Gerusalemme: l’anima del mondo

Festival delle luci_Gerusalemme

C’è chi ci viene in pellegrinaggio, chi per semplice curiosità. Una volta qui però è impossibile non rimanere stregati dal suo fascino fatto di un mix di sacro e profano, genti e culture, modernità e archeologia. Le infinite magie di Gerusalemme concedono anche l’inimmaginabile: divorare una shakshuka(*) da Basti, ristorante che ha il pregio di stare in mezzo alla Città Vecchia, ma soprattutto di piazzare tavoli all’aperto proprio davanti alla terza stazione della Via Crucis, quella dove Gesù cadde per la prima volta. Gerusalemme è una città meticcia. Ma ogni comunità è chiusa nel suo quartiere: quasi scontato per chi vive in un territorio conteso. Il modo migliore per visitarla è seguire i suoi gatti, che si muovono da una zona all’altra della città vecchia. Possono passare allegramente da un quartiere all’altro, sfidando le telecamere di sorveglianza e le pattuglie israeliane: se ne infischiano delle restrizioni. Noi cerchiamo di attraversarla con Silvano Mezzenzana, che a Gerusalemme c’è stato un centinaio di volte accompagnando migliaia di pellegrini. Maurizio Principato ci racconta e ci fa ascoltare le sue musiche, a partire da quelle che hanno fatto da colonna sonora alla recente Jerusalem Season of Culture, tra cui il Jerusalem Sacred Music Festival. Stefano Cusin, allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, oggi mister dell’Ahli al Khalil (il team che ha vinto lo scudetto della West Bank e, giocando allo stadio di Gerusalemme, ha appena vinto la supercoppa palestinese), ci racconta perchè per un palestinese è difficile anche giocare a pallone

(*) shakshuka: tipica colazione gerosolimitana: uova preparate in padella con pomodoro, cipolla e, volendo, anche peperoni. Si fa affogare nel sugo un bel po’ di pane e si è ricchi di energia per il resto della giornata.

La foresta degli alberi violino

Foresta_di_Paneveggio

Il legno degli abeti rossi della Val di Fiemme,  il cuore incantato dei Monti Pallidi, custodisce l’antico segreto della fabbricazione di violini perfetti: maestri liutai, tra cui i celeberrimi Stradivari, si recavano fin qui da Cremona per acquistare i legni più pregiati e poi trasformarli in strumenti musicali di rara perfezione. Il legno dei pianoforti cede dopo mezzo secolo. Invece quello dei liuti – viole, violini e violoncelli – ha il diavolo in corpo. Invecchiando migliora. Si racconta che fosse Stradivari in persona ad aggirarsi nella foresta di Paneveggio alla ricerca degli alberi più idonei alla costruzione dei suoi violini, in particolare gli abeti di risonanza, quelli rossi plurisecolari. Il legno dell’abete rosso è, infatti, particolarmente elastico, trasmette meglio il suono e i suoi canali linfatici sono come minuscole canne d’organo che creano risonanza. Da sempre gli alberi si ascoltano da morti. I liutai scelgono i legni giusti già affettati sulle mensole della stagionatura. Li battono, li soppesano, ne misurano la risonanza con strumenti speciali. Nessuno aveva mai provato a far suonare alberi vivi. Ci ha provato il violoncellista Mario Brunello, uno che da piccolo voleva fare il guardiaboschi, che oggi ci racconta questa esperienza. Va anche ricordato che un trekking nel bosco, con un po’ di fortuna, consente di incontrare animali affascinanti come l’urogallo e il cervo. Un grande recinto permette di osservare da vicino un gruppo di questi grandi ungulati. Dal centro visitatori parte un percorso naturalistico con punti di osservazione guidati e illustrati.

La foresta dei violini può essere raggiunta dal Centro Visitatori di Paneveggio (tel. 0462 576283), situato poco lontano dal Lago di Forte Buso, lungo la statale N.50 che da Predazzo sale al Passo Rolle.

