabzonspor hanno gridato dagli spalti: “Siamo tutti turchi. Siamo tutti Mustafà Kemal Atatürk”. Alcuni di loro indossavano lo stesso berretto di lana bianca che l’assassino di Dink, Ogün Samast, aveva nelle foto segnaletiche. Negli ultimi anni a Trabzon non sono arrivati investimenti. Le èlite cittadine si sono trasferite nelle città più a occidente e il loro posto è stato occupato dagli abitanti dei villaggi dell’interno. A Trebisonda non c’è più una comunità: sono rimasti i singoli individui e il Trabzonspor. Ma il declino della città è stato anche il declino della squadra, che ha vinto il suo ultimo campionato nel 1985. L’ultima impresa eroica è l’aver sconfitto l’Inter in Champions League. Ma di questi tempi battere l’Inter ha proprio poco di eccezionale…

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Francoforte, non solo grattacieli e birra

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Francoforte evoca nella mente di molti immagini di alta finanza e di grattacieli in cui si decidono i destini economici dell’Europa. Ma a dispetto di un energico skyline che svetta sulla piazza intitolata a Willi Brandt, in cui campeggia una scultura al neon che raffigura l’Euro, e dell’intensa attività fieristica che la trasforma in un indaffarato crocevia commerciale durante la settimana lavorativa, Francoforte ha da secoli un’anima votata alla cultura di qualità. I cittadini sentono come un loro dovere il contributo economico all’eccellente sistema culturale, che propone i numerosi musei lungo la riva del Meno, due teatri d’opera di alto livello, molte gallerie d’arte contemporanea, e naturalmente la celebre Fiera del libro di ottobre. Abituata ad accogliere visitatori da tutto il mondo, Francoforte se la cava bene anche nell’ambito dell’accoglienzai: lo storico quartiere di Saxenhausen è punteggiato di birrerie dall’assordante sottofondo heavy-metal e di trattoriei tradizionali che servono vino di mele, mentre i ristoranti raffinati dei luoghi d’arte e i club aperti fino a notte fonda si contendono le competenze di chef stellati… anche italiani!

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Locali: Das BettJazzkellerBatschkappElfer Music Club

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Inseguendo il Giro d’Italia

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C’è un’Italia che con un aggettivo improprio viene definita ‘minore’, custode invece di mille meraviglie. E’ l’Italia attraversata dalla carovana del Giro. Un’Italia fatta di paesi dai nomi sovente sconosciuti, ignoti a un’immediata collocazione geografica, nomi pronunciati spesso con l’accento sbagliato. Marina d’Ascea, Serra San Bruno, Saltara, Cervere, Mori, Polsa, Silandro… tanto per citare alcune tappe del giro di quest’anno. Un giro figlio della crisi che stiamo vivendo: non a caso è il primo in cui i giornalisti della Gazzetta dello Sport (il padre putativo della corsa) sono entrati in sciopero (come per i loro colleghi di RCS decine di posti di lavoro sono a rischio). Ne parliamo con il nostro ’improbabile’ inviato, Guido Foddis. E con Gino Cervi e Umberto Isman, giornalisti di Cycle! (una nuova ‘elegante’ rivista dedicata al ciclismo, ma anche al costume e alle geografie umane). Con loro parliamo di una delle tappe più importanti del giro di quest’anno, quella che è arrivata a Erto, uno dei borghi che cinquant’anni fa ( il 9 ottobre 1963) fu colpito dalla tragedia del Vajont. E da loro ci siamo fatti raccontare le immagini di Vito Liverani, un decano del fotogiornalismo italiano, e le storie di Geremia Della Putta (marciatore di fondo e ciclista, ma anche doppio sopravvissuto: dalla deportazione a Buchenwald e dalla tragedia del Vajont) e del bersagliere Pucia (Carlo Oriani, vincitore del giro d’Italia di cent’anni fa, caduto sul fronte della Grande Guerra).

