Marsiglia è i suoi bar

Marsiglia_Bar des 13 coins

Marsiglia è da sempre una zuppa di popoli. Ogni quartiere ha un’anima diversa. E un bar dove fare tappa. Il nostro viaggio inizia dal Bar des 13 Coins, un locale riconoscibile per i suoi affreschi da graffittari degni di Keith Haring. Ubicato nel cuore del Panier, era uno dei locali amati da Jean-Claude Izzo, l’inventore del noir mediterraneo e dei gialli del commissario Montale. Entrambi però avrebbe guardato con raccapriccio la gentrificazione imposta al quartiere. Scendendo verso il porto vecchio si incontra Cup of Tea, il caffè letterario più bello del Panier. Una parete ostenta barattoli di caffè, tutte le altre libri, molti a tema musicale. Abbondano anche i vinili, mentre su una mensola sono accatastati una Stratocaster d’annata, una fisarmonica e un sax. Piegando verso destra si incomincia a vedere il bacino portuale, sede di recenti trasformazioni architettoniche che hanno portato alla nascita del MuCEM, il Museo delle Civiltà d’Europa, e della Villa Méditerranée, che ospita attività di ricerca e spazi di documentazione sul Mediterrano, e alla ristrutturazione dei vecchi docks. Tornati al Vecchio Porto, dopo una sosta a La Caravelle (titolare del miglior balcone sul Vieux Port e del miglior mohito della città) è obbligatoria una sosta a La Maison du Pastis, un negozietto che ha in vendita 95 etichette del liquore profumato d’anice che è la carta d’identita di Marsiglia. Sul lato opposto del quai c’è l’Unic: pareti rosso fuoco, ottima selezione di rhum e una grande foto in bianco e nero di Serge Gainsbourg. Per chi ama i profumi (e le avventure) marine c’è il Sunlight Social Club. E’ lungo la Corniche, all’altezza del promontorio di Malmousque e tra i suoi clienti abbondano i militari della legione straniera residenti nella vicina caserma. Visitando il Marchè des Capucins, l’enclave magrebina di Marsiglia, dopo un brick con le patate alla Patisserie Journo, bisogna fare un salto alla Maison Empereur, il “negozio più bello del mondo”: un buco spazio-temporale che è l’antitesi di un centro commerciale. Due bar anche alla Plaine, un gruzzolo di strade che Izzo in Solea definì “… il quartiere più alla moda di Marsiglia”. Di uno, il Bar des Maraichers, era un frequentatore il Commissario Montale. L’altro, il Bar de la Plaine, è amato dai musicisti: da Manu Chao ai Massilia Sound System, passando per il salentino Claudio Cavallo. Chiusura con il bar e il ristorante della Friche de Belle de May, un’antica manifattura di tabacchi che dal 1992 si è trasformata in uno spazio dedicato alla creazione artistica e alla sperimentazione contemporanea.

Letture consigliate:

“Jean Claude Izzo, storia di un marsigliese” di Stefania Nardini (2015, Edizioni e/o)

“Alcazar – Ultimo spettacolo” di Stefania Nardini (2013, Edizioni e/o)

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Tirolo sugli sci, in bici e a cavallo