Storie veneziane

Corto Maltese a Venezia

“Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in Calle dell’Amor degli amici, un secondo vicino al Ponte delle Meravegie, il terzo in calle dei Marrani, nei pressi di San Geremia in Ghetto Vecchio. Quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite, vanno in questi tre luoghi segreti e, aprendo le Porte che stanno nel fondo di quelle Corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie”

Così termina Favola di Venezia la 25esima delle avventure scritte da Hugo Pratt. Al di là dei luoghi comuni, Venezia città cara, triste, invivibile, Venezia e l’acqua alta… L’amore per questa città non può che essere passionale, una favola. Negli ultimi 25 anni è cambiata parecchio. Esistevano zone malfamate, periferiche, mal frequentate. Oggi sono diventate chic: Santa Marta, San Giacomo, Baia, Castello. C’erano i briganti della città: il Marziano, il Guappo, Cocis. C’erano più veneziani e meno soldi portati dal turismo. Qualcuno rimpiange i tempi andati. Ma il fascino di Venezia resta. Ne parliamo con Gualtiero Bertelli, cantastorie veneziano doc (tra gli anni ’60 e ’70 una delle più apprezzate voci del Nuovo Canzoniere Italiano), sfogliando le pagine del suo libro “Venezia e una fisarmonica” (Nuova dimensione). L’aristocrazia operaia che lavorava all’Arsenale. Le rovine neogotiche del Mulino Stucky (era uno dei più grandi d’Europa, impiegava circa 350 operai e, malgrado un’occupazione di 50 giorni e un’imponente manifestazione con barconi  sul Canal Grande, nel 1954 venne definitivamente chiuso). Le case popolari di Campo di Marte. Il discusso ponte di Calatrava.  Gli angoli verdi della città il vino prodotto con l’uva dorona a  Mazzorbo, un fazzoletto di terra sulla laguna di Venezia, collegata a Burano da un unico piccolo ponte. Bruno Zanzottera, fotografo dell’agenzia Parallelozero, ci parla del viaggio delle murrine, le perle di vetro prodotte a Burano…

Mummie, mercati e due persone che Palermo non dimentica

Murales Falcone e Borsellino

Ballarò è un posto unico, fermo nella sua realtà di sempre, genuino nel bene e nel male, libero eppure chiuso in se stesso, un cuore che pulsa a un ritmo diverso, mentre tutto, lì attorno, scorre veloce e passa. La storia di questo quartiere non si trova tanto nei suoi monumenti, quanto nei suoi vicoli stretti e nei suoi angoli oscuri, sta scritta nelle pietre e negli anfratti, tra le palazzine più nascoste e tra le bancarelle del suo mercato. Un mercato vivo, vociante, colorato e meticcio. Al contrario di quello della Vucciria, che Renato Guttuso dipinse in una celebre tela. Le sue bancarelle di frutta e verdura hanno normali prezzi da supermercato. Ai ganci delle macellerie i quarti di bue hanno smesso di gocciolare per avvenuto dissanguamento: quelli di ieri erano gli stessi del giorno prima e vanno bene per lo scatto di qualche turista ma non per l’arrosto dei consumatori. La ‘riconversione’ commerciale ha portato birra a fiumi e fatto emigrare tonni e acciughe. Ha spostato in avanti le lancette dell’orologio. Un tempo alla Vucciria la vita cominciava all’alba e alle otto di sera c’era il coprifuoco. Oggi è il regno di una movida notturna a base di birra economica, bancarelle che vendono pani ca ‘meusa (pane imbottito con la milza di vitello) e locali, tra cui la leggendaria Taverna Azzurra, dove per un Euro si può bere un bicchiere di Sangue di Sicilia. Altra tappa imperdibile sono le Catacombe dei Cappuccini (catacombepalermo.it), dove migliaia di mummie hanno incantato o disgustato viaggiatori illustri, da Dumas a Maupassant. Queste catacombe violano almeno tre principi della tradizione occidentale: «Secondo le consuetudini, il cadavere dev’essere sepolto da solo; orizzontale e nascosto alla vista». Qui invece «viene esibito», «lo si colloca in posizione eretta, vigile, attenta» e lo si mantiene in gruppo. Lo ricorda Ivan Cenzi in La veglia eterna (Logos edizioni). E’ un ottimo libro per riavvicinarsi alla necropoli senza tenebrismi danbrowneschi o sbarazzine tentazioni pop. Un libro che spiega che trattasi di mummie perché i corpi venivano lavorati. Il rodato metodo dei Cappuccini era «bio»: zero additivi, niente rimozione di viscere e cervello… Invece alla Casa Teatro Ditiremmu (teatroditirammu.it), uno dei più piccoli teatri italiani, la scenografa Francesca Picone (Chicca) si travesta da cantastorie ‘fimmina’ e ci illustra i pannelli che raccontano la storia di Falcone e Borsellino.