Cyclo è un trimestrale in vendita in tutte le librerie. La versione online è su cyclemagazine.it

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Turismo responsabile in Senegal

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Saint-Louis, la vecchia capitale del Senegal che ha saputo conservare l’antico splendore coloniale nonostante la povertà, dista poco più di un’ora di macchina dal Parco di Djoudj, uno dei principali santuari dell’Africa Occidentale per gli uccelli migratori. L’area rappresenta la prima zona di rifornimento d’acqua, dopo un percorso di oltre 200 km sopra il deserto del Sahara, per intere colonie di volatili. Migliaia di fenicotteri rosa qui nidificano regolarmente, così come oltre 5.000 pellicani bianchi, anitre fischiatrici dalla faccia bianca, oche dallo sperone, aironi rossi, nitticore, spatole, cormorani e otarde arabe. In totale quasi 360 specie di uccelli, di cui 58 nidificanti. A cui bisogna aggiungere 92 specie ittiche, e poi coccodrilli, varani, scimmie, facoceri, gazzelle e sciacalli. Una situazione analoga si registra al Parco Nazionale della Langue de Barbarie, una stretta lingua di terra che corre per 60 km, separando il fiume Senegal dall’oceano Atlantico. I 2000 ettari del Parco danno rifugio a numerose specie di uccelli acquatici come sterne, gabbiani, aironi e garzette. In entrambi i parchi gli abitanti che abitano nelle loro adiacenze forniscono guardie ecologiche che organizzano escursioni nel parco e, grazie al comitato, coordina una serie di strutture legate al funzionamento delle aree protette. I profitti generati dalla gestione turistica (il noleggio delle piroghe, il negozio artigianale posto all’ingresso del Parco, il campement) vengono poi reinvestiti per lo sviluppo della comunità e per il ripristino di aree danneggiate. Le occasioni per un turismo responsabile in Senegal non sono limitate al nord del Paese, ma sono in aumento così come è in crescita il turismo internazionale che oggi è arrivato ricoprire un ruolo di primo piano nell’economia del paese, rappresentando circa il 5% del Pil. Le mete affascinanti non mancano. E’ il caso dell’isola delle conchiglie. E’ raggiungibile con un ponte in legno lungo quasi un chilometro, rigidamente pedonale, che divide l’isola di Fadiouth da Joal, un porticciolo scoperto nel XV secolo da alcuni navigatori portoghesi. Dakar è lontana due ore abbondanti di macchina, 150 chilometri più a nord. Joal si è guadagnato un paragrafo sulle guide turistiche per le sue palme da datteri e da cocco e per le sue “tanns”, deliziose piccole ostriche che si trovano tra gli arbusti di mangrovie e crescono aggrappate alle radici sommerse degli alberi paletuviers. Nei libri di storia è citata invece perché ha dato i natali a Leopold Sedar Senghor, poeta e primo presidente del Senegal indipendente. Il ponte porta a un piccolo isolotto lungo 500 metri costituito da un accumulo di conchiglie che si sono depositate nel corso dei secoli. E’ per questo motivo che le strade che attraversano Fadiouth sono foderate di conchiglie. Che il consiglio degli anziani, che regola la vita del villaggio, si riunisce in uno spiazzo ombreggiato coperto da conchiglie. E che le tombe, al cimitero, sono interamente rivestite da conchiglie. Un cimitero dove, promiscuamente, sono sepolti mussulmani e cristiani. Se in Senegal i discepoli del profeta costituiscono il 90% della popolazione, i seimila abitanti di Fadiouth sono quasi tutti cristiani di etnia Sererè. Una convivenza interreligiosa tranquilla e secolare la loro, a tal punto che si protrae oltre l’esperienza terrena…

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Il nuovo waterfront di Marsiglia

