Il “Mani” di Patrick Leigh Fermor

“Delle tre “dita” del Peloponneso, la penisola del Mani è il medio. La zona più ostile e selvaggia della penisola è l’esatta antitesi della Grecia classica. Paesaggi da Highlands scozzesi, abitanti che si proclamano fieri discendenti degli spartani e uno skyline di case-torri che svettano nel cielo come sentinelle di pietra. Pochi turisti, rocce e arbusti al posto della solita macchia mediterranea, scogliere a picco sul mare, spiagge di ciottoli, solo fichi ed ulivi eroici. Da Gythion fino a Capo Tenaro, il mitologico ingresso dell’oltretomba posto nel punto più a sud dell’Europa continentale, una strada a zig-zag ricama l’arida catena montuosa del Taigeto. Un territorio per veri collezionisti di finis terrae”. Così scrive la giornalista Marta Ghelma (martaghelma.com) in un reportage prezioso per questa trasmissione. Tra gli evocati “collezionisti di finis terrae” va annoverato sicuramente  Sir Patrick Leigh Fermor, scrittore e viaggiatore britannico. Trentatreenne, nell’ estate del 1948, in compagnia della moglie Joan, intraprese il primo di una serie di viaggi nella regione del Mani. Ne scaturirà uno dei migliori libri di viaggio del Novecento, celebrato da decenni nel mondo anglosassone, che in Italia è stato pubblicato da Adelphi (“Mani – Viaggi nel Peloponneso“, pagg. 390, 24 euro). Un libro che da queste parti è più gettonato della guida Lonely Planet. Fermor conosceva bene la Grecia, anche prima di questa serie di viaggi. Negli anni dell’occupazione nazista aveva addirittura compiuto gesta così audaci e rocambolesche da ispirare nel dopoguerra due o tre film. Fu infatti tra gli organizzatori della resistenza cretese, partecipando a una lunga serie di sabotaggi, culminati nel rapimento del comandante tedesco sull’isola, generale Heinrich Kreipe, nell’ aprile ’44. Alessandro Vergari, guida ambientale ed escursionista, che l’ha conosciuto nella villa vicino a Kardamyli dove Fermor visse a lungo, ci racconta l’emozione di questo incontro. Una villa dove spesso fu ospite lo scrittore Bruce Chatwin, grande amico di Fermor. Quando l’autore di “In Patagonia” e de “Il vicerè di Ouidah” morì, fu proprio Fermor a seppellirne le ceneri ai piedi di un ulivo in un anonimo angolo delle pendici del Taigeto. Marino Periotto, viaggiatore e titolare del blog alternativanomade.it, ci aiuta a capire come fare a rintracciare il luogo della sepoltura…

 

CAST: il castello delle storie di Montagna

Il Parco nazionale dello Stelvio e il Parco delle Orobie Valtellinesi (ma anche molte altre valli e foreste della Valtellina) sono splendide montagne da vivere e da raccontare. E sono proprio ‘racconti’ ad essere ‘esposti’ al Cast, acronimo di Castello delle Storie di Montagna. E’ un nuovo museo interattivo dedicato alla città di Sondrio e alle sue vette, inaugurato lo scorso 6 ottobre. Il nome ・dovuto al fatto che il museo ha la sua sede in due ali del Castello Masegra, che risale al periodo medievale del capoluogo lombardo. A dispetto della sua antica cornice, il Cast si presenta al pubblico con l’allestimento all’avanguardia progettato dal collettivo milanese Studio Azzurro  e con la curatela di un grande narratore di viaggi e montagne come Marco Albino Ferrari. “Il castello è di epoca medievale e finalmente vediamo i frutti di un lavoro che è iniziato nel 2013 – ha spiegato Michele Diasio, assessore al Turismo e alla Promozione territoriale del Comune di Sondrio -. Oggi siamo fiduciosi nella capacità del Cast di soddisfare la passione degli appassionati e avvicinare anche i più giovani attraverso installazioni multimediali ed esperienze interattive, coniugando storia e tecnologia”.
L’allestimento del CAST è articolato su tre piani. Il percorso di visita non è obbligato, ma può essere personalizzato a seconda che il visitatore si senta più arrampicatore o esploratore dell’ambiente. Per esempio il secondo livello, situato al primo piano, racconta l’alpinismo e con esso il desiderio dell’uomo di spingersi in alta montagna attraverso un viaggio vertiginoso sulle Alpi, sui colossi himalaiani e del Karakorum, sui picchi della Patagonia, tra i ghiacci dell’Alaska e dell’Antartide. Una sorta di scalata che culmina in un tributo a tre icone della storia dell’alpinismo: Alfonso Vinci, Carlo Mauri e Walter Bonatti. Il terzo livello, allestito al secondo piano, è dedicato all’ambiente naturale, alla sua conservazione e alle aree protette, mentre un itinerario virtuale fra le diverse specie e gli habitat delle montagne è reso possibile grazie alla sala del castello circondata da finestre che offrono una veduta d’insieme sulla valle.
Castel Masegra non è l’unica magione storica in questo segmento di arco alpino e per il loro recupero / conservazione è fondamentale il ruolo del FAI, basti pensare a Castel Grumello, un maniero che deve il suo nome al dosso roccioso (grumo) sul quale è stato edificato. Un ruolo, quello del FAI – Fondo Ambiente Italiano che si estende anche su realtà ambientali apparentemente marginali, come gli alpeggi Talamona e Pedroria.

