Glasgow, ovvero ‘con la cultura si può anche mangiare’

GLASGOW, Science Centre

East End di Glasgow. Sgargianti luci al neon che si riflettono sull’asfalto bagnato di Gallowgate Road. Sono le insegne del Barrowland. Dal 1934 sul suo parquet in legno hanno imparato a ballare generazioni di glaswegians. Se ci andate in una serata di roller disco sarete catapultati indietro nel tempo. Un buco spazio-temporale che ingoia anche il Barras Market, il mercato che la domenica si dipana nei piani sottostanti al locale. E’ un paradiso del vintage, uno dei più stravaganti mercati delle pulci al mondo che tracima nelle stanze di vecchi edifici vittoriani, su centinaia di bancarelle e in decine di negozi. Inoltrandosi nell’East End si finisce sui prati del Glasgow Green: il più antico parco esistente al mondo. Considerato da tutti property of the people, è il corrispettivo dello Speaker’s Corner di Londra e molti leader sindacali, politici e membri del parlamento si sono diplomati alla “Glasgow Green University”. Al suo interno ospita il People’s Palace, un museo che racconta la storia della città e dei suoi abitanti. Nelle sue sale vengono messe a confronto due diverse visioni del mondo: quella capitalista e quella operaia. Se il People’s Palace è la casa dei glaswegians, il tempio (per lo meno di quelli cattolici) è il Celtic Park. E’ la casa del Celtic, una delle tre squadre di calcio di Glasgow. Le altre sono i Rangers e il Queen’s Park, entrambe supportate da tifosi protestanti. Dietro la storia di questi team c’è la storia della Scozia, e del suo tribolato rapporto con il Regno Unito. Una storia che aveva fatto di Glasgow una città di cantieri navali e dell’industria pesante. Quella Glasgow non c’è più, al suo posto una città che riconvertendosi è diventata un polo culturale che attira centinaia di migliaia di turisti. E con loro milioni di sterline. Uno spot all’assioma che ‘con la cultura si può anche mangiare’. Per arrivare a questo risultato sono stati ristrutturati storici musei vittoriani, come il Kelvingrove Art Gallery and Museum. E ne sono stati creati di nuovi come il Glasgow Science Centre, un’avveniristica costruzione dove vengono mostrati un’infinità di esperimenti scientifici, e il Riverside Museum, che ospita una collezione eterogenea dedicata alla cultura del trasporto e del viaggio. Ma, essendo da sempre una capitale della musica, Glasgow si è regalata anche nuovi spazi per concerti di star internazionali. La più recente è lo Scottish Hydro Arena Glasgow (SHAG), una struttura circolare in vetro e acciaio, simile ad una gigantesca astronave: un’arena futuristica – targata Norman Foster – in grado di ospitare circa 12.000 spettatori.

Link, info e indirizzi su visitbritain.com e nella sezione Moleskine.

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Valle Isarco

Vipiteno

Un viaggio che inizia in quello che i locali chiamano il ‘Principato di Stufles’, il rione più antico di Bressanone. Già nel 1600 era il passaggio obbligato verso la val Pusteria, attraverso strette vie come via Terzo di Sotto, Angelo Custode e via Frana. Gli abitanti anziani di questo piccolo ‘nucleo’ urbano ricordano con nostalgia i passati giovanili, dalle scorribande nel letto del fiume Isarco alla ricerca del ferro da vendere, con sorprese di pistole e pallottole, le lite con i rivali di oltre ponte, il primo calciobalilla, i profumi che uscivano dalle finestre dei piccoli ristoranti… Ancora oggi Stufles è un agglomerato di vicoli, antichi portoni, negozi e piccoli laboratori. Imponenti ed eleganti sono invece i palazzi del nucleo storico di Vipiteno, un susseguirsi di pittoresche viuzze commerciali e piazzole medievali. Se la storia di Bressanone è strettamente legata a quella del suo principe-vescovo, quella di Vipiteno lo è alla sua collocazione geografica. Infatti, a seconda di come la si guarda, è la prima città del Nord Europa. O l’ultima dell’Europa meridionale. La storia di Vipiteno è stata per secoli legata alle sue miniere, di cui si può sapere tutto visitando le aree museali del Museo Provinciale delle Miniere. Per farci dare un consiglio sulle piste da sci del Monte Cavallo (comprensorio sciistico di Vipiteno) e della Plose (comprensorio sciistico di Bressanone) abbiamo sentito Herbert Plank, il velocista della mitica Valanga Azzurra (vipitenese doc). Tra i suoi consigli la discesa notturna dei 10 km della pista di slittino di Vipiteno, la più lunga d’Italia. Infine, per chiudere con un incontro ravvicinato con la cucina locale, prenotate un tavolo da Fink, un’istituzione della ristorazione alto-atesina giunta ormai alla terza generazione.