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Una trasmissione dedicata alla rivoluzione architettonica che, con il pretesto dello status di Capitale Europea della Cultura 2013, ha modificato radicalmente il Waterfront portuale della città. Di solito le grandi architetture sul mare danno le spalle all’acqua, Marsiglia ha deciso che le sue il mare lo devono guardare. Il primo passo è stato rifare il look al vecchio porto, pedonalizzandolo e ripavimentandolo con dell’arenaria chiara. Ci ha pensato l’architetto britannico Norman Foster, che ne ha addirittura ribaltato l’orizzonte. L’ha fatto grazie a un enorme baldacchino: lo chiamano “Padiglione”, ma è una tettoia in acciaio inox specchiante, supportata da sottili pilastri. Offrirà un tetto a manifestazioni, spettacoli e mercati. L’impatto della struttura sull’ambiente è minimo, in compenso il soffitto riflette tutta la vita sotterranea circostante. Il “quadro” a specchio di questo soffitto riesce a includere nell’immagine anche l’acqua, diventando a sua volta un porto da cui si può intraprendere un viaggio semplicemente con uno sguardo. Arriva sin qui l’ombra della nuova sede della terza compagnia marittima al mondo, la CMA CGM: una torre di vetro di 32 piani per 143 metri di altezza. E’ uno dei primi edifici che è ‘sbocciato’ in questo rinascimento edilizio ed è un lavoro targato Zaha Hadid, la celebre archistar anglo irachena. L’architetto marsigliese Roland Carta invece ha lavorato su un silo per cereali inutilizzato da vent’anni, usato in passato per il deposito del grano che veniva caricato e scaricato dalle navi. Dopo la riconversione operata da Carta al suo interno oggi ci sono uffici, un grande auditorium per la musica, spazi per mostre temporanee e un ristorante panoramico. L’architetto franco-algerino Rudy Ricciotti ha invece lavorato al MuCEM, il Museo delle Civiltà d’Europa, un altro dei landmark della nuova Marsiglia. E’ un parallelepipedo vetrato, rivestito con una rete realizzata con un particolarissimo cemento armato precompresso, traforato. Posizionato sul molo J4, nelle adiacenze dello storico Faro di Marsiglia, questo nuovo spazio mediante una lunga passerella sospesa, che gira attorno all’edificio, è connesso alla vicina fortezza quattrocentesca di Saint Jean. Nelle adiacenze del MuCEM c’è La Villa, una costruzione curata dall’architetto italiano Stefano Boeri. E’ un edificio polifunzionale che ospiterà attività di ricerca e spazi di documentazione sul Mediterrano. La forma a C del nuovo volume ha consentito di ospitare al suo interno anche il mare, saldando ulteriormente il legame tra la città e il Mediterraneo: l’acqua penetra infatti tra i due piani orizzontali dell’edificio, quello della sala congressi e quello della sala espositiva, creando una piazza d’acqua pronta ad ospitare pescherecci, barche a vela, allestimenti e performance temporanee.

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Escursioni pasquali

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Il confronto tra due Giuda, figuranti di due storiche Vie Crucis Viventi dell’Italia meridionale: quella di Ravello, un borgo della costiera amalfitana, e quella di Paupisi, nel beneventano. E la Via Crucis con le vittime della camorra al conservatorio di San Pietro a Majella, un’idea di don Tonino Palmese, vicario episcopale per la carità della Diocesi di Napoli e referente campano di Libera. Qui a leggere le meditazioni sono magistrati, rappresentanti delle Forze dell’ordine e vittime innocenti della criminalità. Niente Vie Crucis nel Trentino occidentale, ma la possibilità di adottare un melo in Val di Non. Funziona così: alcuni agriturismi della valle danno la possibilità di visitare i frutteti in compagnia dei loro proprietari, scegliere una pianta e (quando saranno maturate) raccogliere dall’albero un’intera cassa di mele da portare a casa con sé. In attesa che i meli maturino ogni mese il contadino spedirà all’adottante una mail che testimonierà lo stato di salute del suo melo. A Topolò invece, un paesino disperso tra le montagne delle valli del Natisone il cui nome deriva dall’albero del pioppo (in sloveno “topol”) rischia di chiudere per i tagli alla cultura un intrigante esperimento culturale. In questo borgo nell’estrema parte orientale della provincia di Udine, a poca distanza dal confine con la Slovenia, da anni a luglio è attiva “Stazione Topolò-Postaja Topolove” una manifestazione internazionale che tocca vari campi dell’ arte e della comunicazione: filmati, disegno, fotografia, musica, poesia, teatro. Gli artisti vengono ospitati nel piccolo borgo di Topolò dove effettuano un “intervento” sulla base degli stimoli ricevuti dal luogo stesso. Perdere quest’esperienza sarebbe criminale…

Azienda autonoma Turismo di Ravello (link) – Per adottare un melo (link) – Per salvare la stazione di Topolò (link e link)

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Sofia, la Nashville dei Balcani