INFORMAZIONI E BIGLIETTI
Il Cast  è visitabile da giovedì a domenica dalle 10 alle 18 (biglietto d’ingresso 7 euro; 5 euro ridotto; 2 euro per ragazzi dai 14 ai 25 anni). Per sapere di più sul museo e per i contatti: http://www.visitasondrio.it/site/home/vivi/cast-a-castello-masegra.html

Lignano Sabbiadoro

Le spiagge delle località balneari del Friuli Venezia Giulia ricevono ogni anno le prestigiose Bandiere Verdi dei pediatri e le prestigiose Bandiere Blu assegnate dalla Foundation for Environmental Education. In linea con questi riconoscimenti, la spiaggia di Lignano Sabbiadoro ha avviato un cambio di paradigma strategico verso la sostenibilità. Dalla prossima estate diventerà più ecosostenibili grazie ad alcuni stabilimenti balneari alimentati energeticamente con pannelli solari, al progetto “plastic free” che punta all’eliminazione della plastica monouso a favore di quella biodegradabile, alle aree baby beach smoke free e all’utilizzo di una speciale pagaia dotata di uncino per la pulizia del mare durante le escursioni. Ernest Hemingway la definì “la Florida d’Europa“, per la finissima sabbia color oro naturale. Al netto dei suoi 8 chilometri di spiaggia, Lignano Sabbiadoro vanta molti altri assi nella manica che la rendono una meta meno mainstream – e più autentica – di quello che si potrebbe immaginare. Scopritela in bici, in autunno o in primavera. E, se lo avete, portatevi il vostro cane (anche d’estate: gli amici a quattro zampe hanno a disposizione spiagge a loro dedicate con aree agility, docce, servizio veterinario e toelettatura). Lignano è attraversata dalla Litoranea Veneta: una “idrovia”, una via d’acqua realizzata dalla Serenissima Repubblica di Venezia al suo apogeo. Grazie ad un sistema di canali artificiali e sfruttando i corsi d’acqua (fiume Sile, Piave, Livenza, Lemene, Tagliamento, Stella e Isonzo) e le lagune (Venezia, Caorle, Marano e Grado) già esistenti, la Litoranea Veneta collega la Laguna di Venezia con la foce del fiume Isonzo. Si tratta, quindi, di un meraviglioso percorso, di grande interesse storico e naturalistico, lungo ben 127 chilometri. L’idrovia, a tutt’oggi navigabile con canoe, barche a remi e piccole imbarcazioni da diporto, consente di vedere, da una prospettiva unica, una serie variegata ed imprevedibile di scenari. A proposito di imbarcazioni Corinna Agostoni, autrice di questo reportage, ha incontrato il figlio di Elio Zaccarato, l’inventore del pedalò. Nel 1952 partorì quello a remi, per poi arrivare poco dopo alla realizzazione del primo prototipo del pedalò a pedali. Fu un successo senza precedenti. Ben presto non riuscì a soddisfare le richieste che provenivano non solo dalla riviera friulana. In seguito, la ditta romagnola Amadori-Biagi ne prese uno e ne fece costruire un gran numero in Carnia. Erano gli anni d’oro, gli anni in cui sulla spiaggia lignanese arrivavano i migliori calciatori del tempo, da Corso a Rivera. Gli anni in cui il simbolo dell’estate italiana divenne il suo pattino. Unico rammarico degli Zaccarato: “Non aver mai depositato il brevetto dell’invenzione”…

https://oltreilbalcone.com/2019/10/06/lignano-cosa-vedere/

Le brughiere delle Cime Tempestose

Ci sono 140 anni di distanza, ma la musicista inglese Kate Bush e la scrittrice Emily Brontë sono nate lo stesso giorno e mese (il 30 luglio). Sarà casuale, ma all’anagrafe la cantante è registrata con il nome Catherine, lo stesso dell’eroina di Emily Brontë. Ma ad accomunarle è soprattutto uno spirito ribelle e il fatto di essere entrambe autrici di Cime Tempestose, un romanzo e una canzone come mai nessuno li aveva scritti prima. Il loro è un legame indissolubile. Paola de Angelis asserisce che “la canzone pop del 1978 sta al romanzo (1847) più di qualsiasi adattamento cinematografico: in quattro minuti e mezzo condensa l’amore viscerale e soprannaturale che avvince Cathy e Heathcliff nell’arco di quattrocento pagine”. E ha ragione. Come Emily, che viveva nel mondo immaginario di Gondal, Kate ha sempre avuto una fantasia fervida. Il suo tratto distintivo è l’originalità. Di lei Tricky ha scritto: “Di alcune grandi cantanti riconosci le influenze, ma Kate Bush non ha ne padre ne madre”. Ma ha sicuramente una sorella maggiore, suppur di 140 anni più vecchia. A regalarci un approfondimento su Emily ci pensano Selene Chilla e Serena Di Battista, due appassionate di letteratura anglosassone e delle sorelle Brontë. Due innamorate dei paesaggi inglesi, soprattutto delle brughiere e di quel magico mondo immerso in un’incantata atmosfera dove il tempo sembra essersi fermato. Un mondo fondamentale per Emily, a tal punto che sua sorella Charlotte ebbe a dichiarare che “Emily era innamorata della brughiera; ai suoi occhi negli angoli più cupi della landa sbocciavano i più vividi fiori, la sua mente sapeva trasformare in un Eden la più tetra valletta affossata sul livido fianco di una collina. Nella squallida solitudine trovava le più rare delizie; e certamente, non ultima, anzi, la più amata, la libertà. La libertà era l’aria che Emily respirava…”. Un’aria di cui la Chilla e la Di Battista sono andate a caccia, visitando i luoghi dell’infanzia delle sorelle Brontë e quelli che hanno ispirato i loro immortali romanzi. Oltre a inventarsi un fortunato blog italo inglese The Sister’ Room, le due amiche hanno scritto il libro “E sognai di Cime Tempestose. Viaggio nei luoghi del romanzo di Emily Brontë (Edizioni Alcheringa). Il loro obiettivo è quello di accompagnare il lettore attraverso i luoghi dell’Inghilterra che hanno ispirato Emily Brontë nella stesura del suo capolavoro.