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Se d’estate in Tirolo si può andare in bicicletta anche con l’e-bike, grazie a una vasta rete di percorsi, stazioni di noleggio e ricarica delle batterie che vi permetteranno di scoprire paesi da cartolina come Kirchberg, Schwarzsee e Kitzbühel, d’inverno si possono percorrere i suoi boschi, con un paio di sci di fondo ai piedi, battendo le piste di Seefeld. E’ la capitale alpina dello sport nordico, non a caso l’Olympiaregion Seefeld (con i suoi 262 chilometri per lo skating e lo stile classico) è stata tre volte sede dei Giochi Olimpici per le discipline nordiche – 1964, 1972 e in gennaio 2012 per i Giochi Olipici per la Gioventù. Per gli stakanovisti tra Seefeld e Mösern c’è una pista di tre chilometri dove si può sciare anche di sera: la pista è illuminata tutti i giorni dalle ore 17 alle 20. L’ A2 Loipe Lenerwieser invece è una pista di 1,9 chilometri  dove si può sciare insieme al proprio cane. Per chi agli sci preferisce i cavalli nella cittadina di Ebbs il Fohlenhof, un centro equestre che vanta la più antica e famosa scuderia di cavalli Avelignesi. E’ una razza di cavalli bicolor, con il mantello color zenzero, coda e criniera chiarissime. E una memoria impressionante: se gli viene insegnato qualcosa la ricorderanno per sempre, anche a distanza di molti anni. La vostra memoria potrebbe invece avere qualche attimo di crisi se vi intestardite nel provare tutti i gin in vendita allo Stollen 1930: un locale di Kufstein ricavato all’interno di una roccia. La selezione di bottiglie conta ben 811 etichette al mondo, la più ricca al mondo. Per la cena no problem: il menù tirolese è ricco e variegato. E se optate per le osterie e i ristoranti degli chef membri dell’associazione KochArt avrete la certezza che vengono utilizzati  solo prodotti contadini locali di origine controllata. Come colonna sonora non c’è discussione: musica targata Gregor Glanz, l’Elvis locale. Ascoltare per credere…

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Una pagina di lotta partigiana sulle Dolomiti feltrine

Vette Feltrine_Dalla cima del Diavolo il sole si nasconde dietro il monte Ramezza (1)

Intorno alla mezzanotte del 31 agosto 1944, il celebre esploratore Harold William «Bill» Tilman si fa paracadutare dagli Alleati sulle Dolomiti Bellunesi. Con due milioni di lire in tasca per finanziare la guerriglia partigiana, raggiunge il suo posto operativo a fianco dei partigiani della brigata “Gramsci” del comandante Bruno. Nato nel Cheshire nel 1898, Tilman è il continuatore di quella tradizione tutta britannica che ha portato a sventolare l’Union Jack negli ultimi luoghi inesplorati della Terra.

Negli anni trenta insieme ad Eric Shipton divennero la punta di diamante delle esplorazioni coordinate dalle Società Reali inglesi. Nel dopoguerra Tilman si dedicò alle esplorazioni negli angoli più remoti dell’Asia. Quasi sessantenne scoprì il fascino del mare dedicandosi all’esplorazione dei fiordi e dei canali Patagonici, dell’Antartide, di sperdute isole come le Kerguelen e le Spitsbergen. Nel 1977, alla soglia degli 80 anni, scomparve con il suo cutter durante una traversata da Rio de Janeiro a Port Stanley nelle Falkland. Con Marco Albino Ferrari, autore di “Il sentiero degli eroi – Dolomiti 1944. Una storia di resistenza” (Rizzoli Editore), raccontiamo la storia di questo inglese imperturbabile, di poche parole, sempre con il bocchino della pipa tra i denti. Sa muoversi di notte attraverso foreste, valli secondarie e sentieri nascosti, ma è davanti all’accerchiamento finale dei nazisti che il suo spirito combattivo si manifesta. Insieme a quindici uomini trova un nascondiglio sulla parete nord del Monte Ramezza, dove rimarrà tre giorni senza mangiare, sotto la tormenta, senza potersi muovere, e con le vie di uscita bloccate. Quelle montagne meravigliose diventano una trappola mortale, che la neve contribuisce a rendere perfetta. Le montagne (oggi ‘protagoniste’ del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi) sono sono quelle feltrine: un segmento di Dolomiti ingiustamente trascurate, come ci confermano Marcella Morandini (direttore Fondazione Dolomiti Unesco) e Enrico Bacchetti (direttore dell’Isbrec Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea). Per chi volesse seguire le orme di Tilman e degli uomini che erano con lui Roberto Mezzacasa ha ‘inventato’ l’ Alta Via Tilman. Partenza da Falcade, segnata da un bassorilievo dello scultore Franco Murer. Si raggiunge Caviola, poi Forcella della Stia, la valle di Garés e di San Lucano. Si entra quindi nel Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi attraversando la Riserva naturale Piani Eterni – Erera – Val Falcina, quindi verso il Cimonega e le Vette Feltrine. Raggiunto il Monte Grappa si cala fino a Valstagna. Si sale quindi verso l’Altopiano dei Sette Comuni percorrendo i 4.444 scalini della Calà del Sasso, poi Col del Rosso, Cima Ekar, contrada Bertigo a Gallio, Zocchi per terminare al sacrario militare di Asiago. Un percorso che può essere suddiviso in 10 tappe, tutte di un certo impegno.