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Dalla caduta del muro di Berlino la capitale del più sovietico dei paesi dell’est ‘sta studiando’ per diventare la ‘piattaforma di mercato’ verso Russia e Turchia dell’Unione Europea. Lo fa guardando avanti, verso una cultura e un mondo, l’Occidente, agognato per troppo tempo. Ma non può evitare di voltarsi indietro, in cerca delle ombre di un passato ancora troppo recente. In pieno centro si riproduce l’Europa clonando luoghi e loghi. Centri commerciali modulati come i nostri: gallerie di negozi, scale mobili e scaffali di merci occidentali. Ma il cuore della Sofia più verace continua a battere al Mercato delle donne. Zona di fitti commerci, è un susseguirsi di bancarelle dove si vendono, prima di tutto, verdure e frutta: mele rosso fuoco, barbabietole e verze “taglia XXL”, noci già sgusciate… Tutta merce una volta in esclusiva per le tavole dei più ricchi “fratelli” sovietici. Le stradine laterali pullulano di bistrot, “musei enogastronomici” dove vengono custodite tradizioni culinarie antiche di secoli. Una gastronomia figlia dell’impero ottomano, che spazia nel segno della multiculturalità, il tratto distintivo della capitale bulgara. Lo testimonia il fatto che Sofia è capace di far convivere, in poche centinaia di metri, la chiesa ortodossa Sveta Nedelja, la Banja Basi dzarnja, la “moschea dei bagni” eretta nel 1576 dal celebre architetto Sinan e la Central Sinagoga, il tempio sefardita più vasto d’Europa. Una commistione che si respira anche girovagando per le strade, grazie alla colonna sonora, rigorosamente in diretta, offerta da piccole band zingare che con clarini, chitarre, violini e fisarmoniche, vagano tra vicoli, piazzette e ristoranti. E’ la rappresentazione sonora dell’onnivora cultura rom che, da sempre, ha preso e ha dato qualcosa a ogni luogo che ha attraversato. In questi anni il passaggio dal regime socialista al capitalismo è stato foriero di mille sogni: per ora si sono perse certezze e sono nate speranze che spesso rischiano di ridursi a miraggi. Per trasformarli in realtà la strada è ancora lunga. Nell’attesa ogni tentativo è buono, anche puntare sulla riconversione della Bojana Film. E’la Cinecittà bulgara e si trova alle pendici del monte Vitosha, a otto km dal centro di Sofia. Negli anni del socialismo reale gli studi occupavano quasi 3000 persone, e venivano assunti anche gli attori. Oggi a libro paga della New Bojana Film ci sono solo un centinaio di tecnici, ma la struttura sta vivendo un grande rilancio, grazie soprattutto alla crescita delle produzioni internazionali (europee ed americane) a cui vengono affittati set, capannoni e studi. Ci hanno lavorato registi del calibro di Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio e Luc Besson, che per l’occasione hanno portato a Sofia attori del calibro di Catherine Deneuve, Christopher Lambert, Valeria Golino e Daryl Hannah. Frequentando la movida di Sofia potreste incontrare le star hollywoodiane più inaspettate…

Chi è interessato al viaggio a Sofia con Radio Popolare del 7-8-9-10 Giugno per info e dettagli può telefonare allo 02-39241404 dal Lunedì al Venerdì dalle 9.00 alle 16.30 oppure inviare una mail a santambrogio@radiopopolare.it . Chiusura prenotazioni Venerdì 12 Aprile (salvo esaurimento posti)

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Le geografie mediterranee di Napoleone

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Un viaggio, guidati mano nella mano da Saul Stucchi (autore con Federica de Luca de ‘I luoghi di Napoleone’ – Touring Club Editore), che inizia a Mombasiglio, un borgo fra Mondovì e Ceva: un territorio che fece da scenario alle prime fasi della campagna d’Italia dell’allora generale Bonaparte. Qui, oltre al Museo napoleonico che ospita stampe tratte dagli acquarelli, dai disegni e dagli schizzi commissionati dallo stesso generale all’artista embedded Giuseppe Bagetti, scopriamo che Napo alla sera si faceva di ‘minestrina’… Sull’isola di Nelson, nella baia di Abukir, un grande scoglio al largo di Alessandria d’Egitto, abbiamo la conferma che non sempre la morte è una livella. Sull’isola sono sepolti i militari che persero la vita durante l’importante battaglia navale connessa al conflitto fra la Francia rivoluzionaria e la Gran Bretagna: per anni accomunati da una sepoltura ‘promiscua’ oggi hanno un trattamento diverso a seconda della divisa che indossavano. All’isola d’Elba scopriamo che Napoleone amava stare a mollo, ma lo faceva nella vasca della palazzina dove risiedeva, sita nel luogo dove vi erano quattro mulini a vento, opportunamente riempita d’acqua di mare. Scelta originale, come quella che vedeva il Bonaparte dormire raramente nella sua camera da letto della Palazzina dei Mulini: la sua vera reggia era il giardino dove passava ore e ore a dettare ordini, studiare il mare e organizzare una nuova rivincita. Un capitolo tutto suo lo abbiamo dedicato a Maria Giuseppa Rosa de Tascher de la Pagerie, meglio nota come Giuseppina di Beauharnais: vera e propria ‘milf’ ante litteram. In chiusura due dritte su uno dei caffè più pregiati al mondo: quello di sant’Elena. Di cui Napoleone era un fan…