Contadini in Alto Adige

Che per un giovane trovarsi un lavoro non sia cosa facile è un dato di fatto. Storicamente le nostre montagne si sono spopolate perché erano tra i luoghi più difficili dove trovare un lavoro. Negli ultimi anni si sta registrando un processo inverso: sono numerosi i casi di giovani che decidono di investire studi e fatica per cercare di impiantare una attività nella propria terra. Spesso decidendo di sporcarsi le mani proprio con quella terra, restando così anche fisicamente legati al proprio territorio. Una scelta dove dove antico e moderno convivono tra tradizione e innovazione. Abbiamo fatto un piccolo tour in Alto Adige dove abbiamo registrato alcune storie. La prima tappa è a Barbiano, borgo famoso per le cascate del rio Ganda, per il suo campanile pendente e per le tre cappelle gotiche di Bagni Trechiese. Al maso Aspinger , abbiamo incontrato Harald Gasser, un giovane contadino che ha deciso di ridare valore a verdure ormai rare recuperando i sapori autentici della tradizione altoatesina. Nel 2001 Harald iniziò la sua avventura con un campo di 15m² e con appena 180 semi coltivò tipologie di frutta e verdura del passato. Oggi, in armonia con la natura, crescono su una superficie di 5000 m² più di 600 varietà di frutta e ortaggi locali ed esotici, così come varietà rare quasi dimenticate che restituiscono i sapori più antichi del territorio altoatesino. A Collalbo, uno dei borghi di un paradiso escursionistico poco distante da Bolzano chiamato Altopiano del Renon, abbiamo incontrato Stefan Rottensteiner del maso Oberweidacherhof, allevatore di bovini giapponesi Wagyu. Per diverse generazioni mucche da latte e vitelli d’allevamento sono stati la principale attività del maso Oberweidacherhof. Qualche anno fa però qualcosa è cambiato, Stefan ha dato voce alla sua voglia di innovare e ampliare la propria attività dedicandosi all’allevamento dei pregiati bovini Wagyu. Alla tenuta vitivinicola CEO di Solornoil vigneron Dietrich Ceolan ci ha introdotto alle sue uve, da cui ricava ben sette vini caratteristici della zona. Invece ad Aldino, sull’altopiano del monte Regolo, nell’antico maso Hof im Thal, Andreas Kalser e Josef Obkircher hanno recuperato un vecchio fienile e lo hanno riprogettato per creare le condizioni ideali alla coltivazione biologica di funghi pregiati. La sfida è iniziata nel 2017 e oggi i funghi crescono con spontaneità e semplicità durante tutto l’anno, in particolare due qualità davvero uniche per il territorio altoatesino: gli shiitake, originari della Cina e del Giappone, e i cardoncelli, tipici delle zone mediterranee. L’ultima tappa è stata ad Anterivo, in Val di Fiemme, un borgo immerso nell’area del Parco Naturale Monte Corno. Qui Hartmann Varesco del maso Kürbishof ci ha introdotto ai segreti del caffè di lupino. Ricavato dal seme dell’omonima pianta, oggi è un’alternativa alla nota bevanda. In passato il caffè di lupini permetteva anche ai più poveri di realizzare un piccolo guadagno, era un caffè molto amaro, a causa della lunga tostatura e veniva quindi consumato miscelato (fino al 20%) con l’orzo. Il desiderio di guardare al passato ha portato cinque agricoltori, tra cui Hartmann, a coltivare questa pianta dalle straordinarie proprietà: con essa infatti si produce non solo caffè, ma anche birra, cioccolato, grappa e persino gustosi formaggi.

www.idm-suetirol.com

www.sudtirol.info

Minorca: un’isola da scoprire senza fretta

 