Sentieri partigiani

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Da tempo immemorabile le montagne sono luogo privilegiato per gli uomini che combattono. Se poi le guerre sono guerriglie e le forze in campo vedono milizie volontarie di irregolari, allora a maggior ragione le “terre alte” diventano rifugi, aree dove è più semplice nascondersi, effettuare imboscate, attaccare e sparire. Ci sono foreste, forre, vallate, malghe spesso vuote, morene impervie, ghiacciai e passi remoti, dove pochi uomini possono fermare intere brigate. In montagna la conoscenza dettagliata del territorio, l’allenamento, l’abitudine alla fatica, al freddo, ai bivacchi sulla nuda roccia, l’abilità di saper accendere fuochi senza fumo, fanno la differenza anche di fronte a nemici ben equipaggiati e persino sostenuti dall’aviazione.  Niente di strano quindi se nei mesi cruciali che vanno dall’autunno 1943 alla primavera 1945 la montagna divenne sinonimo di ribellione e volontà di rinascita. Lorenzo Cremonesi ci parla di uno dei 30 itinerari proposti da ‘I sentieri della libertà’ (Rcs Media Group),  una guida della memoria che accompagna gli appassionati di escursionismo lungo le vie della Resistenza , a 70 anni dalla Liberazione dal nazifascismo. Marco Albino Ferrari ci illustra il numero monografico di Meridiani Montagne dedicato a sentieri e cime della guerra partigiana, e ci racconta del territorio dove operò il maggiore britannico Bill Tilman: arrivato appeso a un paracadute con le tasche piene di lire, insieme a un marconista e a una potente radiotrasmittente per appoggiare la guerra partigiana, operò nelle alti valli del Cordevole e di San Lucano, nella Foresta del Cansiglio e tra le vette feltrine. Cecco Bellosi ci racconta della manifestazione antifascista del 28 aprile a Giulino di Mezzegra, dove venne giustiziato Mussolini.  E ci racconta di Michele Moretti, roccioso terzino destro della Comense, partigiano che il 27 aprile 1945 a Dongo partecipò alla cattura del Duce. Annalisa Corbo ci parla di “I ribelli della montagna – L’ultima notte di Montelupo”, un evento di larp (Live Action Role Play) che si svolgerà al Villaggio delle Stelle (Lusernetta – To) il prossimo luglio (date e info su www.grv.it/ribelli).

P.S. Pochi gli esempi di cinema sulla Resistenza ambientati in montagna. Forse Roma città aperta ha dato l’imprinting, e da lì non ci si è mossi per lungo tempo. Una delle poche eccezioni si chiama Noi Loro Noi. E’ un corto di 13 minuti di Massimo Schiavon, girato nel 50° della liberazione, da una troupe di ragazzi che all’epoca avevano la stessa età dei partigiani di cui raccontano le vicende.