Guida: “I luoghi di Napoleone” di Federica de Luca e Saul Stucchi, Touring Editore – Museo napoleonico di Mombasiglio

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Lisbona, la meticcia

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La Moureria è un quartiere che assomiglia alla lingua portoghese. E’ un universo meticcio, dove piccole strade acciottolate, apparentemente infinite, sfociano in vicoli ciechi, e dove palazzi esteriormente in rovina ospitano complessi abbellimenti a base di azulejos senza tempo. Qui nacque Maria Severa Onofriana, colei che viene identificata come la prima fadista. Una targa su un palazzo del XIX secolo, in Largo Severa, ricorda la sua figura ai passanti. E quasi tutte le sere in una piccola tasquinhas, che non casualmente si chiama Os Amigos da Severa, giovani fadisti fanno rivivere le sue canzoni mentre il pubblico degusta bicchierini di ginginha, il classico liquore portoghese da bere tutto d’un fiato, con o senza ginjia, che è la ciliegia. Oggi ci vive e lavora anche Camilla Watson, una fotografa scozzese. Tra i suoi lavori ce n’è uno dedicato agli anziani habitantes del Beco das Farinhas, un vicolo della Muraria popolato da mini-market pakistani, vecchie osterie e da ristoranti africani. Si chiama Tributo ed è costituito da una serie di serigrafie che sono state incastonate nei muri del Beco das Farinhas, che così è diventato una sorta di museo a cielo aperto. Il bello è che è molto facile incrociare i protagonisti delle fotografie che spesso si prestano a ‘posare’ a fianco del loro ritratto creando così un bizzarro effetto domino. Una ripida ascesa porta in una delle istituzioni culturali di Lisbona: lo Chapitò, un progetto socio-culturale nato circa 30 anni che si auto-definisce “uma retaguarda cultural e uma vanguarda humanista”. E’ nato da una idea di Teresa Ricou, un’artista nota con il nome del personaggio che ha creato, il pagliaccio Tetè. Allo Chapitò conosciamo dei giovani rapper che ci invitano ad andarli a trovare nel loro barrio: Cova da Moura. L’indomani siamo tra le strade di Cova da Moura, scoprendo di essere improvvisamente catapultato in Africa. Anche perché io e Bruno, il fotografo, siamo gli unici bianchi. Sui muri enormi ritratti di Bob Marley e Tupac Shaker. Come in Africa, visto che è un lavoro semplice da fare (in pratica bastano solo un paio di forbici) a Cova de Moura ci sono 31 parrucchieri, con avventori che arrivano da tutta Lisbona per i prezzi estremamente convenienti. Ma ci sono anche 27 ristoranti (rigidamente afro) e molti bar. Se poi ci andate di sabato sera le strade sono piene di bracieri su cui si grigliano spiedini di pollo e frattaglie di maiale. Nei bar improvvisate orchestrine mischiano vecchie coladere importate da Capo Verde con del funky senza tempo. Tirare l’alba, tra un piatto di cachupa (fagioli, miglio e piccoli pezzetti di pesce o di carne) e un bicchiere di succo di tamarindo, cullati da una morna o da un rap creolo, equivale ad avere la conferma definitiva che la Lisbona odierna non è solo fado e baccalà.

Info su LisbonaAssociazione Renovar a MourariaCamilla WatsonChapitòCova da Mourasito Homens da Luta

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Foto di Bruno Zanzottera (Parallelo Zero)

Păh-Tak

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E’ la patria del colpo di sole, un paese così caldo, umido ed esotico da essere definito “l’ascella sudata del Sud-Est asiatico”. Per troppo tempo il Păh-Tak è rimasto isolato dal mondo esterno. Questo paradiso tropicale è stato purtroppo associato a lungo ad atrocità, miseria e massacri (il tutto unito ad un livello molto scarso dei duty-free). Ma per fortuna, oggi è una nazione pacifica e ovunque i cittadini che per anni hanno fatto parte di spietate milizie clandestine vi accoglieranno a braccia aperte (anche solo con uno, nella maggior parte dei casi purtroppo). Con questa puntata Onde Road presenta tutte le informazioni necessarie per programmare un viaggio nella culla dello stiracalzoni e della colite spastica.