Scordatevi Maiorca, la sorella maggiore. Minorca è tutta un’altra cosa (non a caso dal 1993 è Riserva della Biosfera dall’Unesco). Con 700 chilometri quadrati di estensione (un quinto di Maiorca), la più settentrionale delle Baleari è un concentrato di sorprese in grado di stupire anche il viaggiatore più navigato. Tanto che nel raggio di pochi chilometri si passa dall’Inghilterra vittoriana del XVIII secolo a un angolo sperduto del Nordafrica, da un paesaggio dolcemente normanno all’asprezza della pietra che si incontra all’interno della Sardegna. E’ invece molto più difficile incontrare la “movida” mondana e rumorosa che imperversa a Ibiza e non è nemmeno la destinazione delle vacanze tutto compreso. In compenso che sia di sabbia, ghiaia o rocce ogni spiaggia dell’isola si affaccia su acque cristalline. Bastano anche pochi minuti di cammino per incontrare calette di purissima bellezza come ne sono rimaste poche nel Mediterraneo. A cominciare dalla riserva naturale Albufera di “Es Grau”. E’ una immensa laguna naturale che comprende sistemi dunari ed isolotti: si trova a Nord-Est dell’isola, estendendosi per circa 2 kilometri ed occupandone una superficie di oltre 5 ettari. E’ un autentico paradiso per gli amanti dell’ornitologia, perché in inverno si è arrivati a contare fino a più di undicimila uccelli acquatici di quasi un centinaio di specie diverse. In una lunga chiacchierata Marti Escudero, direttore del parco, ci racconta la sua storia a partire dalle lotte popolari condotte dal GOB, un movimento nato nel 1977 con la mission (mai tradita) di promuovere la difesa dei valori ambientali, l’equilibrio tra le attività umane e la conservazione della natura. Il vino che si produce all’interno del parco è una delle eccellenze eno-gastronomiche dell’isola. Il gin, eredità inglese; un formaggio a latte crudo; gli insaccati, i dolci tipici (tra cui il mitico coca bamba) e la regina della cucina balearica: l’aragosta. Sono solo alcune delle eccellenze dell’isola. Un viaggio del gusto nell’entroterra minorchino, in cerca di produttori doc e ristoranti gourmet è un altro valido motivo per un viaggio a Minorca. E si scoprirà anche, con un po’ sorpresa, che è qui che è nata la maionese. E che da queste parti la “pomada” non è un prodotto farmaceutico, ma un ottimo cocktail…

 

Viaggio nelle Alpi

 

In occasione dell’uscita del numero 100 della rivista Meridiani Montagne il suo direttore scientifico Marco Albino Ferrari, in compagnia dell’antropologo Annibale
Salsa, è partito per un viaggio nelle Alpi. Un viaggio nell’immaginario mutevole delle Alpi, con i suoi stereotipi e le sue rappresentazioni mediate dal tempo. Un viaggio non in accordo alla filastrocca memotecnica “ma-con-gran-pena-le-reca-giù”
(Marittime, Cozie, Graie, Pennine, Lepontine, Retiche, Dolomiti, Giulie), ma seguendo la più naturale linea eliodromica. Da Est a Ovest, seguendo il percorso del sole dall’alba al tramonto. Dall’altopiano del Carso a La Turbie: duemila chilometri a zig zag. Un susseguirsi di incontri inattesi: donne, uomini, animali, immaginari apparentemente lontani tra loro, eppure attraversati da un filo che tiene tutto.
Oltre a Marco, e al suo ‘fido’ antropologo, in questa puntata di Onde Road sono intervenuti il geografo e camminatore (nonché garante internazionale di Mountain Wilderness) Franco Michieli che ci ha parlato dello stato di salute dei Parchi alpini. E Irene Borgna, titolare di un dottorato di ricerca in Antropologia alpina, che ci ha parlato del controverso processo di ripopolamento (umano, animale e vegetale) che si sta vivendo sulle Alpi. A proposito di ‘ripopolamento’ Sofia (26 anni, milanese, pittrice, scultrice e maestra di sci) ci ha raccontano della scelta sua e di Mario (27 anni, madrileno, liutaio, violinista ed arrampicatore) di trasferirsi nell’Alta Val Tanaro
per riaprire (e viverci tutto l’anno) il Rifugio Quarzina: un eremo alpino che dai suoi 1350 m. d’altezza regala uno sguardo che arriva sino al mare…

Rifugio Quarzina, nell’omonima frazione di Ormea
Telefono 0171.182.2009, cellulare 339.1978652
Facebook: @rifugioquarzina

Bretagna: una ‘strana’ crociera

 

Il 22 e il 23 giugno scorso si è svolta la 36° edizione della crociera di Pen Bron dal porto di La Turballe a quello di Arzal, in Bretagna. Circa 6 ore di navigazione. La peculiarità di questa manifestazione è che delle più di 1.000 persone imbarcate 200 erano disabili, ognuna assistita da una accompagnatrice o da un accompagnatore, provenienti da diversi istituti di Francia oltre a coloro non ospedalizzati.
L’idea nasce 36 anni fa dalla passione per la vela del dr. François Moutet, allora direttore del centro di riabilitazione di Pen Bron. Unire il mondo della vela, dei marinai, con quello dei disabili.
L’intuizione di Françoise Moutet poggia su due forti convinzioni: la prima, che possiamo definire etica, afferma che le persone disabili hanno diritto ad un loro reale posto nella società e che i medici e tutto il personale sanitario hanno il dovere di creare le migliori condizioni umane e sanitarie perché possano raggiungere questo obiettivo. La seconda, altrettanto potente, che possiamo definire “medico-professionale”, è sintetizzata nell’intervista, riportata alla fine della trasmissione: “tutti noi invecchiamo e un giorno saremo anche noi disabili, quindi più creiamo dei legami sociali e dei modi di vita solidali più penso che migliorerà la qualità di vita di tutti”.
La crociera diventa quindi una forma di terapia: due giorni su barche “normali” cioè non adattate, impone ai disabili e agli abili di verificare: ai primi le proprie capacità motorie o meglio la ricerca del limite che ha sempre come esito un nuovo limite e, ai secondi, di agire sempre in stretta relazione con l’altro.
Il dr. Patric ha raccontato una storia commovente ed entusiasmante e chiude il suo racconto con la magia e il messaggio che viene dalla “Pen Bron”: vivere insieme nello stesso spazio facendo le stesse cose porta le persone a scoprire risorse e capacità, conoscenze e sensibilità speciali e insospettabili.

