Langhe

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A cavallo delle province di Cuneo e Asti, le Langhe sono una regione storica piemontese che visitiamo in compagnia del cantautore Gianmaria Testa e dell’antropologo Annibale Salsa. Langhe è sinonimo di natura, cultura, vino e tartufi. Giovanni di mestiere fa il trifolè (trifolaio). La vita del cercatore di tartufo, il tesoro delle Langhe, è dura. Magari non come quella dei cercatori d’oro del Klondike, ma nel suo piccolo… Si lavora di notte, al buio per evitare che qualcuno ti segua e scopra dove crescono i tuoi tartufi. Gelosie e leggende, l’università dei cani da tartufo e le frotte di turisti di mezzo mondo che calano sulle Langhe per l’annuale edizione della Fiera del Tartufo bianco d’Alba, uno dei più importanti eventi enogastronomici e culturali della provincia italiana. Sofia e Andrea, ci raccontano come vive un diciassettenne in un paesino delle Langhe e ci fanno visitare il castello di Roddi, le cui stanza furono utilizzate dai partigiani durante la resistenza. Da queste parti sono state scritte importanti pagine della lotta di liberazione contro i nazi-fascisti. Alcune molto drammatiche. A una manciata di chilometri da Roddi, solo per fare un esempio, al Bricco di Neive 14 ulivi evidenziano il punto dove quattro partigiani persero la vita nella battaglia contro i soldati della Repubblica sociale italiana.

langheroero.itfieradeltartufo.org – comune.roddi.cn.it

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New Orleans

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“…guardai attraverso il parabrezza e vidi alberi caduti dappertutto, fili della corrente e linee telefoniche che penzolavano dai pali, semafori non funzionanti, edifici residenziali sventrati, danneggiati a tal punto che i proprietari non si erano preoccupati di coprire le finestre sfondate con il compensato”  (‘L’urlo del vento’ di James Lee Burke, 2008 Fanucci editore)

Guardando New Orleans annegare sotto l’acqua dell’uragano Katrina qualcuno ha pensato che The Big Easy, il luogo dove tutto è possibile, dove ogni cosa è facile e, soprattutto, eccitante, scomparisse per sempre. Non è accaduto. A otto anni di distanza da Katrina, è oggi in piena rinascita: boom edilizio, rilancio del turismo, nuove start up tecnologiche e società di servizi. Pian piano New Orleans è diventata un polo sociale d’attrazione: vita culturale, negozi, un ceto medio che tiene bene e non è stato ancora proletarizzato, come è prassi in molte città americane. Ma non è tutto oro quello che luccica: se la città è mediamente più benestante, non è perché la povertà è stata sconfitta. È perché la gran parte dei 400mila disperati che otto anni fa se ne sono andati da New Orleans sono proprio i poveri della città che con l’uragano hanno perso anche il poco che avevano. In compenso la Big Easy, nel cuore dell’Upper 9th Ward (storicamente il ‘posto della musica’), si è dotata del Musicians’ Village, un quartiere che ospita anche una struttura rivolta ai bambini che ci abitano: il Centro per la Musica, una scuola per formare i musicisti di domani. New Orleans è una città piena di fantasmi. Lo sanno gli operatori turistici che propongono ‘cemetery tour’ e scampagnate a base di vampiri e voodoo. Per pochi dollari numerose agenzie propongono un tour a piedi per le strade infestate di fantasmi del French Quarter. Si può così scoprire se e perché il Convento delle Orsoline è infestato dai vampiri, si verrà a sapere cosa è successo alla bellissima Octoroon Mistres e si imparerà perché bisogna temere il Macellaio Matto. Ma soprattutto si visiterà la casa di Madame Lalaurie, una delle donne dell’800 più rispettate di New Orleans, che aveva il ‘vizietto’ di torturare i suoi schiavi. Tra i fantasmi che si aggirano per New Orleans c’è anche quello di Sister Gertrude, una figura che -seppur vivesse in una delle città più eccentriche del mondo- non passava per strada inosservata. Per più di vent’anni Sorella Gertrude ha bazzicato nel French Quarter vestita con la divisa da infermiera: la sua missione era guarire i peccatori, usando come medicina la parola di Dio. Ritta in un angolo di qualche strada, urlava e cantava i suoi Gospel con un megafono. Batteva il tempo con un tamburino, incrementando il ritmo sino a raggiungere una sorta di estasi sufica. Di lei ci resta una unica registrazione, Let’s Make a Record e i i suoi quadri. Lavori quest’ultimi che nel 2004 sono stati raccolti nel Museo di Arte e Folclore Americano a New York. Alla morte Gertrude ebbe cristiana sepoltura in un cimitero vicino all’aeroporto, una location che ne facilitava il volo in direzione del suo mondo migliore. Verso quel cielo che lei amava dipingere pieno di angeli e spesso solcato da un aereo pilotato da un Gesù Cristo aviatore diretto verso il Paradiso…

louisianatravel.com

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Monte Bianco e il rock delle montagne