Dove alloggiare
Se cercate l’esclusività, il Pãh-Tak offre alberghi sulla costa così lussuosi che il personale viene licenziato ogni giorno solo per garantirne la freschezza.

Gastronomia
L’aggettivo che meglio descrive la cucina patakkese è “esplosiva”, una combinazione saporitissima di peperoncino, aglio e pepe a cui occasionalmente viene aggiunto del cibo.

Attività
Chi visita il Nord del Paese avrà l’opportunità di praticare il rafting lungo alcune delle colate di fango più imponenti del Sudest asiatico.

Shopping
Il Pãh-Tak vanta alcuni dei prodotti contraffatti di miglior qualità al mondo e tutti gli articoli in vendita sono accompagnati da un certificato di non autenticità.

Per un viaggio nel Păh-Tak è indispensabile dotarsi della guida curata da Santo Cilauro, Tom
Gleisner & Rob Sitch: “Păh-Tak”, 2006 Rizzoli.

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Malta

Bow window a La Valletta

Trecento km quadrati e poco più di quattrocentomila anime alla deriva tra Europa ed Africa. Una media di sei ore di sole al giorno in gennaio e una temperature intorno ai 16°C ne fanno una meta ideale anche nei mesi invernali. La rosa dei venti sulle mappe del Mediterraneo l’hanno sempre piazzata qui e qui nel tempo sono passati più o meno tutti. Se l’Union Flag ha sventolato dal 1814 agli anni Sessanta, quando arrivò l’indipendenza, in precedenza avevano sventolato le bandiere di fenici, cartaginesi, romani e bizantini, arabi, normanni e infine il blasone dell’Ordine degli Ospitalieri. Scacciato dalla Terra Santa e poi da Rodi, sopravvisse su queste isole fin quando Napoleone non lo emarginò al ruolo di associazione caritatevole. Oggi i Cavalieri di Malta fanno ancora qualche parata di tanto in tanto, mentre la locale fabbrica di Playmobil, un vanto, smercia migliaia di pupazzetti in plastica con le loro insegne. Malta è unica nel rappresentare l’anello mancante fra lo squallore delle periferie di Beirut, l’architettura coloniale inglese e il barocco siciliano. Con gli stessi colori di Amman, o di Damasco, che raramente si discostano dal beige o dal bianco sporco, e una vegetazione che non riesce mai ad alzare il capo per il troppo sole. Medio Oriente, mischiato a un cattolicesimo di frontiera, abitudini britanniche, e una lingua che è dialetto arabo con una buona dose di vocaboli importati dalla vicina Sicilia. Chi cerca il mare più che le spiagge dell’arcipelago, spesso troppo affollate, deve puntare alle calette, tanto scomode da raggiungere, quanto piacevoli e poco frequentate. Oppure può andare a Gozo, l’ isola in cui Ulisse trascorse ben sette anni con la ninfa Calipso. I luoghi più affascinanti di Malta però sono all’interno delle sue isole, mete estreme nella loro bellezza. Cominciando dalle case di pietra dai bow window in legno, che ricordano l’architettura coloniale dell’India e sopravvivono in aree un tempo troppo povere per partecipare al boom del mattone. Poi ci sono i vicoli della Valletta, certi scorci del villaggio di Naxxar e le strade silenziose di Mdina, la vecchia capitale. Un motivo che da solo vale un viaggio a Malta è incarnato dalla Decollazione di Giovanni Battista, una gigantesca tela del Caravaggio che fa bella mostra di sé nella Cattedrale di San Giovanni, regalando al visitatore una potente riflessione sul dolore umano che accomuna persecutori e vittime.

Link utili:

Ente del Turismo di MaltaInfo sull’arcipelagoFestival ed eventi culturaliMusei, monumenti e siti archeologiciIl sito della capitaleIsola di Gozo