www.croisiere-penbron.com

 

 

Estate sull’Alpe di Siusi

D’estate il sole sembra avere una particolare predilezione per l’Alpe di Siusi, il più grande alpeggio d’Europa. Un vero e proprio regalo per escursionisti, ciclisti e amanti della montagna in ogni suo aspetto. Le proposte sono molteplici, a partire dal Running Park Alpe di Siusi: 20 tracciati circolari ben bilanciati e segnalati con distanze e difficoltà differenti con una lunghezza totale pari a 180 km. Per i cultori del pedale tra Val Gardena e Alpe di Siusi si snodano numerosi percorsi per mountain bike, raccolti insieme ai dati del tour e ai roadbook sul portale http://mtb-dolomites.com. In alternativa si può sperimentare il “Tour dei rifugi Alpe di Siusi“, un viaggio alla scoperta di baite e malghe che lungo il percorso offrono ottime pietanze altoatesine. Chi invece ama farsi guidare alla scoperta della flora e della fauna, degli aspetti geologici e socio-culturali delle Dolomiti può invece partecipare alle escursioni guidate al Parco Naturale dello Sciliar-Catinaccio , mentre chi predilige itinerari tematici, in solitaria o con esperti conoscitori del luogo, trova sull’Alpe di Siusi tour notturni, gite tra i fiori e passeggiate in compagnia di una delle streghe che popolano le leggende fiorite sullo Sciliar (leggende in cui si narra che il massiccio era il luogo di incontro delle streghe, alcune malefiche ed altre buone, come la strega Marta, che cura le persone grazie alle erbe di montagna). Tra tutte queste opzioni Corinna ha scelto di raccontarci la sua esplorazione dell’Alpe a cavallo di una e-bike
noleggiata da Gasko , che a Siusi mette a disposizione mountain bike elettriche, proponendo anche dei tour guidati (170 euro per 3/4 persone, bici incluse). Per una camminata con il cane Corinna ha deciso di salire in quota con la cabinovia di Siusi (il costo è di 18 euro a persona, i quattro zampe viaggiano gratuitamente ma è richiesta la museruola) e da qui imboccare il Sentiero Hans e Paula Steger che permette di ammirare il paesaggio dell’Alpe, snodandosi tra pascoli e prati in fiore, con uno stupendo panorama del Sassolungo e del Sassopiatto. Per un approfondimento sulle erbe Corinna ha raggiunto il maso Pflegerhof , il primo a coltivare erbe biologiche in Alto Adige. Qui ci sono oltre 80 diversi tipi di piante, poi raccolte, essiccate e trasformate in tisane, condimenti, cosmetici e cuscini di erbe. Infine, per una sosta ristoratrice, la dritta è di puntare Malga Gostner, dove Franz Mulser gestisce un caseificio dove ogni giorno lavora 140 litri di latte, producendo yogurt, formaggi e burro…

https://www.suedtirol.info/it

https://oltreilbalcone.com/

 

 

Alpi Orobie

Le Alpi Orobie sono una catena montuosa della Lombardia che si sviluppa per 75 km, nettamente demarcata tra il lago di Como a ovest, il profondo solco della Valtellina a nord e quello della Valcamonica a est. La catena culmina nel Pizzo di Coca (3052 m), al limite tra le province di Sondrio e di Bergamo. I circa 70.000 ettari del Parco delle Orobie bergamasche rappresentano una delle più estese aree protette ad elevata naturalità della Lombardia. Il Parco comprende gran parte del versante meridionale delle Orobie, con imponenti rilievi montuosi che si stagliano fino a oltre 3.000 metri di altitudine ed estese vallate percorse dai fiumi Brembo, Serio e Dezzo, che solcano rispettivamente le Valli Brembana, Seriana e di Scalve; le numerose valli laterali regalano scenari sorprendenti e talora incontaminati. Il territorio è assai vario: su queste montagne si trovano infatti estesi boschi, praterie di vario tipo che ospitano flora e fauna di elevatissimo interesse, rupi e ghiaioni pure popolati da specie rare e talora endemiche. Se in inverno rappresentano un ottimo spunto per tutti gli sportivi amanti della neve, le Orobie, durante la bella stagione, permettono invece di avventurarsi alla volta dei suoi sentieri segnalati che conducono in cima alle sue vette, luogo ideale per gli amanti dell’escursionismo pronti ad immergersi nelle zone più selvagge dove, tra laghi, torrenti e cascate, si possono fare incontri ravvicinati con marmotte, stambecchi, camosci ed aquile. Uno degli itinerari più intriganti, come ci racconta Beno, alpinista e ‘indigeno’ dello Orobie, è il Pizzo di Scotes (2978 mt). Per altezza è solo la quinta cima di questa catena, ma è anche la più interessante in quanto a panorama glaciale. Dalla sommità di questa elegante piramide tronca si domina sia il più esteso ghiacciaio delle Alpi Orobie, quello del Lupo, sia quello che per la pittoresca crepacciata ne è stato eletto a simbolo, ovvero la Vedretta di Porola. Inoltre le montagne alle spalle di Bergamo, con le loro rupi, cascate e guglie – come ci conferma la biologa e naturalista Valentina Scaglia – sanno regalare sorprendenti angoli selvaggi. Addentrarsi al loro interno vuol dire compiere un viaggio nel passato, tra dolomie e calcari scolpiti nel tempo in forme irreali. E furono questi scampoli di territorio selvaggio ad offrire al mitico Pacì Paciana un habitat sicuro e immune alle retate della polizia. Per i valligiani il Paci’ (al secolo Vincenzo Pennacchia), da loro ribattezzo “ol padru’ dèla val brembana”, è il simbolo della giustizia, un paladino degli oppressi. Per altri invece era un bandito crudele e spregiudicato. A inizio Ottocento aveva eletto la Val Brembana a scenario delle sue scorrerie, e la sua figura è stata consegnata ai posteri ammantata di mistero. Una storia la sua nella quale i confini tra realtà e leggenda si confondono, alimentando un mito che oggi trova espressione in diversi ambiti artistici…