Parigi segrete

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Parisien d’un jour, Parisien Toujours
è un’associazione che si propone di far conoscere ai turisti il vero volto della città grazie a guide d’eccezione: i parigini stessi. Studenti, professionisti, pensionati. Tutti rigorosamente volontari (parisiendunjour.fr). Je suis Paris – Se Parigi potesse parlare (Mondadori) è il libro con cui Antonio di Bella, capo dell’Ufficio di Corrispondenza Rai a Parigi, va contro i numerosi stereotipi da cartolina che affliggono la Ville Lumière. Ci racconta la Parigi ebraica e quella araba. La rivincita italiana della moda che si consuma al 21 di Place Vendome e il piccolo Museo dell’Amore. Francesco Giorgini, corrispondente da Parigi per Radio Popolare da quasi  20 anni, ci porta nella sua Parigi. Un viaggio che inizia davanti alla tomba del poeta comunista Louis Aragon al cimitero Père Lachaise, e prosegue al cinema all’aperto del Parco de la Villette e sulla mongolfiera del Parco Andrè Citroen. Senza dimenticare una cioccolata nella più antica cioccolateria parigina: A la mère de famille (lameredefamille.com). Luisa Nannipieri, collaboratrice di Radio Popolare da Parigi, ci racconta i locali della Parigi by night. Tra questi un bistrot fuori dal tempo che propone artisti che vivono nei testi maledetti delle loro canzoni. Figli di una tradizione parigina del 19esimo secolo sono anche le goguette, melodie popolari su cui gli avventori del locale inseriscono un testo spesso a carattere socio-politico. Una liturgia laica che va in scena ogni lunedì da Limonaire (limonaire.free.fr), un bistrot au vins di Montmartre. Alla 19, durante l’aperitivo, si possono iniziare a comporre i versi che verranno poi interpretati dopo le 21 (e successivamente pubblicati sul blog del locale). L’ultimo consiglio è ancora di Giorgini: un elegantissimo sexy shop (ma serebbe meglio dire erotic boutique) per signore. E’ lo Yoba (www.yobaparis.com), all’11 di rue du Marchè Saint Onorè.

Sciando nel Vallese

Panoramica

Da Verbier (situata su un altopiano soleggiato è la più cosmopolita delle stazioni sciistiche del Vallese, gode di un panorama unico sul massiccio dei Combins e sul Monte Bianco) a Nendaz (su un soleggiato altopiano affacciato sulla Valle del Rodano, non lontano da Sion, capoluogo del Vallese), attraverso il Mont Fort e le sue gobbe da malati di free ride. Onde Road fa tappa nel Canton Vallese, dove si parla francese e si scia come svizzeri. Oltre 400 chilometri di piste rendono il comprensorio 4Vallées uno dei più importanti di tutte le Alpi e chi non avesse voglia di calzare gli scarponi troverà fondue per i suoi denti.

myswitzerland.com – valais.ch

Un viaggio nel profondo sud degli States

Lorraine Motel_Memphis

Un viaggio per vedere com’è cambiata l’America che 50 anni fa, con la marcia di Selma, iniziò la battaglia per i diritti civili degli afro-americani. Un viaggio che inizia a Cairo, Illinois. Ferguson, nella contea di St. Louis, la cittadina del Missouri dove è infiammata la protesta dopo l’uccisione di un giovane nero disarmato colpito con sei colpi dalla polizia, è poco lontana. Cairo alla fine degli anni Sessanta è stata teatro di scontri causati da un episodio molto simile a quello accaduto nel sobborgo di St. Louis. Per tutto il Novecento era uno degli snodi commerciali più importanti del Midwest, oggi è una “città zombie”. L’ospedale è chiuso, la piscina è chiusa, la stazione dei bus è chiusa, l’ultimo treno della City of New Orleans si è fermato a Cairo nel 1988, mentre c’è ancora la Central Station ma i treni tirano via veloci, non degnano Cairo neanche di uno sguardo sdegnato, neanche di un fischio di scherno. Oggi Cairo è un cumulo di ruggine. Dopo l’estate del 1967 divenne maledetta, una città da cancellare dalla coscienza americana. Benedetta non è nemmeno East St Louis, città gemella di Saint Louis lungo il Mississippi. St Louis e East St Louis sono due mondi distanti,  che si guardano in cagnesco. Sulla costa orientale del fiume, c’è East St Louis, dove si trovano fabbriche, cementifici, ex prati ricoperti di detriti e immondizia, palazzi semidistrutti e disabitati. Qui gli uomini sono neri, malvestiti, sguardo diffidente e lontano. Di là dall’Eads Bridge invece c’è  la “vera” St Louis, una classica città americana. Qualche centinaia di chilometri più sotto, seguendo il Mississippi, c’è Memphis. Era la città del cotone, storicamente una delle più alte concentrazioni di popolazione nera degli States. E’ qui che nel 1960 vennero organizzate le prime marce per l’integrazione razziale. Ed è sempre qui che, su un balcone del Lorraine Motel, è stato assassinato  Martin Luther King. Era il 4 aprile del 1968 e, visitando oggi la città, sembra che tutto si sia fermato quel giorno. A partire dal Lorraine Motel, il cui aspetto esteriore non è più stato toccato ed internamente è diventato sede del National Civil Rights Museum  (www.civilrightsmuseum.org). Anche ad Atlanta, la città natale di Martin Luther King, abbondano monumenti e musei che ricordano le lotte capeggiate dal reverendo nero. Ma sentendo la storia del medico condotto di Edwards, Mississippi, un vecchio quasi novantenne, che riceve i suoi pazienti in auto (non ha né soldi né voglia per riaprire lo studio dove la moglie gli aveva fatto da infermiera prima di andarsene tre anni orsono: e questo è tutto quello che la sanità americana, la più avanzata, tecnologica, ricca  e costosa può offrire ai residenti di Edwards, Mississippi) ci si rende conto che il viaggio iniziato da  M L King è ancora lungo…

