A Zanzibar anche oggi si respira l’aroma ipnotico del chiodo di garofano, che riempie l’aria e sa d’Africa e d’Oriente. Ma l’arcipelago zanzibarino non è né l’uno, né l’altra. E’ uno strano pesce.
E’ geograficamente africano, ma ‘nuota’ nel naturale punto di approdo delle grandi rotte provenienti dall’India e dalla penisola arabica. Etnicamente è misto: un incrocio di tra neri, arabi e indiani. Culturalmente e religiosamente è islamico: più del 90% della popolazione è musulmano osservante. Amministrativamente, invece, è una sorta di ibrido: sotto il profilo formale Zanzibar fa parte della confederazionetanzaniana, di cui ostenta la bandiera. Oggi però molti zanzibarini sognano il passato per addolcire un presente che non piace. Costoro da tempo pensano che è meglio stare da soli, staccarsi da Daar es Salaam e tornare a prima della rivoluzione del 1964: Zanzibar di qua e il Tanganica di là e amici come prima. O quasi. Nell’attesa le sue spiagge si riempiono di turisti e i vicoli della sua capitale, Stone Town, sono sempre più brulicanti di traffici. La ‘città di pietra’, è una vera e propria trappola del tempo. La sua pianta topografica è un reticolo impazzito tracciato da secoli di architetture senza regole: forti e torrioni dalle mura merlate, i palazzi dei satrapi omaniti, hammam persiani rivestiti di fine marmo bianco, chiese d’un gotico eclettico, le volute del barocco indiano, ordini di colonne doriche a sorreggere edifici coloniali inglesi… Come sempre il nostro consiglio è di praticare il cosiddetto ‘turismo responsabile’. A Zanzibar lo si può fare grazie al progetto Why, un’associazione Onlus di volontariato internazionale che ha la sua base a Jambiani, sulla costa orientale dell’isola: un villaggio che si estende per oltre un chilometro su un incantevole tratto di costa. Un libro da leggere mentre si prende il sole è ‘Memorie di una principessa araba di Zanzibar’ (2004, The Gallery Publications), il diario della principessa Salomè, l’ultima discendente dei sultani omaniti, nata da una relazione del sultano Seyyid Said Busaid con una sua concubina circassa.
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