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Oriente cubano

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Santiago è la capitale dell’Oriente cubano. E’ una città nera. I discendenti degli schiavi africani qui sono molto più numerosi che nel resto dell’isola. Una città meticcia anche nelle sue bevande, come dimostra la Pru: un refresco la cui storia può essere fatta risalire al 1800, dopo la rivoluzione haitiana, quando i coloni francesi, i loro schiavi e gli schiavi liberati si insediarono nelle terre a est di Isla Mayor portando seco usi e costumi. Secondo le tradizioni orali degli haitiani che vivono a Cuba oggi, è la pru a dar loro la forza di completare le dure attività agricole sollevando i loro spiriti e guarendo le loro malattie. Par raggiungere Baracoa, da Santiago, bisogna percorrere una strada che, dopo Guantanamo, si arrampica sui monti. E’ la mitica “Farola“, un regalo di Fidel Castro agli abitanti di Baracoa per l’aiuto ricevuto durante la rivoluzione. Matthew, l’uragano che si è abbattuto su Baracoa lo scorso ottobre, non ha fatto regali. Ha portato solo distruzioni: case scoperchiate, altre sventrate, centinaia di palme (il petrolio locale) decapitate… Il lavoro di prevenzione delle autorità cubane e dei comitati popolari ha impedito che ci fossero vittime anche qui, come è  accaduto nella vicina Haiti. Prima di partire avevamo chiesto agli ascoltatori di Radio Popolare di aiutarci a dare una mano agli abitanti di Baracoa, lanciando l’operazione “Una cazzuola per Cuba”. Avevamo chiesto materiale utile per i lavori di ricostruzione. La generosità dei ns ascoltatori, ancora una volta, non si è fatta attendere e in redazione sono arrivate non solo cazzuole, ma  trapani, pinze, tenaglie, pappagalli, chiodi… La sosta a Baracoa è stata l’occasione per consegnare il materiale raccolto. La visita alla Comandancia de la Plata, sulla Sierra Maestra, è stata invece l’occasione per una immersione nella storia. E’ il cuore di Cuba:  monti di un verde brillante e rigoglioso, le cui vette regalano scorci del mar dei Caraibi. Al belvedere di Alto de Naranjo, nel Parque Nacional Turquino, sopra il villaggio montano di Villa Santo Domingo, i cartelli indicano due sentieri. Il primo porta al Pico Turquino, che con i suoi 1974 metri è la montagna più alta dell’isola. Il secondo conduce alla Comandancia de la Plata. Sono tre chilometri aspri e sconnessi che portano  nel cuore della Sierra, là dove Fidel Castro e Che Guevara per due anni diressero la guerriglia contro le forze di Fulgencio Batista. A poco meno di metà sentiero  c’è la spartana area di sosta Medina. Il nome è mutuato da Osvaldo Medina, un campesino che negli anni della rivoluzione viveva lì in una baracca. Medina, assieme ai suoi figli, faceva parte del Quinteto Rebelde, un gruppo che suonava per i barbudos che vivevano sulla Sierra.  Al termine del sentiero c’è la sede della mitica Comandancia. La capanna-comando di Castro, con il suo letto, le librerie in legno e il frigo a cherosene impreziosito dal buco di una pallottola su un fianco. La baracca dove il medico-comandante Ernesto Guevara de la Serna visitava i feriti e la “Casa de la Prensa”, teatro delle interviste con i giornalisti che si arrampicavano quassù. La nostra ascesa si è avvalsa della competenza di Isaia, un campesino che fa la guida su quei sentieri. Il suo era un eloquio emozionante, dove nelle pause dei racconti, tra i rumori del bosco e i nostri ansiti per le ripide salite, avevamo l’impressione di poter ascoltare la musica del Quinteto Rebelde e la voce di musica del Quintetto Rebelde e la voce di Fidel…

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Dalla Sierra Maestra di Fidel alle nevi del Trentino – Alto Adige