Info: eisacktal.comvipiteno.combrixen.org

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La valle incantata

valle dei mocheni

“Valle Incantata” è il nome che lo scrittore austriaco Robert Musil diede a una ènclave germanofona a 20 km da Trento. Per gli italiani è la Valle dei Mocheni, Fersental in tedesco. Ma per i mocheni è Bersntol (come sono arrivati qui ce lo racconta Gianni, del B&B La Marianna, una delle attività affiliate all’associazione delle piccole imprese rurali per l’ospite). Dei mocheni ci eravamo già occupati in un Onde Road di un paio di anni fa. Ne riparliamo perché dallo scorso novembre è in circolazione “La prima neve”, un film di Andrea Segre ambientato in valle. La prima neve è quella che tutti in valle aspettano. Quella che trasforma i colori, le forme, i contorni. Dani, il protagonista della storia raccontata da Segre, non ha mai visto la neve: originario del Togo, è arrivato in Italia in fuga dalla guerra in Libia. È in valle c’è arrivato come ospite di una casa accoglienza di Pergine. Per le strane analogie del destino così come alcuni migranti di oggi per vivere fanno gli ambulanti, anche gli antichi mocheni, migranti di ieri, stagionalmente praticavano il commercio ambulante (kromer). Cosa vendevano ce lo racconta Sara, giovane volontaria del Bersntoler Kulturinstitut (Istituto Culturale Mocheno), che ci porta a visitare il Filzerhof, una casa rurale mòchena appartenuta a un certo Filzmoser, che abitò il maso verso la fine del ‘600. Altra tappa imperdibile è il Museo Pietra Viva di S.Orsola Terme: un viaggio guidato dai gemelli Pallaoro alla scoperta del mondo dei minerali.

Visita: valledeimochenipirlo.it

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Geografie musicali genovesi

via del campo

La Villa del Principe è la più vasta e sontuosa dimora nobiliare della città di Genova, la residenza dell’unico Principe che Genova abbia mai avuto. Una villa di dimensioni anormali rispetto alla Genova del cinquecento. Ed è proprio nella casa di Andrea Doria che Giuseppe Verdi affittò delle camere per farne la sua dimora genovese e qui partorì alcune arie immortali dell’Otello e del Falstaff. A pochi metri dalla villa c’è la sede della Comunità di San Benedetto al Porto, quella di don Gallo. L’epicentro genovese del lavoro della comunità è nella città vecchia, quella cantata da De Andrè. E’ un mondo fatto di vicoli, intricati e stretti, fiancheggiati da palazzi imponenti di sei, sette piani. Genova è una città “verticale”. Nel 1600 i visitatori restavano colpiti per l’altezza di questi palazzi, al tempo veri e propri grattacieli perché in Europa non esistevano città eguali e costruzioni così alte le abitavano solo i Re. In via del Campo 29rosso, dove una volta c’era lo storico negozio ‘Musica Gianni Tasso’, è attivo uno spazio museale dedicato ai musicisti della cosiddetta scuola genovese: Bindi, Lauzi, Paoli, Tenco, De Andrè… Molto più luciferino di tutti loro messi assieme fu Niccolò Paganini, un artista la cui biografia pesca a piene mani da quelle di Robert Johnson e Jerry Lee Lewis. Il Cannone, il suo violino, è conservato nel Palazzo Municipale e la gestione di questo un incredibile tesoro, di proprietà dei genovesi, è una delle scommesse su cui potrebbe ruotare la vita culturale della città. Una scommessa già vinta invece è quella del Museo del Mare e delle Migrazioni, uno spazio che tra l’altro ha saputo coniugare il mare con le storie degli italiani che l’hanno solcato per cercare fortune altrove e con le storie di chi oggi lo solca cercando la fortuna in Italia. Un viaggio, quello tra le geografie musicali di Genova, che può terminare a Boccadasse, un piccolo borgo marinaro diventato quartiere urbano. Stretto attorno alla sua piccola baia a bocca d’azë (“bocca d’asino”), è stato fondato intorno all’anno mille da pescatori spagnoli che vi sbarcarono per rifugiarsi da una tempesta. A marcare il territorio è il belvedere della chiesa di Sant’Antonio, ricavata da una cappella costruita dai pescatori agli inizi del XVII secolo. E’ su un tetto di Boccadasse che viveva la famosa gatta di Gino Paoli. Voi invece potete scendere imboccando una ripida scaletta, raggiungendo così una storica palestra. I suoi tapis roulant, piazzati davanti a una vetrata a strapiombo sul mare, consentono di correre sulle onde durante il tramonto. Mentre le cyclette da spinning, piazzate a ridosso degli scogli, garantiscono un insolito surf ciclistico. Non resta che pedalare con una cuffietta che spara a palla le canzoni di Fabrizio…