 

Nervi: la riviera di Genova

 

Nervi è uno scampolo di Genova, nella parte più orientale della città e si affaccia su una scogliera lungo la quale si snoda una romantica passeggiata di due km intitolata ad Anita Garibaldi.
Le alture a ridosso del mare garantiscono a Nervi un clima particolarmente gradevole, che la rese meta di villeggiatura di tur
isti facoltosi, provenienti soprattutto dal Nord-Est Europa e dalla Russia, per svernare nei periodi più freddi e curare la tubercolosi, grazie all’aria di mare. A cavallo dei secoli XVII-XVIII-XIX anche la nobiltà genovese e la borghesia scelsero Nervi come zona residenziale, facendo edificare magnifiche ville. A testimonianza della Belle Époque resta anche viale delle Palme con i suoi edifici in stile Liberty. E’ il salotto verde ed elegante di Genova. I Parchi di Nervi, a cui si accede sia dalla passeggiata che dal centro cittadino, occupano una superficie di 92000 metri quadri tra la via Aurelia e il mare e ospitano un centinaio di specie botaniche, tra cui palme e cedri; inoltre ci sono 5 alberi di interesse monumentale, un magnifico roseto (restaurato nel 2012 e suddiviso in aree che raggruppano rose antiche, moderne e da concorso, vanta la presenza di oltre 200 varietà di piante) e alcuni musei, allestiti dentro a ville storiche, oggi di proprietà comunale . La prima villa che si incontra partendo dal centro città è Villa Gropallo: ristrutturata alla metà dell’800 dal marchese Gropallo come residenza di campagna, ha ospitato personalità del calibro di Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse. Oggi è sede della Biblioteca Brocchi e della Stazione dei Carabinieri di Nervi. Proseguendo verso est, superato un piccolo ponte di collegamento, si raggiunge Villa Saluzzo Serra. Il complesso, ceduto nel 1927 al Comune, dal 1928 ospita la Galleria d’Arte Moderna della città. La terza villa è Villa Grimaldi Fassio: acquistata nel 1956 dall’armatore Ernesto Fassio è stata l’ultima ad entrare tra le proprietà del Comune. Oggi ospita le pregiate Raccolte Frugone, con sculture e dipinti di diversi artisti italiani ed europei. Quest’estate il Parco sarà la cornice del Festiva di Nervi 2019.

www.visitgenoa.it

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Musicisti, pittori, preti e comunisti nella Bassa Parmense

Il murale che campeggia su un muretto del giardino di una casa della periferia di Gualtieri, un borgo a ridosso della riva destra del Po,  è di un anonimo street artist. E’ un ritratto di Antonio Ligabue, che in quella casa per qualche anno ci ha vissuto e lavorato. Di proprietà della famiglia Caleffi, che lo aveva ospitato, da 15 anni  è stata trasformata in un museo dove si possono ripercorrere gli itinerari della vita umana e artistica del grande pittore attraverso alcuni oggetti che gli sono appartenuti, documenti, riproduzioni delle sue opere, alcuni quadri autentici. E piccoli segreti sul lavoro di Ligabue, come gli strani ingredienti che usava per ottenere gli splendidi colori dei suoi quadri, tra cui elementi organici come l’urina del toro o la cacca di piccione. 12 km a est di Gualtieri c’è Novellara, il cui sindaco è la figlia di Beppe Carletti, front man dei Nomadi che in una verace intervista ci spiega come mai questo scampolo di Romagna ha dato i natali a uno stuolo di musicisti (da Ligabue a Vasco Rossi, da Pierangelo Bertoli a Iva Zanicchi, senza dimenticare Luciano Pavarotti). A Roncole Verdi, il borgo dove è nato Giuseppe Verdi, l’ex ristorante Guareschi, gestito per trent’anni dall’omonima famiglia, nel 1995 è stato trasformato in Casa Guareschi, un enclave dedicata al mondo raccontato da Giovannino Guareschi, l’inventore della saga di Peppone e Don Camillo. Gestito dal figlio Alberto lo spazio è una sorta di enorme baule dei ricordi dove sono conservate tutte le tracce possibili, materiali e immateriali, lasciate dall’autore. Trentadue grandi pannelli, illustrati da fotografie e disegni, raccontano la vita dello scrittore e una vecchia bicicletta, una Dei del 1940, evidenzia il mezzo di trasporto con cui fece per il “Corriere” quel viaggio sul Po da cui nacque l’idea dei libri ambientati in questi territori, di cui qui sono raccolte una quarantina di edizioni straniere, compresa una islandese rilegata in pelle di foca. Il paese di Peppone e Don Camillo è Brescello, nel cuore della Bassa reggiana a ridosso dell’argine maestro del Po. E’ la capitale del “mondo piccolo” dello scrittore Giovanni Guareschi: la location scelta per girare i film tratti dalle pagine dei suoi libri, pellicole che presentavano un vero e proprio spaccato della vita emiliana del dopoguerra, quando gli animi erano ancora accesi, l’asprezza della guerra presente nella vita delle persone e le notizie si sapevano sempre in ritardo. In via Giosué Carducci, c’è l’abitazione che durante le riprese è stata utilizzata come la Casa di Peppone, con il famoso balcone da cui il sindaco mostra a tutti i cittadini il figlio appena nato, gridando “Compagni, un altro compagno!“.  E nella chiesa di Santa Maria nascente c’è il famoso crocefisso con cui dialogava il parroco. Un crocefisso originale perché la testa del Cristo è intercambiabile: si può infatti sfilare ed inserirne un’altra, così da poter inclinare la sua testa verso destra o verso sinistra a seconda della ripresa del film. Tutti questi paesi hanno ottime trattorie con piatti che sanno esaltare la storica cucina locale, ma se si vuole qualcosa di originale bisogna prenotare un tavolo al Ristorante Al Bambù. Gestito da Massimo Spigaroli, chef stellato locale, e da Rocco Stabellini, è la gemma della ristorazione del Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci, straordinario parco culturale con il più grande labirinto al mondo di bambù. La base dei menù è la cucina tipica del Parmense e dell’Italia in generale, con numerosi spunti originali, dati dall’impiego in cucina della principale materia prima locale…l bambù.