Ragusashire

Donnalucata

Un viaggio nello spigolo di Sicilia più a sud di Tunisi, quella che corre sull’asse Ragusa-Modica-Scicli. Da queste parti la notte, sulle frequenze fm dell’autoradio, senti parlare più in arabo che in italiano. Un pezzo di Europa del sud che, come ci dice il regista Vincenzo Cascone, vede la vicinanza con il nord dell’Africa come una possibilità di arricchimento per i popoli di entrambe le sponde del Mediterraneo. E’ la Sicilia più lontana, e quella più incantata. Palazzi barocchi, cattedrali bianche, scalinate e tripudi di capitelli e chiostri. Qui, dove il mare andrebbe protetto con un copyright, le spiagge sono vivibili anche a ferragosto e puoi camminare sulla sabbia per ore…
Ma puoi anche perderti per ore in una campagna che da sempre è la vera ricchezza di questa terra. Per i britannici, da tempo, questo è il Ragusashire. Per molti ora sta diventando il Montalbanoshire.
I luoghi dove vengono girate le scene dello sceneggiato televisivo tratto dalle pagine dei fortunati romanzi di Camilleri sono visitate da decine di migliaia di turisti di mezzo mondo (sono sessantacinque i paesi dove la serie televisiva sta spopolando). Più di 200 mila i turisti catapultati quaggiù da quando è entrato in funzione lo scalo intitolato a Pio La Torre. Peccato che quando debbono ritornare all’aeroporto di Comiso per tornarsene a casa non trovano nessun mezzo pubblico… E l’Italia baby: c’è ancora molta strada da fare per capire che il nostro petrolio si chiama turismo (e relative infrastrutture). Per fortuna da queste parti a tavola si dimenticano tutti gli inconvenienti… La cucina del sudest siciliano è tra le più stupefacenti d’Italia. E non solo… Per un ripasso fate un salto sul sito.

Finlandia

Tampere

Helsinki una città avveniristica e sinuosa, che talvolta assomiglia alla Gotham City di Batman e in altri momenti, invece, sembra una copia più piccola e riservata di San Pietroburgo. E’ anche l’ultima capitale della gastronomia nordica e uno dei nuovi punti cardinali della geografia mondiale del gusto. Per una conferma che questo successo sia strettamente legato all’altissima qualità delle materie prime, specchio del legame viscerale della cultura finlandese con la natura, basta fare un giro in un grande supermercato. Visitare un mercato o uno dei negozietti dove si vendono marchi della tradizione finnica. Un tour suggerito da “Food Helsinki? Hel Yeah”, una mappa tematica che può essere chiesta all’Ufficio del Turismo. Una seconda mappa (“Design District Helsenki”) è utile per muoversi con agilità in quello che è un autentico paradiso per gli appassionati di shopping e design, un polo creativo che comprende 25 vie che offrono un vasto assortimento di negozi di moda, arredamento, antiquariato, articoli per la casa e pezzi d’avanguardia. E che esista un legame tra design e cucina ce lo conferma Beba Marsano, critica d’arte ed esperta di turismo culturale che su questo tema ha recentemente scritto per il Corriere della Sera.  A Tampere, 180 km a nord di Helsinki, si respira lo stesso mood, ma le architetture sono completamente diverse. La città è cresciuta in mezzo a due laghi e le rapide, alimentate dai 18 metri di dislivello dei due laghi, hanno permesso lo sviluppo di Tampere durante la rivoluzione industriale e caratterizzato la città come primo centro operaio di tutta la nazione. In pratica è stata la Manchester finlandese. Le fabbriche e le ciminiere danno un aspetto particolare alla città. Poche però sono ancora in funzione: quasi tutte sono state convertite in spazi culturali o commerciali. L’alta presenza di operai ha fatto sì che Tampere fosse la capitale dei Rossi durante la guerra civile, scoppiata subito dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Russia nel 1917. Il legame con la Russia e le idee socialiste sono sempre stati forti: Lenin a Tampere pianificò la rivoluzione e per i cultori del soggetto una visita al museo a lui dedicato è imperdibile. E lo è anche una visita a la Valle dei Mumin, uno spazio museale dedicato agli ippopotami bianchi partoriti dalla mente della scrittrice ed illustratrice Tove Jansson.