Link, info e indirizzi nella sezione Moleskine

Ai confini del mondo: l’Ospizio del Gran San Bernardo

cani san bernardo

Con il treno si valica il Sempione e, meno di un’ora dopo, si sbarca a Martigny, una tranquilla cittadina con una storia millenaria. A trasformarla in una piccola capitale dell’arte ci pensa un tempio della cultura costruito su un antico santuario romano: la Fondazione Gianadda. Reperti gallo-romani, quadri di Cèzanne e Van Gogh, sculture di Mirò e Dubuffet, uno spazio dedicato alle invenzioni di Leonardo da Vinci, un museo dell’automobile, festival e concerti… una proposta culturale semplicemente bulimica. Dopo le bellezze dell’arte quelle della natura. La meta è il Museo Chiens du San Bernard, uno spazio magico, in grado di intenerire anche il mostro di Marcinelle. Al piano terra cani giganteschi scivolano sul pavimento mentre deambulano seguiti da cucciolate che sembrano appena uscite da un cartone animato di Walt Disney. Sono i cani che hanno contribuito a rendere famoso l’Ospizio del Gran San Bernardo. Raggiungerlo è un’avventura che merita di essere vissuta. In trenta minuti scarsi, con un trenino di quelli da cartolina elvetica, si raggiunge Orsières. Con un bus e altri 15 minuti si arriva a Bourg Saint Pierre, un villaggio medioevale formatosi attorno a un convento con un ospizio del IX secolo. Nel borgo c’è una casa dove si è fermato Napoleone il 20 maggio del 1800, prima di salire con le sue truppe sul passo. E c’è la targa con cui, in anni relativamente recenti, François Mitterrand ha pensato di poter saldare i debiti secolari del Bonaparte con la comunità locale. Da qui, armati di sci con le pelli di foca, inizia l’ascesa verso l’ospizio. La storia di questo rifugio si perde nei tempi. Inizia verso la metà dell’anno mille con San Bernardo da Mentone, arcidiacono di Aosta. ” Hic Christus adoratur et pascitur” (Qui Cristo è adorato e nutrito), questo il motto inciso sulle pietre del rifugio. Dopo ogni bufera, si scendeva sia verso l’Italia che verso la Svizzera per trovare pellegrini o viaggiatori dispersi nella tormenta. Li si assisteva e rifocillava. L’ospizio è stato e continua ad essere aperto a tutti, 365 giorni all’anno. Oggi è frequentato da escursionisti che amano lo sci fuori pista e da pellegrini che seguono la via Francigena. Ma ci arrivano anche persone di qualsiasi fede e religione che, oltre a un letto e un brodo caldo, vogliono provare l’esperienza di vivere dentro a un luogo dello spirito. In estate, quando ci si può arrivare in macchina, l’alloggiamento è riservato agli escursionisti a piedi o in bicicletta. D’inverno non c’è problema, ci si può arrivare solo con gli sci ai piedi.

Info: vallese.ch e altri indirizzi nella sezione Moleskine

Contrabbandieri e ‘burlanda’ in Val d’Intelvi

Valle d'Intelvi

Erbonne. 940 metri sul livello del mare. Pendici che precipitano a capofitto nelle acque del lago di Como.Una frazione di 9 abitanti del comune di San Fedele Intelvi, nella porzione più alta della Val Breggia, la stessa che per gli svizzeri è la valle di Muggio. Una valle inquieta, mazziniana e valdese, anarchica e contrabbandiera prima di rassegnarsi a un docile tramonto. E’ uno degli scenari che fanno da sfondo alle storie che Cecco Bellosi racconta in “Con i piedi nell’acqua – Il lago e le sue storie” (2013, Milieu). Ed è proprio ad Erbonne che Cecco ha convocato, una mattina dello scorso luglio, qualche (ex) contrabbandiere e qualche (ex) finanziere. Gente che per anni, su quelle irte montagne, ha ‘giocato’ a guardie e ladri. Contrabbandieri, sfrosatori, spalloni che, tra l’inizio del secolo breve e i primi lampi del Sessantotto, furono protagonisti di imprese a metà tra l’epico e il picaresco. Irregolari che imperversavano in anni in anni in cui il lago non era ancora la meta dei nuovi ricchi. “Sullo scorcio di fine secolo” scrive Bellosi “si è passati velocemente, insinuando qualche debole traccia di cronaca rosa sui muri screpolati nei secoli, dallo stilista italiano all’attore americano al petroliere russo arricchito alla borsa nera della morte del comunismo: c’è chi il bandito lo interpreta al cinema, e chi lo fa per professione nella vita di tutti i giorni». Mondo tosto, quello del lago e dei laghée. Al cui centro c’è il mestiere dello sfrosatore: un lavoro duro che consiste nel passare la frontiera per portare farina, caffè, tabacchi, zucchero, dadi, selvaggina. Un’attività dove regnano regole ferree, rituali, comportamenti che non ammettono deroghe o distrazioni. Dove ci sono gerarchie dettate dalla capacità individuale di saper trovare ogni volta un passaggio ignoto ai burlanda (i finanzieri) e alla tribù (la polizia tributaria), di saper organizzare e tenere insieme una colonna: da cui le leggendarie vite e imprese dei capi del contrabbando…