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Se nel 18° secolo Horace-Bénédict de Saussure percorse per la prima volta l’itinerario intorno al Monte Bianco per esplorare scientificamente il massiccio, i sette musicisti de L’Orage (una band valdostana a cavallo tra musica tradizionale e rock ) agli albori del 21° secolo hanno voluto essere i primi a percorrere un segmento dell’Alta Via del Bianco portando sulle spalle i propri strumenti musicali. La prima tappa è il rifugio Bonatti. Per raggiungerlo si imbocca la Val Ferret dopo essersi lasciati alle spalle Entrèves. Il rifugio e’ situato sulla sinistra orografica della valle, a quota 2025 metri. L’ascesa è rapida e faticosa, specie se si decide di lasciare il sentiero battuto e si punta su improbabili scorciatoie. Io ho sulle spalle il mio zainetto. I musicisti il loro, ma anche il proprio strumento musicale. Chi una chitarra, chi una percussione, chi ‘addirittura’ un organetto. All’arrivo al rifugio, dopo tre caraffe di birra e una mezza dozzina di salsicce alla barbabietola dal colore improbabile, esce una chitarra. Poi un basso nuovo di pacca, che si è fatto la salita, avvolto in un sacco a pelo. Si aggiunge un cahon e un bongo. Quando arriva anche il violino gli escursionisti giapponesi, reduci dal Tour del Monte Bianco, cacciano la macchina fotografica. Il repertorio del mini set, tra un bicchiere e l’altro, include qualche De Andrè d’annata, un classico di Dylan e tante materiale originale de L’Orage. Dopo il concerto la cena. E dopo la cena ancora musica. Per la notte qualcuno dorme nel rifugio, altri nella tenda montata a 200 mt dal Bonatti. Prima di infilarmi nel sacco a pelo, dopo l’ennesimo bicchierino di genepy, c’è il tempo di scambiare due parole con la tenutario del Bonatti, la signora Mara, che ricorda le frequentazioni di Walter nel rifugio che porta il suo nome. Al risveglio ci aspetta uno spettacolo mozzafiato: non c’è una nuvola in cielo nemmeno a pagarla e la vista sul massiccio del Bianco è strepitosa. Ci aspetta il rifugio Bertone, nei pressi del piccolo vilaggio di Le Pré. Camminando agevolmente su verdi pascoli e passando di alpeggio in alpeggio, la meta è facilmente raggiungibile in un paio d’ore. Ma questa strada è troppo facile, gli Orage decidono di puntare su un percorso più tosto. Cinque ore abbondanti di cammino, e un susseguirsi di ripide salite, discese ardite e altrettante risalite. Roba che il buon Battisti (uno che di discese ardite e di risalite se ne intendeva) nemmeno si immaginava. L’arrivo, affamati, al rifugio Bertone è dopo le 14. Pranzo e, a seguire, nuovo concerto. Ricevendo l’ennesimo conforma che a volte la discesa è peggio della salita si raggiunge la valle, dove una macchina ci porta al Prè de Pascal, un ristorante che prepara dei funghi fritti da urlo. A seguire: ennesimo concerto de L’Orage…

lorage.itcourmayeurmontblanc.itrifugiobonatti.itrifugiobertone.itpredepascal.com – lestisserands.it

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Innsbruck

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A Innsbruck, da Milano, ci si arriva comodamente. Tutta autostrada, si passa il Brennero e ci siamo. Diciamo 4 ore senza superare i limiti di velocità e con un paio di tappe agli autogrill per caffè e gratta e vinci. Da cittadina di montagna al confine tra Austria, Germania e Italia si è trasformata in un centro di respiro internazionale, a tal punto che è bazzicata da archistar di mezzo mondo. Un paio di esempi: il Kaufhaus Tyrol, sei piani per fondamentalisti dello shopping firmati dall’archi-star inglese David Chipperfield, e l’impianto di risalita targato Zaha Hadid (l’unica donna vincitrice del premio Pritzker, la champions dell’architettura), che raccorda il centro di Innsbruck con alcune delle sue montagne. Oltre alle archistar del presente a Innsbruck hanno lavorato anche quelle del passato. Tra le opere più intriganti il cenotafio dell’imperatore Massimiliano I. Ospitato nella Chiesa di Corte (la ‘Chiesa degli uomini neri’ per i nativi) è circondato da 28 statue di bronzo di grandezza sovrannaturale. Ingombranti e pesantissime. Rappresentano membri della famiglia dell’imperatore Massimiliano, ma anche antenati, reali e alcuni suoi miti. Non c’è Cristiano Ronaldo, ma c’è -per esempio- Goffredo di Buglione, una delle star (cristiane) della Prima crociata. C’è anche una nostra concittadina: Biancamaria Sforza. Una storia, la sua, che ci conferma che anche i ricchi piangono. O hanno motivi per farlo… I cervi, che vivono nei boschi che circondano Innsbruck, non piangono, ma bramiscono. In autunno è la stagione degli amori e chi è un po’ guardone dentro (o semplicemente ama gli spettacoli della natura) nelle serate autunnali può inoltrarsi nella foresta e farsi sorprendere da rumori, profumi, giochi di luci e ombre. Con un po’ di fortuna e avvicinandosi silenziosamente, potrà ammirare splendidi cervi maschio scesi a valle per conquistare le femmine… Chi preferisce la luce del sole può raggiungere l’altopiano di Mieming, a soli 35 minuti di auto da Innsbruck. È il posto ideale per chi ama le escursioni e il Nordic Walking: oltre 100 km di sentieri che attraversano foreste, prati e campi aperti. Se invece si ama lo sci la meta non possono che essere le piste sul ghiacciaio dello Stubai, dove praticamente si scia tutto l’anno. 26 impianti di risalita e 35 discese di diversi livelli di difficoltà. La nuova BIG Family Funslope Eisjoch, una pista con tracciato di cunette, ostacoli e salti. Lo Snowpark Moreboards Stubai Zoo. Un Freeride Checkpoint presso la stazione a valle per chi vuole sciare fuori pista senza rischi. E, dettaglio non trascurabile, proposte di soggiorno compatibile con i nostri portafogli…