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La puntata di oggi non può che iniziare con un’escursione sulle montagne di Fidel. Nei giorni scorsi, con alcuni viaggiatori di Radio Popolare, abbiamo battuto le pietre a saliscendi del Sentiero de la Plata, sulla Sierra Maestra. E’ il cuore di Cuba: monti di un verde brillante e rigoglioso, le cui vette regalano scorci del mar dei Caraibi. Al belvedere di Alto de Naranjo, nel Parque Nacional Turquino, sopra il villaggio montano di Villa Santo Domingo, i cartelli indicano due sentieri. Il primo porta al Pico Turquino, che con i suoi 1974 metri è la montagna più alta dell’isola. Il secondo conduce alla Comandancia di Fidel. Sono tre chilometri aspri e sconnessi che portano nel cuore della Sierra, là dove Fidel Castro e Che Guevara per due anni diressero la guerriglia contro le forze di Fulgencio Batista. Un’ascesa faticosa compensata da una natura bulimica, durante la quale con un pizzico di fortuna si può avere un incontro ravvicinato con un tocororo, l’uccello nazionale. Emozioni, anche se di altra natura, vengono regalate anche dalla Val d’Ultimo, nei pressi di Merano in Sudtirolo. E’ la meta ideale per i cultori dello sci di fondo. La pista, adiacente al lago di Zoccolo, percorre il fondovalle da Santa Valburga (1190 m) passando sotto alla montagna sino ad arrivare a San Nicolò (1256 m) e a Santa Gertrude (1519 m), per poi tornare lungo il bosco. Per lo sci alpino hanno già riaperto le piste di Obereggen, a meno di mezz’ora di macchina da Bolzano. 48 km, che da gennaio 2017 diventeranno 90 grazie al nuovo Tour panoramico delle Dolomiti: una opportunità unica per un safari sulla neve tra Catinaccio e Latemar, vivendo così il meglio delle due aree sciistiche della Val d’Ega sul versante soleggiato delle Dolomiti. Centinaia di chilometri con gli sci ai piedi anche nelle numerose piste del Trentino (alcune scelte da anni per importanti competizioni internazionali, come nel caso del mitico canalone Miramonti: “il letto” della 3-Tre di Madonna di Campiglio. In più grazie alla proposta Trentino Skisunrise si può sciare all’alba, su neve freschissima e con una luce incredibile (il primo appuntamento sarà il prossimo 6 gennaio a San Martino di Castrozza, info). Per i cultori dello sleddog la Mecca trentina è a Millegrobbe, in Alpe Cimbra (www.alpecimbra.it) dove ci si può inoltrare nei boschi su una slitta in compagnia di una muta di bellissimi Husky. Infine per chi, dopo una giornata nella neve, vuole tirare il fiato con un bagno o un massaggio a giorni aprirà i battenti un centro benessere a Pozza di Fassa, dove ci si potrà rilassare illuminati dalla vista del Catinaccio e, in lontananza, del meraviglioso Sassolungo.