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Viaggio in Dolomiti

Dolomiti friulane

Un viaggio per quasi 1200 chilometri tra valli, altipiani, canyon e alte pareti. Il viaggio attraverso tutti i sistemi dolomitici, di un antropologo –Annibale Salsa– e un narratore –Marco Albino Ferrari– che partendo da Trento in una tiepida mattina di sole, hanno effettuato un lungo scavo sotto la superficie delle “montagne più famose del monde”. Sono le montagne più frequentate del mondo, le più fotografate, le più famose. E, dunque, anche le più piegate -tra souvenir e visioni da cartolina- agli stereotipi dell’immaginario urbano. In compagnia di Marco e dell’antropologo (che raccontano questo viaggio sul numero di novembre-dicembre della rivista Meridiani Montagne) passiamo in rassegna la varia umanità che vive in quelle valli, i problemi, le aspirazioni e gli antichi retaggi che resistono addirittura al medioevo. Un viaggio oltre la rappresentazione da cartolina a cui siamo abituati. Le vacche della Val Rendina, le erbe dei boschi, il santuario di Pietralba e Villa Welsperg. Un viaggio tra spopolamento e neoruralismo, dove ho inserito una tappa a Corte di Cadore, il più straordinario esempio di architettura sociale italiana partorito dalla mente di Enrico Mattei che in meno di dieci anni (1954-1963), grazie al lavoro dell’architetto Gellner realizzò un villaggio in grado di garantire un colloquio tra edilizia e natura. Un villaggio che oggi rischia di diventare uno dei tanti borghi fantasma che abitano le nostre montagne.

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Langhe

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A cavallo delle province di Cuneo e Asti, le Langhe sono una regione storica piemontese che visitiamo in compagnia del cantautore Gianmaria Testa e dell’antropologo Annibale Salsa. Langhe è sinonimo di natura, cultura, vino e tartufi. Giovanni di mestiere fa il trifolè (trifolaio). La vita del cercatore di tartufo, il tesoro delle Langhe, è dura. Magari non come quella dei cercatori d’oro del Klondike, ma nel suo piccolo… Si lavora di notte, al buio per evitare che qualcuno ti segua e scopra dove crescono i tuoi tartufi. Gelosie e leggende, l’università dei cani da tartufo e le frotte di turisti di mezzo mondo che calano sulle Langhe per l’annuale edizione della Fiera del Tartufo bianco d’Alba, uno dei più importanti eventi enogastronomici e culturali della provincia italiana. Sofia e Andrea, ci raccontano come vive un diciassettenne in un paesino delle Langhe e ci fanno visitare il castello di Roddi, le cui stanza furono utilizzate dai partigiani durante la resistenza. Da queste parti sono state scritte importanti pagine della lotta di liberazione contro i nazi-fascisti. Alcune molto drammatiche. A una manciata di chilometri da Roddi, solo per fare un esempio, al Bricco di Neive 14 ulivi evidenziano il punto dove quattro partigiani persero la vita nella battaglia contro i soldati della Repubblica sociale italiana.

langheroero.itfieradeltartufo.org – comune.roddi.cn.it

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New Orleans

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“…guardai attraverso il parabrezza e vidi alberi caduti dappertutto, fili della corrente e linee telefoniche che penzolavano dai pali, semafori non funzionanti, edifici residenziali sventrati, danneggiati a tal punto che i proprietari non si erano preoccupati di coprire le finestre sfondate con il compensato”  (‘L’urlo del vento’ di James Lee Burke, 2008 Fanucci editore)