tirol.cominnsbruck.infostubai.at

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Salento in autunno

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“Una bambina, non riuscendo a pronunciare la parola Signora, la chiamava Ora. Ella non poteva mettere in difficoltà quella bambina, e così volle essere chiamata Ora da tutte le persone che la circondavano. Da allora Lucia de Viti de Marco, figlia del famoso economista Antonio e di Etta Dunham Lathrop, fu per tutti Ora”. E’ l’incipit di quanto riportato su un cartello che campeggia davanti all’ingresso della casa di Ora, una delle strutture di proprietà della Fondazione Le Costantine, un centro di attività agricola, artigianale e pedagogica: un’oasi di pace immersa tra uliveti e macchia mediterranea, a 3 km da Otranto, che riunisce in una sola realtà la tessitura, l’agricoltura biodinamica, l’ospitalità anche per disabili e la formazione. E’ un buon indirizzo per trascorrere qualche giorno nel Salento, là dove lo stivale tocca il fondo. Un’alternativa è offerta dalla Masseria Panareo, una struttura dalla storia secolare che vanta una posizione straordinaria sulla litoranea Otranto-S. Cesarea Terme. Entrambe le strutture sono nel cuore del Salento. Campi di grano, coltivazioni di tabacco perse tra ulivi secolari. Muri a secco, pozzi, colombaie e frantoi. Case di calce e palazzi di tufo. Paesi limati dal vento e dalla luce. Per coglierne l’essenza bisogna visitare la Casa-museo della civiltà contadina di Calimera. E’ una vera e propria casa a corte, dove ogni stanza, allestita seguendo un ordine tematico, ospita oggetti sempre presenti nelle abitazioni salentine tradizionali. Questo è uno scampolo di meridione d’Italia che è già oriente. Più a oriente di Praga e di Vienna. Testimonial di questa realtà gli affreschi bizantini di Carpignano, nelle cripte delle SS. Cristina e Marina. Tra i tanti monumenti salentini ci soffermiamo sull’Abbazia di San Nicola di Casole, a pochi chilometri da Otranto. Mentre per le bellezze naturali abbiamo scelto il Parco di Porto Selvaggio, un luogo per il quale non dobbiamo ringraziare solo il buon dio, ma anche Renata Fonte. Assessore alla pubblica istruzione e cultura al comune di Nardò, Renata fu ammazzata la notte del 31 marzo 1984 davanti a casa. Fu il primo delitto politico-mafioso della Puglia. L’unica sua colpa: aver combattuto contro una variante al piano regolatore che avrebbe permesso di costruire e speculare proprio a Porto Selvaggio.

  • Da leggere:

Bizantini in terra d’Otranto” di Cesare Daquino (2000, Capone Editore)
Lotta civile” di Antonella Mascali (2009, Chiarelettere, collana Reverse)

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Catalunya: non solo Barcellona