valdultimo.orgobereggen.comvisittrentino.it

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Le due Glasgow

Glasgow, Scotland - Street photography black and white

Oggi Glasgow ha quasi terminato il processo che l’ha trasformata da una città mercantile ed industriale ad una città legata al turismo culturale. Oltre alla rinata Kelvingrove Art Gallery and Museum e ai numerosi edifici griffati Charles Rennie Mackintosh, in questi anni Glasgow si è dotata di nuovi spazi museali e di arene per concerti ed eventi. Nel lato occidentale della città, dove una volta c’era il porto commerciale, oggi sorgono costruzioni impensabili solo qualche lustro fa. E’ il caso dello Shag, acronimo di Scottish Hydro Arena Glasgow: una struttura circolare in vetro e acciaio, simile ad una gigantesca astronave, un’arena futuristica in grado di ospitare circa 12.000 spettatori. Targata Norman Foster, sorge sulla riva del Clyde, lungo il Pacific Quay. A poche decine di metri c’è il Clyde Auditorium, familiarmente conosciuto come “The Armadillo”, un centro congressuale dal tetto in titanio firmato Norman Foster. Sull’altro lato del fiume il Glasgow Science Center, una sorta di mall dedicato alla scienza e la Glasgow Tower da cui si gode una vista strepitosa sulla città. Poco più a valle il Riverside Museum, il museo dei trasporti targato Zaha Hadid. Una rivoluzione architettonica congegnale ad nuova economia, costruita con la cultura e il turismo. La parte orientale della città, East Glasgow, invece è rimasta ferma a qualche lustro fa. Ex dipendenti del porto da anni senza lavoro, in balia di un welfare che lascia molto a desiderare, vivono in questo lato della città. I locali pubblici sembrano fermi a certe cartoline di realtà anglosassoni targate anni Ottanta. E’ qui che si raggiungono i vertici britannici delle classifiche per il tasso di disoccupazione, per i morti di overdose, per il cancro ai polmoni e per omicidi all’arma bianca. Qui le Charity hanno un sacco di lavoro. E pochi anni fa l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha pubblicato un’indagine da cui emerge che la differenza nella speranza di vita tra un bambino nato in un quartiere ricco – nel sud e nell’ovest – e un altro messo al mondo in un quartiere povero della stessa città -nell’est- raggiunge i 28 anni: 54 anni per gli uomini, 75 per le donne. Una incredibile dicotomia. Da un lato la città si propone come una delle tre capitali europee dell’arte contemporanea. Si accaparra riconoscimenti (per esempio quello di ‘città britannica dell’architettura e del design’), attira i maggiori eventi sportivi e i turisti abbienti. E’ quindi logico che sulla stampa europea appaiano lusinghieri reportage, che però sistematicamente dimenticano di citare lo scarto nella speranza di vita tra gli autoctoni. Di come si vive a East Glasgow ce lo racconta un avventore di The Tolbooth, è un pub attivo dal lontano 1906.

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Un percorso cicloturistico sull’Adda

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“È Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare…” (Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, Capitolo IV). Inizia qui, sulla riva sinistra dell’Adda, in un borgo racchiuso tra le ultime propaggini del ramo lecchese del lago di Como e il piccolo lago di Garlate, un percorso per cicloturisti che porta sin nel centro di Milano. Pare che il Manzoni, abituale flâneur tra questi vicoli, abbia partorito il nome del protagonista del suo celebre romanzo guardando le reti dei pescatori (tramagli) stese ad asciugare. Quello che è certo è che l’odierno itinerario cicloturistico, lungo 80 chilometri, e con un modesto dislivello (100 metri scarsi), regala la scoperta di una terra abitata per secoli da contadini e pescatori d’acqua dolce. Un territorio che, nascosti da una natura rigogliosa, a tratti ancora selvaggia, conserva gelosamente echi dei fasti delle corti rinascimentali, la religiosità popolare dei santuari, le filande della rivoluzione industriale e le sfide ingegneristiche del primo Novecento. Un percorso cicloturistico che è stato percorso da Paola Piacentini e Giorgia Battocchio, che qui ci raccontano questa loro esperienza.

Fotografie di Umberto Isman

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In crociera sul Danubio serbo