Centinaia di km più a nord c’è la terra del popolo Sami, la Lapponia. A queste latitudini tra dicembre e gennaio il sole praticamente non si alza sopra l’orizzonte. Ma questo non impedisce di immergersi in una natura incontaminata. Sci di fondo su piste che percorrono la foresta. Scorribande nel bosco in motoslitta. Camminata notturne con le ciaspole. E, con un po’ di fortuna, la magia dell’aurora boreale…

L’Avana: aspettando il cambio

Il FAC, Fabrica de Arte Cubano, è a 10 minuti di taxi dall’Habana Vieja. E’ al confine del Vedado e di Miramar. Due quartieri, principalmente Miramar, dell’Avana bene. Ed è proprio da questi quartieri che arrivano i ragazzini che affollano il FAC. Sono i Miki, look e postura da fighetti. Sono il lato cool della gioventù cubana, a cui si contrappongono i Repo, i ragazzi cresciuti nei ‘reparto’ (da cui il loro nome): gli edifici di edilizia popolare simili ai casermoni sovietici dei Paesi dell’Est. Oltre al look hanno anche gusti musicali diversi: i Miki sono amanti delle musiche internazionali, i Repo vanno pazzi per il reggaeton. L’ingresso al FAC è di due CUC: una cifra irrisoria per un turista, accettabile per un miki, impossibile per un repo. Il sabato sera la coda per entrare supera abbondantemente i 100 mt. Una volta entrati ci si trova in un locale che sarebbe all’avanguardia a Berlino. Mezzo club, mezzo art gallery, dispone di spazi per concerti, per proiezioni, per ballare, mostre d’arte e fotografia, spazi espositivi per giovani stilisti. Più qualche bar dove i cocktail costano un terzo rispetto a La Bodeguita del Medio. Il locale è una idea di X Alfonso, un artista che miscela ritmi tradizionali con spunti elettronici, uno dei padri di una particolare forma pionieristica di hip hop cubano. Il FAC è una perfetta fotografia della Cuba che sta cambiando e che lascia intravedere L’Avana di domani. Quella che in parte si vede all’Avana Vieja, dopo i lavori di ristrutturazione governati da Eusebio Leal Spengler. E’ il padre padrone dell’ Oficina del Historiador de la ciudad, un concetto intraducibile in italiano. E’ l’organo culturale più importante di Cuba. In questi anni ha provveduto a ristrutturare gli incantevoli quanto deteriorati edifici dell’Avana vecchia, e ora si appresta a ripetere la stessa operazione con quelli del Malecon, il lungomare cittadino. Ma è solo una delle molte attività di questo ufficio tanto poliedrico: alcuni dei palazzi ristrutturati sono diventati musei, altri hanno visto la fioritura di variopinti negozi, botteghe, centri di servizio, nei quali si dà lavoro alla gente del quartiere, spesso tra i più poveri della città. E di quartieri poveri all’Avana, una città di due milioni di abitanti, ce ne sono più di uno. Il 10 de Octubre è uno di questi. Vecchie case della borghesia pre-rivoluzionaria oggi in rovina, dove abitano famiglie povere dividendosi le stanze. Un amico cubano mi dice che sarebbe bello creare delle cooperative che possano rilevare immobili come questi. Un’idea che se andasse in porto impedirebbe speculazioni ad opera di qualche americano in arrivo da Miami e consentirebbe a chi ci abita oggi di migliorare lo stato delle loro abitazioni e continuare a vivere in un angolo favoloso dell’Avana. E’ solo uno dei tanti progetti che oggi vengono dibattuti all’Avana. In attesa del cambio….