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Non solo Barcellona, la Catalunya è molto di più. Ma prima di immergersi nella Catalunya più profonda vi offriamo un piccolo bignami per imparare qualche rudimento della lingua catalana. Una lingua osteggiata dal franchismo a tal punto che oggi i giovani la parlano meglio dei loro genitori (con Franco era vietato usarla). La prima meta è un insieme di sotterranei lunghi chilometri e chilometri. Pareti di mattoni e soffitti ad arco o a volta. Nel silenzio e nella penombra milioni di bottiglie riposano qui anni e anni. Sono cantine che appartengono alle stesse famiglie da secoli e dove a fine Ottocento sono nate le prime bollicine di Spagna. E’ la regione vinicola del Penedès, a pochi chilometri da Barcellona, una zona che coincide con quella della produzione del mitico Cava, un vino dal grande carattere che si ottiene secondo il metodo tradizionale della rifermentazione in bottiglia. A Sant Sadurní d’Anoia, la capitale del Cava, la tappa d’obbligo è al Centre d’Interpretació del Cava, la cui sede è in una distilleria di vini e bevande alcoliche costruita nel 1814. Qui si possono conoscere le origini del Cava, la storia delle vigne, i protagonisti dell’industria vitivinicola, ma si può anche effettuare un’inaspettata immersione nell’appassionante mondo della cioccolata (un’esperienza per cui bisogna ringraziare l’Espai Xocolata Simon Coll). Un universo che ormai non interessa solo donne e bambini. E un mondo che interessa sempre a più persone è quello della ferrovia. Per conoscerlo meglio tassativa una tappa al Museu del Ferrocarril di Vilanòva I Geltrù , una cittadina distante da Barcellona circa cinquanta chilometri. Una distanza facilmente colmabile grazie ai treni della linea due della RENFE Cercanias , la rete di trasporti suburbani delle ferrovie spagnole . Un viaggio, quello dalla stazione di Barcelona – Sants a Vilanòva che dura quaranta minuti. Un percorso che si svolge interamente parallelo alla costa … La sede del museo è stata ricavata all’interno del vecchio deposito locomotive del 1881 e chiuso all’esercizio nel 1967. , dopo il 1972 l’Asociaciòn de Amigos de Ferrocarril di Barcellona riesce ad ottenere l’intera area per l’istituzione del museo anche se per l’inaugurazione ufficiale si dovrà attendere fino al 1990. L’entrata del museo si trova sul piazzale esterno della stazione e l’ingresso è riconoscibile dalla cabina della locomotiva RENFE 2005 T , titolare del Talgo II “ Virgen del Carmen” che spunta da un androne della palazzina che un tempo ospitava gli uffici del deposito locomotive… E’ la porta d’accesso a un paradiso per chi da piccolo giocava con i trenini…

Costabrava.org – Patronat de Turisme de Sant Sadurní d’Anoia – Espai Xocolata Simon Coll

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Le geografie del pugilato

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Dove ci sono i rifiuti del mondo. La boxe è lì: unico avanzo di dignità. Sotto i viadotti di San Paolo, Brasile, nel retro degli slum di Nairobi, Kenya, in qualche misero cortile con i panni stesi di Yangon, Birmania. Ci sono sport solari, che hanno bisogno di luce, panorami, orizzonti. E poi c’è la boxe: che si arrangia ovunque, che scava trincee per proteggere i sogni. Come l’edera sale, ricopre, nasconde. Sotto i viadotti di San Paolo, nella città più grande del Sudamerica, ci sono copertoni appesi al posto dei sacchi da pugilato e assi dei camion riciclicati come bilancieri. Una delle tante palestre improvvisate a sud del mondo. La boxe è una crepa che non se ne va, la trovi quasi sempre in vecchi edifici sopravvissuti ai terremoti, sotto ai ponti delle autostrade, nel retro di qualche negozio più morto che vivo. La boxe è notte, oscurità, mura scrostate, rare finestre, sottoscala, luoghi abbandonati, vernice rovinata. Le belle palestre sono quelle brutte: i ring senza imbottiture, gli imbuti per la saliva incrostati, con i tubi che li collegano ai secchi di plastica, quasi fossero reperti di archeologia industriale. Il nostro viaggio inizia a Cuba, dove tutto è archeologia: dalle vecchie macchine statunitensi al regime socialista. Ci andiamo per ricordare il cubano Teofilo Stevenson (scomparso proprio un anno fa), uno che scelse il ring non per soldi ma per amore. Con un salto spazio temporale piombiamo nella Germania nazista per parlare di ‘Rukeli’ Trollmann, il pugile zingaro che sfidò il Terzo Reich. Nuova tappa a Livorno, la città di Lenny Bottai: pugile livornese antagonista, per cui la boxe è soprattutto lealtà. Un uomo di altri tempi. E a proposito di tempi andati terminiamo il nostro viaggio a Milano. Sergio Giuntini, docente di storia sociale dello sport, ci racconta la Milano che fu capitale della boxe. I match nei retro delle latterie e gli eroi di un’epopea ormai ingiallita. Una Milano che piace a Renato di Donato, il pugile di via Padova, conosciuto anche come il “chirurgo” di Segrate, dottore in Scienza, Tecnica e Didattica dello Sport. Campione italiano dei pesi superleggeri sino a ieri. I suoi sogni sono due: riconquistare al più presto la corona di campione italiano e tornare a far rivivere la Milano raccontata dal prof. Giuntini…

  • Buttati giù, zingaro – La storia di Johann Trollmann e Tull Harde”, di Roger Repplinger. Edizioni UPRE ROMA, Milano, 2013
  • Il video della canzone ‘Non vedo l’ora’ del Teatro degli Orrori su Lenny Bottai, pugile antagonista di Livorno
  • Il video della canzone di Pacifico dedicata a Ottavio Tazzi, allenatore di ben 8 campioni del mondo di pugilato