 

Bassa parmense: principi e culatelli, fantasmi e bergamini sikh

Quando si ferma davanti al ritratto di Cassandra Marinoni, una delle numerose opere che impreziosiscono la sua residenza, il Principe sorride. Il Principe è Diofebo VI, ultimo discendente dei Meli Lupi. La sua residenza è la Rocca di Soragna, uno dei numerosi manieri medioevali che caratterizzano la province di Parma e Piacenza. “Cassandra Marinoni” ci racconta il principe “è una mia antenata vissuta nel sedicesimo secolo. Era la moglie del marchese Diofebo II Meli Lupi e venne assassinata dal cognato Giulio Anguissola nel 1573. Da allora, il suo spirito vaga per le stanze della Rocca e per tutti i miei familiari il suo fantasma è parte integrante della nostra famiglia. Le abbiamo anche dato un nome e da anni per noi è “Donna Cenerina”, perché nelle sue apparizioni il fantasma ha un colore cinereo”. A poche decine di metri dalla Rocca si può entrare in un altro universo: la sinagoga e il Museo Ebraico Fausto Levi. Quest’ultimo, inaugurato nel 1981, è ospitato nelle stanze che sin dal primo ‘600 erano state sede della Comunità israelitica soragnese e custodisce rare testimonianze, oggetti di culto e documenti in grado di raccontare la secolare storia degli ebrei parmensi e piacentini. Il Museo della Civiltà Contadina è invece un omaggio alla cultura contadina di queste terre realizzato dal collezionista Mauro Parizzi che con pazienza ed amore per la sua terra ha raccolto gli oggetti che oggi sono esposti. E’ una sorta di libro aperto sui secoli che hanno preceduto il mondo odierno, le cui ‘pagine’ sono colme di strumenti, macchinari, utensili, arredi e piccoli ma ingegnosi oggetti che erano in uso nelle campagne e tra le pareti delle abitazioni degli scorsi decenni. Il Museo del Culatello e del Masalén (norcini che tramandavano l’arte della corretta macellazione girando da un casolare all’altro con la borsa degli strumenti come dei chirurghi) è invece un vero e proprio gioiello per cervelli golosi, in pratica un interessante percorso tematico, tra audioguide, pannelli e luoghi del gusto, dedicato al simbolo della ricchezza enogastronomica del territorio che comprende anche una sezione sul simbolismo e sull’immagine di una creatura (il maiale) talmente legata all’uomo da essere scelta per evocarne i vizi e le virtù. E’ ospitato a Polesine Parmense in un relais da sogno: l’Antica Corte Pallavicina, gestita da Massimo e Luciano Spigaroli, pronipoti del mezzadro del podere Piantador, allora di proprietà di Giuseppe Verdi. Pochi km e si raggiunge Zibello, una cittadina che sta ai salumi emiliani come Nashville sta al country a stelle e strisce. E’ qui che, da sempre, viene prodotto il miglior culatello che ci sia in circolazione. Provare, pre credere, quello che con le sue mani esperte fa Rino Parenti e viene poi commercializzato dal figlio Giulio nella Boutique delle Carni e dei salumi. L’altro ‘tesoro’ di questo territorio è il formaggio grana, che è un’eccellenza del made in Italy anche se oggi a farlo sono prevalentemente casari di origine sikh…