Guardando New Orleans annegare sotto l’acqua dell’uragano Katrina qualcuno ha pensato che The Big Easy, il luogo dove tutto è possibile, dove ogni cosa è facile e, soprattutto, eccitante, scomparisse per sempre. Non è accaduto. A otto anni di distanza da Katrina, è oggi in piena rinascita: boom edilizio, rilancio del turismo, nuove start up tecnologiche e società di servizi. Pian piano New Orleans è diventata un polo sociale d’attrazione: vita culturale, negozi, un ceto medio che tiene bene e non è stato ancora proletarizzato, come è prassi in molte città americane. Ma non è tutto oro quello che luccica: se la città è mediamente più benestante, non è perché la povertà è stata sconfitta. È perché la gran parte dei 400mila disperati che otto anni fa se ne sono andati da New Orleans sono proprio i poveri della città che con l’uragano hanno perso anche il poco che avevano. In compenso la Big Easy, nel cuore dell’Upper 9th Ward (storicamente il ‘posto della musica’), si è dotata del Musicians’ Village, un quartiere che ospita anche una struttura rivolta ai bambini che ci abitano: il Centro per la Musica, una scuola per formare i musicisti di domani. New Orleans è una città piena di fantasmi. Lo sanno gli operatori turistici che propongono ‘cemetery tour’ e scampagnate a base di vampiri e voodoo. Per pochi dollari numerose agenzie propongono un tour a piedi per le strade infestate di fantasmi del French Quarter. Si può così scoprire se e perché il Convento delle Orsoline è infestato dai vampiri, si verrà a sapere cosa è successo alla bellissima Octoroon Mistres e si imparerà perché bisogna temere il Macellaio Matto. Ma soprattutto si visiterà la casa di Madame Lalaurie, una delle donne dell’800 più rispettate di New Orleans, che aveva il ‘vizietto’ di torturare i suoi schiavi. Tra i fantasmi che si aggirano per New Orleans c’è anche quello di Sister Gertrude, una figura che -seppur vivesse in una delle città più eccentriche del mondo- non passava per strada inosservata. Per più di vent’anni Sorella Gertrude ha bazzicato nel French Quarter vestita con la divisa da infermiera: la sua missione era guarire i peccatori, usando come medicina la parola di Dio. Ritta in un angolo di qualche strada, urlava e cantava i suoi Gospel con un megafono. Batteva il tempo con un tamburino, incrementando il ritmo sino a raggiungere una sorta di estasi sufica. Di lei ci resta una unica registrazione, Let’s Make a Record e i i suoi quadri. Lavori quest’ultimi che nel 2004 sono stati raccolti nel Museo di Arte e Folclore Americano a New York. Alla morte Gertrude ebbe cristiana sepoltura in un cimitero vicino all’aeroporto, una location che ne facilitava il volo in direzione del suo mondo migliore. Verso quel cielo che lei amava dipingere pieno di angeli e spesso solcato da un aereo pilotato da un Gesù Cristo aviatore diretto verso il Paradiso…

louisianatravel.com

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Monte Bianco e il rock delle montagne

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Se nel 18° secolo Horace-Bénédict de Saussure percorse per la prima volta l’itinerario intorno al Monte Bianco per esplorare scientificamente il massiccio, i sette musicisti de L’Orage (una band valdostana a cavallo tra musica tradizionale e rock ) agli albori del 21° secolo hanno voluto essere i primi a percorrere un segmento dell’Alta Via del Bianco portando sulle spalle i propri strumenti musicali. La prima tappa è il rifugio Bonatti. Per raggiungerlo si imbocca la Val Ferret dopo essersi lasciati alle spalle Entrèves. Il rifugio e’ situato sulla sinistra orografica della valle, a quota 2025 metri. L’ascesa è rapida e faticosa, specie se si decide di lasciare il sentiero battuto e si punta su improbabili scorciatoie. Io ho sulle spalle il mio zainetto. I musicisti il loro, ma anche il proprio strumento musicale. Chi una chitarra, chi una percussione, chi ‘addirittura’ un organetto. All’arrivo al rifugio, dopo tre caraffe di birra e una mezza dozzina di salsicce alla barbabietola dal colore improbabile, esce una chitarra. Poi un basso nuovo di pacca, che si è fatto la salita, avvolto in un sacco a pelo. Si aggiunge un cahon e un bongo. Quando arriva anche il violino gli escursionisti giapponesi, reduci dal Tour del Monte Bianco, cacciano la macchina fotografica. Il repertorio del mini set, tra un bicchiere e l’altro, include qualche De Andrè d’annata, un classico di Dylan e tante materiale originale de L’Orage. Dopo il concerto la cena. E dopo la cena ancora musica. Per la notte qualcuno dorme nel rifugio, altri nella tenda montata a 200 mt dal Bonatti. Prima di infilarmi nel sacco a pelo, dopo l’ennesimo bicchierino di genepy, c’è il tempo di scambiare due parole con la tenutario del Bonatti, la signora Mara, che ricorda le frequentazioni di Walter nel rifugio che porta il suo nome. Al risveglio ci aspetta uno spettacolo mozzafiato: non c’è una nuvola in cielo nemmeno a pagarla e la vista sul massiccio del Bianco è strepitosa. Ci aspetta il rifugio Bertone, nei pressi del piccolo vilaggio di Le Pré. Camminando agevolmente su verdi pascoli e passando di alpeggio in alpeggio, la meta è facilmente raggiungibile in un paio d’ore. Ma questa strada è troppo facile, gli Orage decidono di puntare su un percorso più tosto. Cinque ore abbondanti di cammino, e un susseguirsi di ripide salite, discese ardite e altrettante risalite. Roba che il buon Battisti (uno che di discese ardite e di risalite se ne intendeva) nemmeno si immaginava. L’arrivo, affamati, al rifugio Bertone è dopo le 14. Pranzo e, a seguire, nuovo concerto. Ricevendo l’ennesimo conforma che a volte la discesa è peggio della salita si raggiunge la valle, dove una macchina ci porta al Prè de Pascal, un ristorante che prepara dei funghi fritti da urlo. A seguire: ennesimo concerto de L’Orage…

lorage.itcourmayeurmontblanc.itrifugiobonatti.itrifugiobertone.itpredepascal.com – lestisserands.it