Sulle strade di Cuba

Il bus per il mare_e

Quelle che da Santa Clara, nel centro geografico dell’isola, portano a Santiago, la capitale dell’Oriente cubano. Remedios, un borgo polveroso che evoca afrori che rimandano a Gabriel Garcia Marquez. Il fascino delle Cayerìas del Norte, una manciata di isolette, piatte come un’omelette, al largo della costa settentrionale della provincia di Santa Clara. I cayos erano ancora terra selvaggia infestata da zanzare quando nel 1998 è stato costruito il primo hotel. 17 anni dopo ampi scampoli dei cayos sono foderati di lussuosi resort. Per il futuro si parla di raddoppiare la capienza ricettiva: passando dalle odierne 5000 a 10.000 camere d’hotel. Conviene venirci prima che faccia la fine di Varadero. Per ora sono ancora un angolo di paradiso. Tre ore abbondanti di macchina, attraversando paesini vivaci e percorrendo strade sul cui asfalto è steso a seccare il riso, e si arriva a Camaguey. La città va scoperta a bordo dei bici-taxi griffati Ileana Sànchez, un’artista locale innamorata dei gatti. Nel dopocena non eccedete con i cocktail, perché prima di andare a dormire dovete gustare il miglior daiquiri della città. Lo servono al rooftop bar del Grand Hotel, un hotel che sembra essere rimasto nell’anno in cui fu costruito: il 1939. Il tratto da Bayamo a Santriago è tra i più affascinanti della strada che collega l’Occidente cubano con l’Oriente. L’Avana con Santiago. Ci si arrampica su dolci colline arredate da una bulimica flora tropicale. A un certo punto, in mezzo a questo oceano verde, ai lati della strada compiano, sempre più frequenti, delle bancarelle che vendono ghirlande di fiori gialli. Un cartello stradale spiega l’arcano: Basilica de Nuestra Señora del Cobra km 2. La Vergine della Carità del Rame, familiarmente detta Cachita, è l’icona più venerata dai cubani. E’ sincretizzata con la bella orisha Ochun, dea youruba dell’amore e della danza. Ma per conoscere i segreti della Santeria bisogna raggiungere Santiago, la città più africana di Cuba. Come testimonia la sua musica…

Per un viaggio di turismo responsabile per le strade di Cuba contattare Viaggi e Miraggi

Città di memoria

Comune di Parigi

«Ho sempre pensato che certi luoghi sono calamite, che ti attraggono se passi nei paraggi». Con queste parole in epigrafe del Nobel Patrick Modiano si apre l’introduzione al nuovo libro di Mario Maffi, Città di memoria (il Saggiatore). Come un rabdomante di storie Maffi si aggira per i luoghi in cerca di rimanenze della storia e della memoria, elementi sospesi in una sacca di tempo, in attesa di essere riportati alla luce. E’ lo stesso Mario Maffi, per oltre quarant’anni docente di Letteratura e cultura angloamericana all’Università degli Studi di Milano, a guidarci nel passato e nel presente di sei metropoli: New York, New Orleans, Parigi, Manchester-Salford e Londra. Un viaggio che parte dal Lower East Side, prediletto territorio d’esplorazione newyorkese: Mario ne ripercorre la storia a partire dai grandi tenements stipati di immigrati… A seguire esploriamo New Orleans (già sfiorata da Mario in un altro libro maestoso come Mississippi, che in Francia, gli è valso il Premio Ptolémée de Géographie), scoprendo la Napoleon House e la Faulkner House Books. Segue il vagabondaggio sotto le ceneri della Comune di Parigi… Ci sono poi le città gemelle di Manchester e Salford, per raccontare il massacro di Peterloo che ispirò versi a Shelley e a Byron contro un politicante («Qui giacciono le ossa di Castlereagh / Fermatevi, viaggiatori, e pisciate»). E infine c’è l’East End di Londra, forse la città più amata da Maffi…