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Uccelli pescatori, campagne ricche di colture, reperti archeologici, città pregne di storia, musiche a iosa e rakija che scorre a fiumi. Questi alcuni degli ingredienti della crociera lungo il Danubio serbo a cui, lo scorso agosto, hanno partecipato una trentina di ascoltatori di Radio Popolare. Meno di cento chilometri a bordo del Kovin, un battello storico datato 1922. Il nome è mutuato da una città della Vojvodina a 80 km da Belgrado, famosa perché ospita un ospedale psichiatrico, a tal punto che nel linguaggio comune, in Serbia, dire “Sei di Kovin” equivale a dire “Sei matto”. Ed è probabile che proprio per questo motivo sia stato adottato da Emir Kusturica per le riprese di Underground. Tuttora appartiene alla marina fluviale jugoslava, una delle rare istituzioni serbe che ancora portano il nome “Jugoslavia”. Ha solo il ponte di coperta, tra l’altro diviso in due dalla cabina di comando. Quindi metà viaggiatori a poppa, e l’altra metà a prua. Il più delle volte con le gambe sotto due grandi tavoloni dove non mancava mai qualcosa da mangiare, e men che meno da bere. Numerosi anche gli ospiti: scrittori, pittori, giornalisti, ornitologi, musicisti, ballerine… La partenza della crociera è da Novi Sad, che si distende sotto la fortezza di Petrovaradin. E’ la capitale della Voivodina e un vero e proprio crogiolo di etnie. Un crogiolo vitale e operoso che nemmeno Milosevic, nemmeno la guerra, nemmeno le bombe Nato e i nostri pregiudizi sono riusciti a intaccare. L’università funziona, sforna i migliori esperti d’informatica d’Europa. Laboratori producono film, musica, editoria. Comincia qui il mondo ortodosso, con le icone e i pope nerovestiti. Una città multiculturale, oltre che una città con tante culture, è una città con tante musiche. Ce lo testimonia una delle nostre guide, Roni Beraha che con il quartetto d’archi Panonija ci regala un concerto di musica klezmer all’interno della locale sinagoga. Molta musica anche a bordo del Kovin, tra cui quella di Aleksandar Vasov, un pastor / agricoltor / musicista che vive in una fattoria a cavallo tra Serbia, Bulgaria e Macedonia. E’ membro del popolo Šopi, gente divisa tra tre nazioni ma unita da una cultura antica e da una musica altrettanto antica. Sono loro a detenere il copyright della Šopska salat, un’insalata di pomodori, cetrioli, cipolla e un formaggio simile alla Feta con cui iniziano i pranzi nella regione balcanica. A Belgrado incontriamo Dragan Petrovic, giornalista dell’Ansa e corrispondende per Radio Popolare dalla Serbia. Eugenio Berra di Viaggiare i Balcani ci racconta del progetto “Belgrade on the Waterfront” per il quale sono stati stanziati 3.5 miliardi di dollari e 30 anni di lavori. E ci racconta anche delle lotte del gruppo civico “Non facciamo affondare Belgrado”, belgradesi che non vogliono Abu Dhabi sulla Sava. Mirjana Ostojic, di Slow Food Serbia, invece ha curato i frequenti incontri ravvicinati con l’enogastronomia locale: dai presidi alimentari in essere a quelli in arrivo, dall’invenzione di un ‘pranzo neolitico’ presso il sito archeologico di Vinča alle degustazioni di vini e rakjia…

Per un resoconto dettagliato consultate macondoexpressblog.com, il blog del ‘Marco Polo de noartri’: Piero Maderna, un nostro ascoltatore che ha timbrato molti dei viaggi targati Radio Pop.

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La Miami che Bobo Vieri non frequenta