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Innsbruck

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A Innsbruck, da Milano, ci si arriva comodamente. Tutta autostrada, si passa il Brennero e ci siamo. Diciamo 4 ore senza superare i limiti di velocità e con un paio di tappe agli autogrill per caffè e gratta e vinci. Da cittadina di montagna al confine tra Austria, Germania e Italia si è trasformata in un centro di respiro internazionale, a tal punto che è bazzicata da archistar di mezzo mondo. Un paio di esempi: il Kaufhaus Tyrol, sei piani per fondamentalisti dello shopping firmati dall’archi-star inglese David Chipperfield, e l’impianto di risalita targato Zaha Hadid (l’unica donna vincitrice del premio Pritzker, la champions dell’architettura), che raccorda il centro di Innsbruck con alcune delle sue montagne. Oltre alle archistar del presente a Innsbruck hanno lavorato anche quelle del passato. Tra le opere più intriganti il cenotafio dell’imperatore Massimiliano I. Ospitato nella Chiesa di Corte (la ‘Chiesa degli uomini neri’ per i nativi) è circondato da 28 statue di bronzo di grandezza sovrannaturale. Ingombranti e pesantissime. Rappresentano membri della famiglia dell’imperatore Massimiliano, ma anche antenati, reali e alcuni suoi miti. Non c’è Cristiano Ronaldo, ma c’è -per esempio- Goffredo di Buglione, una delle star (cristiane) della Prima crociata. C’è anche una nostra concittadina: Biancamaria Sforza. Una storia, la sua, che ci conferma che anche i ricchi piangono. O hanno motivi per farlo… I cervi, che vivono nei boschi che circondano Innsbruck, non piangono, ma bramiscono. In autunno è la stagione degli amori e chi è un po’ guardone dentro (o semplicemente ama gli spettacoli della natura) nelle serate autunnali può inoltrarsi nella foresta e farsi sorprendere da rumori, profumi, giochi di luci e ombre. Con un po’ di fortuna e avvicinandosi silenziosamente, potrà ammirare splendidi cervi maschio scesi a valle per conquistare le femmine… Chi preferisce la luce del sole può raggiungere l’altopiano di Mieming, a soli 35 minuti di auto da Innsbruck. È il posto ideale per chi ama le escursioni e il Nordic Walking: oltre 100 km di sentieri che attraversano foreste, prati e campi aperti. Se invece si ama lo sci la meta non possono che essere le piste sul ghiacciaio dello Stubai, dove praticamente si scia tutto l’anno. 26 impianti di risalita e 35 discese di diversi livelli di difficoltà. La nuova BIG Family Funslope Eisjoch, una pista con tracciato di cunette, ostacoli e salti. Lo Snowpark Moreboards Stubai Zoo. Un Freeride Checkpoint presso la stazione a valle per chi vuole sciare fuori pista senza rischi. E, dettaglio non trascurabile, proposte di soggiorno compatibile con i nostri portafogli…

tirol.cominnsbruck.infostubai.at

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Salento in autunno

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“Una bambina, non riuscendo a pronunciare la parola Signora, la chiamava Ora. Ella non poteva mettere in difficoltà quella bambina, e così volle essere chiamata Ora da tutte le persone che la circondavano. Da allora Lucia de Viti de Marco, figlia del famoso economista Antonio e di Etta Dunham Lathrop, fu per tutti Ora”. E’ l’incipit di quanto riportato su un cartello che campeggia davanti all’ingresso della casa di Ora, una delle strutture di proprietà della Fondazione Le Costantine, un centro di attività agricola, artigianale e pedagogica: un’oasi di pace immersa tra uliveti e macchia mediterranea, a 3 km da Otranto, che riunisce in una sola realtà la tessitura, l’agricoltura biodinamica, l’ospitalità anche per disabili e la formazione. E’ un buon indirizzo per trascorrere qualche giorno nel Salento, là dove lo stivale tocca il fondo. Un’alternativa è offerta dalla Masseria Panareo, una struttura dalla storia secolare che vanta una posizione straordinaria sulla litoranea Otranto-S. Cesarea Terme. Entrambe le strutture sono nel cuore del Salento. Campi di grano, coltivazioni di tabacco perse tra ulivi secolari. Muri a secco, pozzi, colombaie e frantoi. Case di calce e palazzi di tufo. Paesi limati dal vento e dalla luce. Per coglierne l’essenza bisogna visitare la Casa-museo della civiltà contadina di Calimera. E’ una vera e propria casa a corte, dove ogni stanza, allestita seguendo un ordine tematico, ospita oggetti sempre presenti nelle abitazioni salentine tradizionali. Questo è uno scampolo di meridione d’Italia che è già oriente. Più a oriente di Praga e di Vienna. Testimonial di questa realtà gli affreschi bizantini di Carpignano, nelle cripte delle SS. Cristina e Marina. Tra i tanti monumenti salentini ci soffermiamo sull’Abbazia di San Nicola di Casole, a pochi chilometri da Otranto. Mentre per le bellezze naturali abbiamo scelto il Parco di Porto Selvaggio, un luogo per il quale non dobbiamo ringraziare solo il buon dio, ma anche Renata Fonte. Assessore alla pubblica istruzione e cultura al comune di Nardò, Renata fu ammazzata la notte del 31 marzo 1984 davanti a casa. Fu il primo delitto politico-mafioso della Puglia. L’unica sua colpa: aver combattuto contro una variante al piano regolatore che avrebbe permesso di costruire e speculare proprio a Porto Selvaggio.