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Viaggio nelle barberie

Il maestro Piscopo da Anatolia

Una incursione in un universo vintage, profumato di brillantina e lozioni d’altri tempi, quando le schedine della sisal servivano a pulire il rasoio dalla schiuma da barba. Lo facciamo oggi che una nuova rivoluzione ha coinvolto chi ogni mattina, davanti allo specchio, litiga con il rasoio per non trasformare il proprio viso in un penoso campo di battaglia. Per loro ora c’è il “sei lame”, sei affilatissime lamette “all in one”, tutte raccolte nel primo e unico al mondo apparecchio con cui ShaveMate – l’azienda fondata da due ragazzoni venuti su dalla Florida, Lou e Peter Tomassetti, ribattezzatisi “The inventor brothers”, i fratelli inventori – ha lanciato la prima guerra mondiale del rasoio. L’obiettivo? In palio c’è un mercato che, solo negli Usa, vale due miliardi e mezzo di dollari, ed è soverchiato dai colossi Gillette e Schick. Ma in gioco c’è anche il futuro di quella scienza maschia che si chiama rasatura e che per un’eternità era rimasta uguale a se stessa: da quando il primo monarca globale, Alessandro Magno, bandì quella barba che poteva diventare una terribile trappola nei corpo a corpo in battaglia fino, al 1904 in cui un certo King C. Gillette, pericolosamente ispirato dal successo dei neonati tappi a corona, primo esempio di prodotto casalingo di massa, non inventò e brevettò il rasoio usa e getta, facendo fortuna con le forniture militari durante la prima guerra mondiale. Da allora, è la corsa al rasoio perfetto. Seguendo le orme di King C. Gillette, The inventor brothers per testare la loro scoperta sono andati dai militari americani, quelli che erano in Iraq. Noi invece ci siamo infilati nel negozio di Antonio, uno dei pochi barbieri attivi sulla piazza di Milano. Aperta dal 1965 la sua barberia è anche un originale museo che ospita più di 200 immagini provenienti dai barbieri di Vietnam, Cuba, Yemen, India, Tibet, Madagascar, Marocco… Una collezione nata quasi per caso che oggi ha il sapore di un primato. Un patrimonio prezioso che racconta di un mestiere davvero senza confini che in alcuni Paesi lontani è oggi come da noi un tempo, senza bottega, ma itinerante al ‘servizio’ del cliente. E a proposito di ‘transumanza’ abbiamo accompagnato i musicisti della Compagnia di canto e musica popolare di Favara da Anatolia, il barbiere curdo di via Mac Mahon, a poche decine di metri da Radio Popolare. E così il maestro Maurizio Piscopo e i suoi musicisti hanno potuto regalare le musiche che accompagnavano i clienti delle barberie siciliane agli immigrati che frequentano Anatolia: “barba, capiddi e mandulinu” in salsa curda…

Le tradizioni musicali dei barbieri siciliani sono raccolte in “Musica dai saloni”, un libro e un cd curati da Gaetano Pennino e Giuseppe Maurizio Piscopo (2008, Casa museo Antonino Uccello). L’ideale è ascoltare il cd leggendo “Il salone di don Nonò” di Andrea Camilleri. Per ‘immergersi’ nel mondo delle barberie sicule guardate le fotografie in b/n di Armando Rotoletti pubblicate nel volume “Barbieri di Sicilia”.

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Ritorno a Liverpool

Un viaggio a Liverpool, quattro anni dopo. Un sacco di cambiamenti, a partire dalla ruota panoramica che 5 anni fa non c’era. La ruota è il simbolo dell’avvenuta rinascita urbana. C’è a Londra (la più grande di tutte), ma anche a Leeds, e poi a Manchester, e qui a Liverpool nell’Albert Dock. Sovrasta il museo dello schiavismo, l’attività economica che la fece grande. Le ruote non portano soldi, ma la dicono lunga sull’idea dei pianificatori inglesi su cosa sia la rinascita urbana: un’idea da giostra, da luna park per bambinoni cresciuti. Anzi, l’idea è ancora più rudimentale: rinascita è costruire un centro commerciale in città, o trasformare il vecchio centro cittadino in un polo commerciale con isole pedonali. E così questa volta ho trovato il LiverpoolOne, che 5 anni fa non c’era. E’ un enorme centro commerciale in pieno centro città, che si stende quasi sulla riva del Mersey: 160 tra negozi e grandi distributori su circa 17 ettari. La società Grosvenor ha investito per questo Mall un miliardo di sterline (1,2 miliardi di euro). Il proprietario di Grosvenor è il Duca di Westminster che, con una fortuna di 6 miliardi di sterline, è il terzo uomo più ricco della Gran Bretagna. Ma la crisi ha colpito anche qui: attorno ai negozi del centro commerciale gli appartamenti di lusso sono ancora sfitti. Migliaia di appartamenti sono vuoti… A proposito di crisi economica la cattedrale protestante di Liverpool ha avuto una grande (???) pensata: sfruttare se stessa. Tanto per cominciare le navate possono diventare una incredibile sala concerti. In cartellone show di musica sacra, ma anche musica classica e concerti di soul music. Si parla ancora un gran bene di una serata omaggio agli artisti dell’etichetta Tamla-Motown e di una strepitosa esibizione di Percy Sledge. Le navate della cattedrale possono essere affittate anche per cene o convention aziendali. Se il cliente cerca qualcosa di più raccolto, nessuna paura. Al piano di sotto c’è la vecchia chiesetta su cui è stata edificata la cattedrale. E’ uno spazio intimo, affascinante e carico di spiritualità. All’occasione può diventare un’ottima VIP area. La cattedrale dispone anche di un caffè e di uno shop. Nel primo pare venga servita una delle migliori minestre della città. Il secondo, vende di tutto. Riproduzioni della cattedrale, memorabilie e cd dei Beatles. Statuine del presepio e tazze per il tè. Copie della bibbia e animaletti di peluche. Lo shop è tappezzato da curiosi manifesti che recitano “Thank god for football”. Colgo l’implicito invito e decido di andare a vedere una partita del Liverpool. Purtroppo ho scelto un fine settimana in cui gioca fuori casa. Poco male. I Reds affrontano lo Stoke, la squadra della città di Stoke On Trent. Un’oretta di distanza da Liverpool. Una partita allo stadio dello Stoke è un’esperienza mistica…