Avvento in Tirolo

Alfons Walde_pittore di Kitzbuel

Un mese prima del 24 dicembre il Tirolo tira fuori dall’armadio antiche tradizioni locali che tornano a rivivere nelle piazze e nelle vie delle città e dei paesi di montagna. Tradizioni che affondano in un universo arcaico, antecedente alla famosa natività di 2014 anni fa. E’ il caso delle notti dell’incenso: poiché si temeva che tra il 25 dicembre e il 6 gennaio gli spiriti maligni potessero visitare le stalle e le case, entrambe venivano ‘purificate’ gettando dell’incenso in una padella piena di brace. O della sarabanda infernale, a Kitzbüel, dei Krampus: ragazzi travestiti da diavoli ai quali per qualche sera è concesso di ‘molestare’ i passanti. La liturgia più gettonata è però quella di fare tappa ai mercatini di Natale per sorseggiare vino caldo speziato, accompagnandolo con i vanillekipferl, cornetti alla vaniglia (ma anche con marzapane, ostie, frutta secca, canditi e glassa di cioccolato). Per sfamare anche la fame di cultura a Kitzbüel si possono ammirare i dipinti di un grande maestro del primo Modernismo austriaco: Alfons Walde (1891-1958). E’ il pittore della neve e degli sport invernali: paesaggi innevati magici sotto un cielo terso, persone impegnate in attivita’ sportive invernali, espressione di spensierata gioia di vivere. Mentre nel castello Bruck a Lienz si possono ammirare i lavori di Albin Egger Lienz (1868-1926), molti dei quali hanno come soggetto i contadini del Tirolo. Andando a sciare  nei numerosi comprensori tirolesi, infine, bisogna mettere in conto che da metà gennaio 2015, per una durata di 22 giorni, a Sölden, nella Valle Ötztal, ed a Obertilliach nell’Osttirol, si rischia di incontrare Daniel Craig, Ralph Fiennes, Christoph Waltz, Monica Bellucci e Léa Seydoux. E’ sulle nevi di questi due borghi tirolesi infatti che Sam Mendes, il regista di “American Beauty” e “James Bond – Skyfall” girerà ‘Spectre’, girerà la prima pellicola che consentirà di vedere James Bond in azione sulle montagne del Tirolo. Chissà se nel determinare questa opzione tirolese abbia giocato il fatto che proprio Ian Fleming, l’autore dei romanzi di James Bond, negli anni ’20 per un periodo di studio sia vissuto proprio a Kitzbühel…

Viaggi, esplorazioni, scalate

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“Si ammira chi è in grado di ‘sconfiggere l’ignoto’, eppure sentiamo l’intimo bisogno che l’ignoto continui ad esistere. Per poter sognare abbiamo bisogno che rimanga una porzione sconosciuta di natura che ci porti verso le prime albe del mondo. Un luogo della nostalgia. Esiste ancora?”

Cerchiamo di rispondere a questa domanda incontrando lo scrittore Marco Albino Ferrari, autore di  “Le prime albe del mondo” (ed. Laterza). Un libro sui generis, a metà tra il mémoire autobiografico e la narrativa non fiction, con una serie di avvincenti storie legate alla montagna e all’esplorazione dei tempi andati e negli angoli più remoti della Terra. Si parte dal Monte Bianco, con la ricostruzione di una vicenda degli anni Trenta che ha dell’incredibile, nella quale la giovane Loulou Boulaz compì l’inimmaginabile. Poi si passa alla Patagonia, al Monte Kenya, a Capo Horn e ai luoghi più selvaggi e misteriosi della Terra, dove Ferrari è stato nel corso di una vita alla ricerca di storie del passato. Da archivi polverosi alle emeroteche nei sotterranei di Nairobi, dalle testimonianze dirette di viaggiatori del Novecento alle consultazioni di vecchi registi di rifugi alpini: sono queste le fonti da cui sgorgano le storie raccontate nel libro.