  • Da leggere:

Bizantini in terra d’Otranto” di Cesare Daquino (2000, Capone Editore)
Lotta civile” di Antonella Mascali (2009, Chiarelettere, collana Reverse)

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Catalunya: non solo Barcellona

Cala Santa  Cristina

Non solo Barcellona, la Catalunya è molto di più. Ma prima di immergersi nella Catalunya più profonda vi offriamo un piccolo bignami per imparare qualche rudimento della lingua catalana. Una lingua osteggiata dal franchismo a tal punto che oggi i giovani la parlano meglio dei loro genitori (con Franco era vietato usarla). La prima meta è un insieme di sotterranei lunghi chilometri e chilometri. Pareti di mattoni e soffitti ad arco o a volta. Nel silenzio e nella penombra milioni di bottiglie riposano qui anni e anni. Sono cantine che appartengono alle stesse famiglie da secoli e dove a fine Ottocento sono nate le prime bollicine di Spagna. E’ la regione vinicola del Penedès, a pochi chilometri da Barcellona, una zona che coincide con quella della produzione del mitico Cava, un vino dal grande carattere che si ottiene secondo il metodo tradizionale della rifermentazione in bottiglia. A Sant Sadurní d’Anoia, la capitale del Cava, la tappa d’obbligo è al Centre d’Interpretació del Cava, la cui sede è in una distilleria di vini e bevande alcoliche costruita nel 1814. Qui si possono conoscere le origini del Cava, la storia delle vigne, i protagonisti dell’industria vitivinicola, ma si può anche effettuare un’inaspettata immersione nell’appassionante mondo della cioccolata (un’esperienza per cui bisogna ringraziare l’Espai Xocolata Simon Coll). Un universo che ormai non interessa solo donne e bambini. E un mondo che interessa sempre a più persone è quello della ferrovia. Per conoscerlo meglio tassativa una tappa al Museu del Ferrocarril di Vilanòva I Geltrù , una cittadina distante da Barcellona circa cinquanta chilometri. Una distanza facilmente colmabile grazie ai treni della linea due della RENFE Cercanias , la rete di trasporti suburbani delle ferrovie spagnole . Un viaggio, quello dalla stazione di Barcelona – Sants a Vilanòva che dura quaranta minuti. Un percorso che si svolge interamente parallelo alla costa … La sede del museo è stata ricavata all’interno del vecchio deposito locomotive del 1881 e chiuso all’esercizio nel 1967. , dopo il 1972 l’Asociaciòn de Amigos de Ferrocarril di Barcellona riesce ad ottenere l’intera area per l’istituzione del museo anche se per l’inaugurazione ufficiale si dovrà attendere fino al 1990. L’entrata del museo si trova sul piazzale esterno della stazione e l’ingresso è riconoscibile dalla cabina della locomotiva RENFE 2005 T , titolare del Talgo II “ Virgen del Carmen” che spunta da un androne della palazzina che un tempo ospitava gli uffici del deposito locomotive… E’ la porta d’accesso a un paradiso per chi da piccolo giocava con i trenini…

Costabrava.org – Patronat de Turisme de Sant Sadurní d’Anoia – Espai Xocolata Simon Coll