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Nella lingua di sabbia e di paludi tropicali che sta fra il Golfo del Messico e l’Atlantico, dove solo un secolo fa i bambini dell’unico popolo indiano mai sconfitto dai bianchi, i Seminole, cacciavano gli alligatori e dove oggi i coccodrilli delle immobiliari danno la caccia ai pensionati, si staglia quella che è la più grande città latina degli States. Come conferma basta sfogliare la guida del telefono, dove gli Antonio battono gli Antony 4 a 0. Alla lettera “a”, a fronte degli anglofoni Allan, Arthur, Andy e Ariel, lo stesso cognome trova Abel, Adela, Agapito, Alejandro, Amarillis, Ana, Alfredo, Alvaro, Amanda, Amparo, Arcadio, Audalia, Aurora… Quella dei cubani è la comunità latina più importante di Miami-Dade, la Miami metropolitana. Sono state tre le migrazioni di massa da Cuba verso la Florida. La prima iniziò con la lotta dei barbudos per deporre Batista, tra il 1953 e il 1959: la meta degli anticastristi fu Miami, il punto della Florida più facile da raggiungere. Era praticamente una città gemella dell’Avana: identica per clima, flora e fauna. Questi esuli, prevalentemente benestanti, non riuscivano a dimenticare la vita da ricchi che conducevano nell’Avana prerivoluzionaria. ma nonostante la saudade hanno fatto fortuna, politicamente ed economicamente. Di diversa estrazione sociale i cubani arrivati con le due altri grandi ondate migratorie: quella dei marielitos (1980) e quella dei balzeros (1994). La comunità cubana di Miami per anni è stata Repubblicana, con forti accenti conservatori e anticomunisti. Il loro apporto è stato fondamentale per l’elezione di Ronald Reagan prima, e di George W. Bush poi. Ma già nel 2012 più del 40% degli elettori cubano- americani ha votato per Obama. Tre i motivi di questo cambiamento: i dubbi sempre maggiori sull’efficacia della strategia dell’embargo, la preoccupazione che i Repubblicani possano ostacolare il desiderio degli esuli di mantenere i contatti con i familiari rimasti sull’isola e la speranza che, normalizzando i rapporti, con Cuba si possa fare business. Cambiamenti anche nella storica enclave cubana di Little Havana, oggi abitata prevalentemente da nicaraguensi e honduregni. Imperdibile però una tappa nel ristorante Versailles: ai suoi tavoli, dove si sono ordite tutte le trame per invadere Cuba e uccidere Fidel, è garantito h24 il miglior incontro ravvicinato con la cucina cubana. Altro must Ocean Drive, la ‘vasca’ di Miami Beach. Un nastro d’asfalto lungo un chilometro abbondante, dove da un lato c’è una strepitosa spiaggia chilometrica e dall’altra una serie di locali che fanno a gara l’uno con l’altro per chi vende il cocktail più annacquato. In mezzo una folla che ha una sola mission: farsi notare. Vale tutto: dall’affittare per mezz’ora una Ferrari con cui percorrere a passo d’uomo Ocean Drive a vestirsi con abiti che un brianzolo non oserebbe indossare nemmeno a carnevale. Imperdibili anche i musei cittadini, tra cui spicca il PAMM, il Perez Art Museum Miami: uno tra i primi di una nuova generazione di musei che integrano arte e ambiente. Per gli amanti di street art invece ci sono i muri del Wynwood District: Solo pochi anni fa era un distretto desolato pieno di magazzini vuoti, oggi è uno dei più importanti quartieri artistici degli Stati Uniti. I murales sono dappertutto e il secondo sabato di ogni mese le strade si riempiono per le Wynwood Art Walk, “passeggiate artistiche” che richiamano intere folle. Per rifocillarsi il consiglio è un salto da SuViche: menù che incrocia il sushi con il ceviche.

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Borgotaro, la capitale del porcino

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Percorrendo una diramazione dell’Interstate 160, che collega l’Arizona al Colorado, si arriva al Four Corners Monument: l’unico punto del territorio degli Stati Uniti in cui quattro stati (Utah, Colorado, Arizona e Nuovo Mexico) si toccano. Nel nostro piccolo, in Italia, abbiamo un Three Corners Monument: l’unico punto dell’italico suolo dove si incontrano tre regioni (Emilia e Romagna, Toscana e Liguria). Avremo un angolo in meno, ma nelle adiacenze del ‘cippo dei tre confini’ si trovano funghi che negli States nemmeno si sognano… Non è campanilismo, ma una vera e propria certezza visto che nelle adiacenze c’è Borgotaro, la capitale del porcino (l’unico al mondo con certificazione IGP). Sita a 70 km da Parma (e a 90 da La Spezia), da più di quarant’anni, Borgotaro ospita la Fiera del Fungo Porcino IGP: una sagra ideata nel 1975 dalla Società di Mutuo Soccorso Matteo Renato Imbriani. Per conoscere ‘sul campo’ il territorio percorriamo i boschi della valle con Antonio Mortali, guida ambientale ed escursionistica (per chi volesse arrivare preparato studiando a casa ci sono due siti: trekkingtaroceno.it e fracieloemare.it). Mentre il giornalista Mauro del Grosso ci spiega come il fungo, un essere vivente intelligente, è riuscito a conquistare il mondo. E qual’è stato, in questa conquista, il ruolo del fungo della suocera… Renzo, un endurista ecologista, ci racconta come vengono recuperati sentieri vecchi di secoli, mentre Federico ci ricorda che non di soli funghi si vive in Val di Taro (lui infatti coltiva splendide patate indigene). Infine Diego Rossi, il signor sindaco, ci racconta come si vede il mondo da Borgotaro. E che in paese tutti, a prescindere dalla propria fede calcistica, sono affezionati a un mito del calcio romantico: mister Eugenio Bersellini. Per lui il signor Roberto, il ‘farmacista’ del paese, ha sempre pronta da stappare una bottiglia dei suoi liquori senza tempo…