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La Spezia, tra mare e muro

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Il Golfo della Spezia è stato soprannominato “Golfo dei Poeti” dal commediografo Sem Benelli intorno agli anni Dieci del Novecento. Per ricordare che in questo posto hanno dimorato grandi poeti e scrittori della tradizione romantica come Byron, D. H. Lawrence, Mary Shelley e Percy Shelley. Andando da un capo all’altro di questa mezzaluna marina, da Lerici a Porto Venere, si possono scorgere tipi di paesaggio molto diversi tra loro, fatti di casette colorate accastate una sull’altra o di zone il cui accesso è rigorosamente vietato, perché proprietà della Marina Militare. C’è il porto commerciale, ci sono imbarcazioni moderne e altre decisamente più datate, ci sono le isolette della Palmaria, del Tino e del Tinetto, praticamente deserte. Ma a Spezia ci sono anche altre realtà: ad esempio quella dei “Murati Vivi” di Marola. Questa borgata marinata ha perso l’accesso al mare più di un secolo fa e non è riuscita a recuperarlo: i possessori di un’imbarcazione hanno un lasciapassare per il molo, ma gli altri? A parlarci dei Murati Vivi e della goliardica incursione nelle zone off-limits riuscita grazie ad un abile travestimento da turisti in crociera è stato Fabio Baccini dell’associazione “Murati Vivi” di Marola. Un’altra voce di questo viaggio a La Spezia è poi quella di Armando Napoletano, un giornalista sportivo che ha raccontato la storia dello scudetto vinto dallo Spezia nel 1944. All’Arena Civica di Milano c’è una targa che ricorda questa impresa calcistica avvenuta tra mille difficoltà. Anche il riconoscimento ufficiale di questa vittoria ha avuto un percorso accidentato… A proposito di guerra e di Resistenza: a un quarto d’ora di treno da Spezia c’è Sarzana. E da quelle parti, attraverso un percorso tutto curve, si arriva a Fosdinovo. Qui c’è il Museo audiovisivo della Resistenza, una ex-colonia per bambini costruita nel 1948 dai Partigiani; il materiale a disposizione è a dir poco avveniristico: testimonianze audio-video, mappe e filmati sono interattivi e multimediali. E al Museo vengono ogni anno tante persone anche per seguire il festival “Fino al cuore della Rivolta”, organizzato dall’associazione “Archivi della Resistenza” e articolato in due momenti (per la festa della Liberazione e durante l’estate) fatti di incontri, esibizioni teatrali, dibattiti e musica. Le voci che ci hanno raccontato del museo sono quelle di Simona Mussini e Alessio Giannanti.

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Sri Lanka

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Subhash è un contadino di Heeloya, un villaggio sulle montagne alle spalle di Kandy. Un universo verde fatto di risaie terrazzate, palme e una lussureggiante vegetazione tropicale. Subhash ha partecipato a una serie di incontri con dei tecnici di ICEI-Overseas, ONG italiane che operano sull’isola seguendo i dettami dello sviluppo sostenibile. Sua figlia Sirimavo ha seguito un corso per conoscere le regole del turismo responsabile, un’attività che può avere un impatto considerevole sullo sviluppo sostenibile. Oggi è una guida che aiuta i turisti ad avere un atteggiamento rispettoso della cultura locale e, con il suo lavoro, fa in modo che i ricavi dell’industria turistica creino dei vantaggi concreti alla gente di Heeloya. Le associazioni di villaggio ricevono un contributo dal tour operator per ogni turista ospitato, contributo che viene poi utilizzato per lo sviluppo di attivita’ produttive o per affrontare alcuni problemi prioritari delle comunita’. Kandy, la vecchia capitale dell’odierna Sri Lanka, dista una quarantina di minuti d’autobus da Heeloya. Fu la capitale dell’ultimo regno singalese, caduto nelle mani degli inglesi nel 1815 dopo aver resistito ai portoghesi e agli olandesi per tre secoli. La città si sviluppa attorno a un lago artificiale, nelle cui adiacenze sorge il Tempio del Sacro Dente. Sacro perché pare sia uno dei 32 di Buddha. Impossibile vederlo perché è custodito all’interno di uno scrigno d’oro a forma di santuario, che a sua volta contiene una serie di sei scrigni sempre più piccoli, sino ad arrivare al dente. Per chi ama i reperti architettonici, lasciata Kandy si può puntare a tre obiettivi al centro dell’isola. Dambulla, per i suoi templi ricavati dentro maestose grotte. Sigiriya: una fortezza piazzata sulla sommità di un enorme dirupo di roccia. E Polonnaruwa, per tre secoli (a partire dal X) capitale sia del regno chola che di quello singalese. Di quell’epopea restano imponenti rovine di templi, edifici, il palazzo reale e tre enormi statue del Buddha… Dopo questo tuffo nella storia, niente di meglio di uno nell’oceano. E’ la costa che nel 2004 è stata drammaticamente colpita dallo tsunami e che ha ripreso a vivere solo recentemente. Ad Arugam Bay è un villaggio a maggioranza musulmana dove sulla spiaggia giovani freak armati tavola convivono con donne velate che fanno il bagno interamente vestite. Più mondana la vita a Mirissa, una delle mitiche località balneari della costa meridionale. Discoteche sulla spiaggia, amache legate alle palme e la possibilità di praticare il whale watching, l’avvistamento delle balene…