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Merano

Merano, punto d’incrocio tra la Val Venosta, la Val Passiria e la Val d’Adige, è una città double face: architettura tradizionale su una sponda del fiume Passirio, design contemporaneo sull’altra. D’inverno è una meta da cui partire per passeggiate con le ciaspole nel comprensorio sciistico di Merano 2000 situato direttamente sopra la città, oppure dalle parti del monte San Vigilio, un altipiano situato sopra il paese di Lana. E’ anche una buona base per chi vuole castigare il proprio corpo con ai piedi sci e pelli di foca: escursioni di sci alpinismo si possono fare, per esempio, in Val Passiria e in Val d’Ultimo (itinerari che si trovano ad altezze tra 1.200 e 3.700 metri sul livello del mare). Prima di immergersi nella neve è opportuno farsi una idea sulla storia di questa città, capitale della contea tirolese a partire dal XII secolo. Per farlo siamo andati a Castel Tirolo, la residenza avita dei conti di Tirolo che diede il nome alla contea sorta sotto il dominio di Mainardo II, e lì abbiamo incontrato Siegfried de Rachewiltz: storico d’arte, autore, esperto di folclore e nipote di Ezra Pound. Con lui abbiamo scoperto che Merano, ai tempi dell’impero asburgico era una sorta di piccola Sarajevo, dove convivevano austriaci, italiani, russi e una folta comunità ebraica. Tra i frequentatori anche la Principessa Sissi, che alle terme amava bagnarsi nel latte d’asina. Oggi tutti possono emulare Sissi in un’imponente cubo di vetro e acciaio che costituisce il cuore della moderna struttura termale locale, situata lungo la riva meridionale del Passirio. E’ una realtà aliena alla moda che imperversa sulle Alpi, che tende a trasformare le terme in un ‘divertimentificio’. Terme Merano punta su uno slow wellness dove tutto è ‘made in Tirol’: trattamenti a base di mele, d’uva, di siero di latte, di pino mugo, bagni nella lana delle pecore con gli occhiali della val d’Ultimo, nel fieno di erbe aromatiche altoatesine… Originarie delle vallate che circondano Merano anche le merci esposte da “Pur Südtirol”, un mercato ospitato all’interno del Kursaal, l’edificio dalle linee liberty simbolo della città, che propone prodotti regionali di qualità a prezzi onesti e rappresenta anche una vetrina per contadini e produttori locali (pane croccante di segala “Schüttelbrot”, formaggi di montagna, marmellate, aceti di frutta, succhi di mele e d’uva, vini, distillati). Tra questi, uno decisamente originale è Franz Pfeil, un conte vignaiolo che vive a Cermes, in una tenuta a pochi chilometri da Merano che ospita anche un intrigante labirinto vegetale. Il conte ci parla dell’uva e della sua visione ‘mistica’ delle liturgie legate alla produzione del vino: “Non mi limito a produrre materia prima, creo ed elaboro vini con la visione entusiastica e la fantasia di un artista…”

Link utili:

Sito Süd TirolSito di Merano Terme MeranoMercato Pur Süd TirolGiardino Labirinto Kränzel  – Castel Tirolo

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