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Le geografie del pugilato

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Dove ci sono i rifiuti del mondo. La boxe è lì: unico avanzo di dignità. Sotto i viadotti di San Paolo, Brasile, nel retro degli slum di Nairobi, Kenya, in qualche misero cortile con i panni stesi di Yangon, Birmania. Ci sono sport solari, che hanno bisogno di luce, panorami, orizzonti. E poi c’è la boxe: che si arrangia ovunque, che scava trincee per proteggere i sogni. Come l’edera sale, ricopre, nasconde. Sotto i viadotti di San Paolo, nella città più grande del Sudamerica, ci sono copertoni appesi al posto dei sacchi da pugilato e assi dei camion riciclicati come bilancieri. Una delle tante palestre improvvisate a sud del mondo. La boxe è una crepa che non se ne va, la trovi quasi sempre in vecchi edifici sopravvissuti ai terremoti, sotto ai ponti delle autostrade, nel retro di qualche negozio più morto che vivo. La boxe è notte, oscurità, mura scrostate, rare finestre, sottoscala, luoghi abbandonati, vernice rovinata. Le belle palestre sono quelle brutte: i ring senza imbottiture, gli imbuti per la saliva incrostati, con i tubi che li collegano ai secchi di plastica, quasi fossero reperti di archeologia industriale. Il nostro viaggio inizia a Cuba, dove tutto è archeologia: dalle vecchie macchine statunitensi al regime socialista. Ci andiamo per ricordare il cubano Teofilo Stevenson (scomparso proprio un anno fa), uno che scelse il ring non per soldi ma per amore. Con un salto spazio temporale piombiamo nella Germania nazista per parlare di ‘Rukeli’ Trollmann, il pugile zingaro che sfidò il Terzo Reich. Nuova tappa a Livorno, la città di Lenny Bottai: pugile livornese antagonista, per cui la boxe è soprattutto lealtà. Un uomo di altri tempi. E a proposito di tempi andati terminiamo il nostro viaggio a Milano. Sergio Giuntini, docente di storia sociale dello sport, ci racconta la Milano che fu capitale della boxe. I match nei retro delle latterie e gli eroi di un’epopea ormai ingiallita. Una Milano che piace a Renato di Donato, il pugile di via Padova, conosciuto anche come il “chirurgo” di Segrate, dottore in Scienza, Tecnica e Didattica dello Sport. Campione italiano dei pesi superleggeri sino a ieri. I suoi sogni sono due: riconquistare al più presto la corona di campione italiano e tornare a far rivivere la Milano raccontata dal prof. Giuntini…

  • Buttati giù, zingaro – La storia di Johann Trollmann e Tull Harde”, di Roger Repplinger. Edizioni UPRE ROMA, Milano, 2013
  • Il video della canzone ‘Non vedo l’ora’ del Teatro degli Orrori su Lenny Bottai, pugile antagonista di Livorno
  • Il video della canzone di Pacifico dedicata a Ottavio Tazzi, allenatore di ben 8 campioni del mondo di pugilato

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La Spezia, tra mare e muro

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Il Golfo della Spezia è stato soprannominato “Golfo dei Poeti” dal commediografo Sem Benelli intorno agli anni Dieci del Novecento. Per ricordare che in questo posto hanno dimorato grandi poeti e scrittori della tradizione romantica come Byron, D. H. Lawrence, Mary Shelley e Percy Shelley. Andando da un capo all’altro di questa mezzaluna marina, da Lerici a Porto Venere, si possono scorgere tipi di paesaggio molto diversi tra loro, fatti di casette colorate accastate una sull’altra o di zone il cui accesso è rigorosamente vietato, perché proprietà della Marina Militare. C’è il porto commerciale, ci sono imbarcazioni moderne e altre decisamente più datate, ci sono le isolette della Palmaria, del Tino e del Tinetto, praticamente deserte. Ma a Spezia ci sono anche altre realtà: ad esempio quella dei “Murati Vivi” di Marola. Questa borgata marinata ha perso l’accesso al mare più di un secolo fa e non è riuscita a recuperarlo: i possessori di un’imbarcazione hanno un lasciapassare per il molo, ma gli altri? A parlarci dei Murati Vivi e della goliardica incursione nelle zone off-limits riuscita grazie ad un abile travestimento da turisti in crociera è stato Fabio Baccini dell’associazione “Murati Vivi” di Marola. Un’altra voce di questo viaggio a La Spezia è poi quella di Armando Napoletano, un giornalista sportivo che ha raccontato la storia dello scudetto vinto dallo Spezia nel 1944. All’Arena Civica di Milano c’è una targa che ricorda questa impresa calcistica avvenuta tra mille difficoltà. Anche il riconoscimento ufficiale di questa vittoria ha avuto un percorso accidentato… A proposito di guerra e di Resistenza: a un quarto d’ora di treno da Spezia c’è Sarzana. E da quelle parti, attraverso un percorso tutto curve, si arriva a Fosdinovo. Qui c’è il Museo audiovisivo della Resistenza, una ex-colonia per bambini costruita nel 1948 dai Partigiani; il materiale a disposizione è a dir poco avveniristico: testimonianze audio-video, mappe e filmati sono interattivi e multimediali. E al Museo vengono ogni anno tante persone anche per seguire il festival “Fino al cuore della Rivolta”, organizzato dall’associazione “Archivi della Resistenza” e articolato in due momenti (per la festa della Liberazione e durante l’estate) fatti di incontri, esibizioni teatrali, dibattiti e musica. Le voci che ci hanno raccontato del museo sono quelle di Simona Mussini e Alessio Giannanti.

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