ICEIMowgli Italia

Volare.. a Trebisonda

© Keith Thompson 2009

Istanbul, un agglomerato di culture e mondi. C’è anche chi cerca (con successo) di importare all’ombra dei minareti la musica di Domenico Modugno. E’ il caso di Adil Akbasoglu, che ci racconta dell’interesse che molti turchi hanno per la cultura italiana. Poi, con una barzelletta, ci fa capire come i turchi vedono gli abitanti di Trabzon, importante città sul Mar Nero. Trabzon, l’antica Trebisonda greca, non è una città bellissima. Palazzoni, tanti outlet e l’autostrada E77 che divide le sue case dall’acqua del Mar Nero. E’ però fondamentale per capire la Turchia (e il perché delle manifestazioni di questi giorni a Istanbul e Ankara, manifestazioni che -non casualmente- a Trebisonda non ci sono state). Oggi Trabzon il bastione del nazionalismo turco. E’ da qui che veniva il presunto assassino del giornalista armeno Hrant Dink, ucciso a Istanbul il 19 gennaio 2007. Ma è anche una città segnata da una pratica dell’islam sempre più ostentata e rigida. Bisogna scendere nei quartieri del porto per trovare bar che servono apertamente alcol, mentre giovani donne vendono le loro grazie ai marinai di passaggio. La clientela interessata è più russa che turca. Ogni giorno, infatti, dei traghetti collegano Trabzon a Sotchi, in Russia. Le navi sono vecchie e gli orari incerti, ma una folla indaffarata si accalca all’imbarco. Affollato è anche lo stadio del Trabzonspor. Qui il calcio è uno strumento di riscatto sociale e una potente valvola di sfogo. Fedele all’indole dei suoi abitanti, anche lo sport a Trebisonda è schierato. Alla manifestazione di Istanbul contro l’omicidio di Dink, in cui centomila persone -turchi, curdi e armeni- avevano scandito lo slogan “Siamo tutti armeni, siamo tutti Hrant Dink”, i tifosi della squadra di calcio di Trebisonda hanno risposto a modo loro. Nella prima partita in casa del Trabzonspor hanno gridato dagli spalti: “Siamo tutti turchi. Siamo tutti Mustafà Kemal Atatürk”. Alcuni di loro indossavano lo stesso berretto di lana bianca che l’assassino di Dink, Ogün Samast, aveva nelle foto segnaletiche. Negli ultimi anni a Trabzon non sono arrivati investimenti. Le èlite cittadine si sono trasferite nelle città più a occidente e il loro posto è stato occupato dagli abitanti dei villaggi dell’interno. A Trebisonda non c’è più una comunità: sono rimasti i singoli individui e il Trabzonspor. Ma il declino della città è stato anche il declino della squadra, che ha vinto il suo ultimo campionato nel 1985. L’ultima impresa eroica è l’aver sconfitto l’Inter in Champions League. Ma di questi tempi battere l’Inter ha proprio poco di eccezionale…

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Francoforte, non solo grattacieli e birra

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Francoforte evoca nella mente di molti immagini di alta finanza e di grattacieli in cui si decidono i destini economici dell’Europa. Ma a dispetto di un energico skyline che svetta sulla piazza intitolata a Willi Brandt, in cui campeggia una scultura al neon che raffigura l’Euro, e dell’intensa attività fieristica che la trasforma in un indaffarato crocevia commerciale durante la settimana lavorativa, Francoforte ha da secoli un’anima votata alla cultura di qualità. I cittadini sentono come un loro dovere il contributo economico all’eccellente sistema culturale, che propone i numerosi musei lungo la riva del Meno, due teatri d’opera di alto livello, molte gallerie d’arte contemporanea, e naturalmente la celebre Fiera del libro di ottobre. Abituata ad accogliere visitatori da tutto il mondo, Francoforte se la cava bene anche nell’ambito dell’accoglienzai: lo storico quartiere di Saxenhausen è punteggiato di birrerie dall’assordante sottofondo heavy-metal e di trattoriei tradizionali che servono vino di mele, mentre i ristoranti raffinati dei luoghi d’arte e i club aperti fino a notte fonda si contendono le competenze di chef stellati… anche italiani!