https://www.castellidelducato.it/

Coltivare e custodire

Coltivare e Custodire” è il titolo di un appuntamento ideato dalle Aziende Vitivinicole Ceretto e dallUniversità di Scienze Gastronomiche di Pollenzo che per la sua seconda edizione è stato declinato al femminile. Protagoniste le Donne in agricoltura, di ogni età e provenienza, dedite alla produzione di cibo sostenibile. Dalla coltivazione, alla trasformazione, alla creazione, alla divulgazione: a Pollenzo e alla Tenuta Monsordo Bernardina ad Alba per due giorni (1 e 2 giugno) si sono celebrati incontri, conversazioni, eventi teatrali, scambi e contaminazioni culinarie.
Coltivare e Custodire è anche un riconoscimento, a livello internazionale, in difesa dell’ambiente, dell’ecologia e dell’agricoltura sostenibile. Questi i valori fondativi di una manifestazione che per due giorni ha visto studenti, cuoche, coltivatrici, vignaiole, produttrici giornaliste alternarsi e confrontarsi esplorando il tema 2019 portando la propria esperienza e il proprio agire come testimonianza di un modo concreto di lavorare la terra, rispettandola e diffondendo una diversa cultura dell’attività agricola, culinaria, gastronomica.
Carlo Petrini, fondatore di Slow Food Internazionale lo ha definito “Un evento che testimonia
come dall’incontro con attori virtuosi del territorio possano nascere sinergie vincenti, dimostrando ancora una volta la potenza dell’enogastronomia, che unisce e crea ponti. Il tema di quest’anno poi è di una straordinaria importanza poichè le donne in agricoltura, da sempre custodi silenziose di saperi gastronomici, hanno un ruolo chiave per il futuro del cibo e del pianeta tutto. E’ giunto il momento di parlarne e di dare loro voce.”
Nella puntata odierna di Onde Road abbiamo proposto le voci di alcune delle protagoniste di questa convention. Tra loro la cubana Vilda R. Figueroa Frade, impegnata da decenni assieme al marito nel Progetto di conservazione degli Alimenti, dei condimenti e delle Erbe Medicinali, incentrato sulla diffusione di una corretta cultura alimentare a Cuba, sottolineando l’importanza della conservazione degli alimenti, della sicurezza e della sovranità alimentare. Maria Canabal, giornalista, autrice e presidente di Parabere Forum. Roberta Ceretto, presidente responsabile comunicazione dell’Azienda vitivinicola Ceretto. Bela Gil, chef, nutrizionista, attivista alimentare, autrice e attualmente studentessa del master of Gastronomy dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. E il trio di gastronome alumne UNISG Julia Crijnen, Laura Wüthrich e Lisa Fellmann del progetto di agricoltura urbana Stadsgroenteboer di Amsterdam.

 

Dall’Istria Slovena a Caporetto

Tra il Carso e l’Adriatico si sviluppa un’area straordinaria: l’Istria slovena, un microcosmo affacciato sul Mediterraneo che ha saputo conservare la propria preziosa eredità storico-culturale, rileggendola con uno sguardo internazionale e aperto sul futuro. Le influenze della presenza veneziana si fondono con echi mitteleuropei, aria di mare, vini sublimi e prezzi accessibili: tutti fattori che inducono alla scoperta di questo intrigante fazzoletto di terra dove i colori e i sapori del Mediterraneo abbracciano quelli della Mitteleuropa. Pirano è una sottile penisola che si allunga verso il mare con una storia scolpita nel candore splendente del sale: una città legata indissolubilmente all’Adriatico che con il suo sale, l’oro bianco di Pirano, ne ha determinato la fortuna e una grossa fetta della sua storia. Una visita consigliata è quella all’allevamento di branzini Fonda: non intensivo e sostenibile, è gestito da Irina e Goraz, una coppia di biologi che organizzano corsi di cucina dove si può imparare a riconoscere il pesce fresco, a sfilettarlo e a metterlo sotto sale. 150 km, con tappa facoltativa alle grotte di Postumia, vi portano a Caporetto. Tristemente famoso per una battaglia epocale studiata sin dalle elementari, oggi è l’epicentro di una grande regione montana dedicata agli sport: con servizi di livello europeo, offre più di una meta da esplorare e, se si ha voglia, tra un trekking e un rafting, una sana biciclettata in mtb o su strada, si può ripassare una mesta pagina di Storia visitando il museo locale (kobariski-muzej.si). Come colonna sonora delle due ore in macchina che dividono Pirano da Caporetto si può cercare un cd antologico con le canzoni che hanno vinto la Slovenska Popevka, ovvero il Festival di Sanremo sloveno. Una rassegna musicale che ha storicamente avuto un implicito valore di identificazione per un popolo -quello sloveno- che, pur avendo abbracciato (e, per un lungo periodo, con una larga e condivisa adesione) la causa della Repubblica Federativa Socialista Jugoslava, non poté in qualche misura non sentirsi un po’ ai margini, dissimile per lingua e cultura dall’artificioso serbo-croatismo incarnazione di unità. Invece a Topolò – Topolove, enclave slovena in territorio italiano (23 km da Caporetto), sventola la bandiera dell’internazionalismo. E’ un borgo montano di trenta abitanti sull’estremo confine italo-sloveno, nelle Valli del Natisone, che ogni anno nel mese di luglio diventa un crocevia di incontri e scambi culturali degni di una capitale (stazioneditopolo.it). Isolato, posto alla fine della strada, da sempre ultima frontiera di mondi contrapposti, Topolò ha subito nei secoli le intemperie della Storia, acuitesi nel secolo passato quando fu uno dei teatri della battaglia di Caporetto. Oggi registi, musicisti, scrittori, fotografi, performers e uomini di scienza provenienti da tutto il mondo vengono ospitati nelle case del paese e confrontano la loro ricerca con la molteplice realtà del luogo. Senza bandiere è anche “la cartolina per l’Adriatico mare d’Europa”, un’iniziativa targata Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa , una testata giornalistica on-line. E’ una cartolina elettronica che, come si faceva in passato, circolerà per segnare un momento importante. Realizzata dall’illustratore Gabriele Musante, ricordando che nel 2020 Fiume sarà Capitale europea della cultura, vuole ribadire la pregnanza europea dell’Adriatico.

Info: https://www.slovenia.info/it