Frankfurt TourismusMuseumsuferfest

Locali: Das BettJazzkellerBatschkappElfer Music Club

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Inseguendo il Giro d’Italia

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C’è un’Italia che con un aggettivo improprio viene definita ‘minore’, custode invece di mille meraviglie. E’ l’Italia attraversata dalla carovana del Giro. Un’Italia fatta di paesi dai nomi sovente sconosciuti, ignoti a un’immediata collocazione geografica, nomi pronunciati spesso con l’accento sbagliato. Marina d’Ascea, Serra San Bruno, Saltara, Cervere, Mori, Polsa, Silandro… tanto per citare alcune tappe del giro di quest’anno. Un giro figlio della crisi che stiamo vivendo: non a caso è il primo in cui i giornalisti della Gazzetta dello Sport (il padre putativo della corsa) sono entrati in sciopero (come per i loro colleghi di RCS decine di posti di lavoro sono a rischio). Ne parliamo con il nostro ’improbabile’ inviato, Guido Foddis. E con Gino Cervi e Umberto Isman, giornalisti di Cycle! (una nuova ‘elegante’ rivista dedicata al ciclismo, ma anche al costume e alle geografie umane). Con loro parliamo di una delle tappe più importanti del giro di quest’anno, quella che è arrivata a Erto, uno dei borghi che cinquant’anni fa ( il 9 ottobre 1963) fu colpito dalla tragedia del Vajont. E da loro ci siamo fatti raccontare le immagini di Vito Liverani, un decano del fotogiornalismo italiano, e le storie di Geremia Della Putta (marciatore di fondo e ciclista, ma anche doppio sopravvissuto: dalla deportazione a Buchenwald e dalla tragedia del Vajont) e del bersagliere Pucia (Carlo Oriani, vincitore del giro d’Italia di cent’anni fa, caduto sul fronte della Grande Guerra).

Cyclo è un trimestrale in vendita in tutte le librerie. La versione online è su cyclemagazine.it

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Turismo responsabile in Senegal

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Saint-Louis, la vecchia capitale del Senegal che ha saputo conservare l’antico splendore coloniale nonostante la povertà, dista poco più di un’ora di macchina dal Parco di Djoudj, uno dei principali santuari dell’Africa Occidentale per gli uccelli migratori. L’area rappresenta la prima zona di rifornimento d’acqua, dopo un percorso di oltre 200 km sopra il deserto del Sahara, per intere colonie di volatili. Migliaia di fenicotteri rosa qui nidificano regolarmente, così come oltre 5.000 pellicani bianchi, anitre fischiatrici dalla faccia bianca, oche dallo sperone, aironi rossi, nitticore, spatole, cormorani e otarde arabe. In totale quasi 360 specie di uccelli, di cui 58 nidificanti. A cui bisogna aggiungere 92 specie ittiche, e poi coccodrilli, varani, scimmie, facoceri, gazzelle e sciacalli. Una situazione analoga si registra al Parco Nazionale della Langue de Barbarie, una stretta lingua di terra che corre per 60 km, separando il fiume Senegal dall’oceano Atlantico. I 2000 ettari del Parco danno rifugio a numerose specie di uccelli acquatici come sterne, gabbiani, aironi e garzette. In entrambi i parchi gli abitanti che abitano nelle loro adiacenze forniscono guardie ecologiche che organizzano escursioni nel parco e, grazie al comitato, coordina una serie di strutture legate al funzionamento delle aree protette. I profitti generati dalla gestione turistica (il noleggio delle piroghe, il negozio artigianale posto all’ingresso del Parco, il campement) vengono poi reinvestiti per lo sviluppo della comunità e per il ripristino di aree danneggiate. Le occasioni per un turismo responsabile in Senegal non sono limitate al nord del Paese, ma sono in aumento così come è in crescita il turismo internazionale che oggi è arrivato ricoprire un ruolo di primo piano nell’economia del paese, rappresentando circa il 5% del Pil. Le mete affascinanti non mancano. E’ il caso dell’isola delle conchiglie. E’ raggiungibile con un ponte in legno lungo quasi un chilometro, rigidamente pedonale, che divide l’isola di Fadiouth da Joal, un porticciolo scoperto nel XV secolo da alcuni navigatori portoghesi. Dakar è lontana due ore abbondanti di macchina, 150 chilometri più a nord. Joal si è guadagnato un paragrafo sulle guide turistiche per le sue palme da datteri e da cocco e per le sue “tanns”, deliziose piccole ostriche che si trovano tra gli arbusti di mangrovie e crescono aggrappate alle radici sommerse degli alberi paletuviers. Nei libri di storia è citata invece perché ha dato i natali a Leopold Sedar Senghor, poeta e primo presidente del Senegal indipendente. Il ponte porta a un piccolo isolotto lungo 500 metri costituito da un accumulo di conchiglie che si sono depositate nel corso dei secoli. E’ per questo motivo che le strade che attraversano Fadiouth sono foderate di conchiglie. Che il consiglio degli anziani, che regola la vita del villaggio, si riunisce in uno spiazzo ombreggiato coperto da conchiglie. E che le tombe, al cimitero, sono interamente rivestite da conchiglie. Un cimitero dove, promiscuamente, sono sepolti mussulmani e cristiani. Se in Senegal i discepoli del profeta costituiscono il 90% della popolazione, i seimila abitanti di Fadiouth sono quasi tutti cristiani di etnia Sererè. Una convivenza interreligiosa tranquilla e secolare la loro, a tal punto che si protrae oltre l’esperienza terrena…

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Il nuovo waterfront di Marsiglia

Marsiglia Norman Foster orizzontale

Una trasmissione dedicata alla rivoluzione architettonica che, con il pretesto dello status di Capitale Europea della Cultura 2013, ha modificato radicalmente il Waterfront portuale della città. Di solito le grandi architetture sul mare danno le spalle all’acqua, Marsiglia ha deciso che le sue il mare lo devono guardare. Il primo passo è stato rifare il look al vecchio porto, pedonalizzandolo e ripavimentandolo con dell’arenaria chiara. Ci ha pensato l’architetto britannico Norman Foster, che ne ha addirittura ribaltato l’orizzonte. L’ha fatto grazie a un enorme baldacchino: lo chiamano “Padiglione”, ma è una tettoia in acciaio inox specchiante, supportata da sottili pilastri. Offrirà un tetto a manifestazioni, spettacoli e mercati. L’impatto della struttura sull’ambiente è minimo, in compenso il soffitto riflette tutta la vita sotterranea circostante. Il “quadro” a specchio di questo soffitto riesce a includere nell’immagine anche l’acqua, diventando a sua volta un porto da cui si può intraprendere un viaggio semplicemente con uno sguardo. Arriva sin qui l’ombra della nuova sede della terza compagnia marittima al mondo, la CMA CGM: una torre di vetro di 32 piani per 143 metri di altezza. E’ uno dei primi edifici che è ‘sbocciato’ in questo rinascimento edilizio ed è un lavoro targato Zaha Hadid, la celebre archistar anglo irachena. L’architetto marsigliese Roland Carta invece ha lavorato su un silo per cereali inutilizzato da vent’anni, usato in passato per il deposito del grano che veniva caricato e scaricato dalle navi. Dopo la riconversione operata da Carta al suo interno oggi ci sono uffici, un grande auditorium per la musica, spazi per mostre temporanee e un ristorante panoramico. L’architetto franco-algerino Rudy Ricciotti ha invece lavorato al MuCEM, il Museo delle Civiltà d’Europa, un altro dei landmark della nuova Marsiglia. E’ un parallelepipedo vetrato, rivestito con una rete realizzata con un particolarissimo cemento armato precompresso, traforato. Posizionato sul molo J4, nelle adiacenze dello storico Faro di Marsiglia, questo nuovo spazio mediante una lunga passerella sospesa, che gira attorno all’edificio, è connesso alla vicina fortezza quattrocentesca di Saint Jean. Nelle adiacenze del MuCEM c’è La Villa, una costruzione curata dall’architetto italiano Stefano Boeri. E’ un edificio polifunzionale che ospiterà attività di ricerca e spazi di documentazione sul Mediterrano. La forma a C del nuovo volume ha consentito di ospitare al suo interno anche il mare, saldando ulteriormente il legame tra la città e il Mediterraneo: l’acqua penetra infatti tra i due piani orizzontali dell’edificio, quello della sala congressi e quello della sala espositiva, creando una piazza d’acqua pronta ad ospitare pescherecci, barche a vela, allestimenti e performance temporanee.

Marseille Tourisme  – Marseille-Provence 2013La Villa MèditerranèeLe MuCEMFRAC PACAPavillon M

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Escursioni pasquali

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Il confronto tra due Giuda, figuranti di due storiche Vie Crucis Viventi dell’Italia meridionale: quella di Ravello, un borgo della costiera amalfitana, e quella di Paupisi, nel beneventano. E la Via Crucis con le vittime della camorra al conservatorio di San Pietro a Majella, un’idea di don Tonino Palmese, vicario episcopale per la carità della Diocesi di Napoli e referente campano di Libera. Qui a leggere le meditazioni sono magistrati, rappresentanti delle Forze dell’ordine e vittime innocenti della criminalità. Niente Vie Crucis nel Trentino occidentale, ma la possibilità di adottare un melo in Val di Non. Funziona così: alcuni agriturismi della valle danno la possibilità di visitare i frutteti in compagnia dei loro proprietari, scegliere una pianta e (quando saranno maturate) raccogliere dall’albero un’intera cassa di mele da portare a casa con sé. In attesa che i meli maturino ogni mese il contadino spedirà all’adottante una mail che testimonierà lo stato di salute del suo melo. A Topolò invece, un paesino disperso tra le montagne delle valli del Natisone il cui nome deriva dall’albero del pioppo (in sloveno “topol”) rischia di chiudere per i tagli alla cultura un intrigante esperimento culturale. In questo borgo nell’estrema parte orientale della provincia di Udine, a poca distanza dal confine con la Slovenia, da anni a luglio è attiva “Stazione Topolò-Postaja Topolove” una manifestazione internazionale che tocca vari campi dell’ arte e della comunicazione: filmati, disegno, fotografia, musica, poesia, teatro. Gli artisti vengono ospitati nel piccolo borgo di Topolò dove effettuano un “intervento” sulla base degli stimoli ricevuti dal luogo stesso. Perdere quest’esperienza sarebbe criminale…

Azienda autonoma Turismo di Ravello (link) – Per adottare un melo (link) – Per salvare la stazione di Topolò (link e link)

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