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Montagne segrete

Un viaggio tra le montagne segrete lombarde: montagne minori, ricche però di motivi di interesse e di storie. Le nostre guide sono due redattori della rivista Orobie: Emanuele Falchetti, giornalista e appassionato di montagne, e Ruggero Meles, alpinista e osservatore delle montagne. Grazie a loro scopriamo la Val Cavargna, per secoli dimenticata da Dio e dagli uomini (è la parrocchia ambrosiana più lontana dal Duomo di Milano). Attorniata da splendide montagne che conferiscono al paesaggio un aspetto aspro e selvaggio, dista solo 50 chilometri da Como, ma l’asperità dell’ambiente e le difficili, se non inesistenti vie di comunicazione (soprattutto nella stagione invernale), nei tempi passati, hanno fatto della valle, un luogo chiuso in se stesso ma altrettanto ricco di tradizioni. Gavino Fiori, sindaco di Cavargna, uno dei quattro piccoli comuni della valle, ci parla del Bosco Sacro che protegge il villaggio e di come vecchie strutture militari sono state recuperate e trasformate in rifugi per turisti. Andiamo poi in Valmalenco con Michele Comi, geologo e guida alpina, che ci parla dello stato di salute dei ghiacciai locali e del fascino dei pascoli della Val Gembrè. Ci spostiamo poi a Monno, il paese prima del passo che divide la Val Camonica dalla Valtellina: il Mortirolo, un nome leggendario per tutti i cultori del pedale. Qui incontriamo Nicoletta che ci racconta come ha deciso di coltivare la quinoa e del fascino ancestrale del monte Pagano. Ultimo, ma non ultimo, incontriamo Gianni Greco, capitano di battello: uno che, alla voce professione, sulla tessera del CAI ha scritto ‘marinaio’. Ci parla del monte Crocione, il più affascinante dei monti di Tremezzo. Dalla sua cima, estremamente facile da raggungere dal punto di vista tecnico, si può ammirare un panorama magnifico sul Lario.

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Indirizzo: Unione Sovietica

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Un viaggio in alcuni luoghi emblematici dell’Unione Sovietica. Spazi pubblici e ambienti privati che avevano specifici significati e funzioni ai tempi dell’URSS e che ora ne hanno assunti di completamente diversi, o addirittura sono stati sostituiti da differenti realtà urbane. A farci da guida Gian Piero Piretto, docente di cultura russa all’Università degli Studi di Milano ed autore di “Indirizzo: Unione Sovietica. 25 luoghi di un altro mondo” (Sironi editore, 279 pagine, 22.90 Euro). Un viaggio che parte dai sottopassaggi che consentivano l’attraversamento delle larghissime strade russe su cui, negli anni del socialismo, sfrecciavano radi ma velocissimi mezzi pubblici, taxi e auto di servizio. Piretto ci racconta l’umanità in perenne movimento che li attraversava e quella stanziale che la usava per commerci o appuntamenti galanti. Ma anche delle banje, il bagno di vapore russo, e delle dacie (oggi, sostituite dai cottage dei ‘nuovi russi’). Delle funzioni funebri e dei cimiteri sovietici. E ci spiega perchè i russi, pur non rimpiangendo gli anni del socialismo, ne hanno nostalgia. E’ un aspetto della “malinconia russa”, una parte fondamentale dell’animo russo. In Europa siamo abituati a considerare la malinconia come un sentimento legato al tempo. Per i russi è legato allo spazio. E Piretto ci spiega come stanno insieme tempo e spazio nell’animo russo. Ci racconta anche del perchè Putin, dopo una prima gestione del potere basata sull’economia, oggi si appoggi alla religione e alla cultura. Ci spiega la grandezza, artistica e provocatoria di Vladimir Vysockij, poeta, attore, cantautore e ubriacone amato da milioni di russi. Per chi volesse provare in prima persona il fascino dell’ostalgia è tassativo un salto al Museo dei Videogiochi Arcade Sovietici. Aperto da un anno nel pieno centro di Mosca, a due passi dai grandi magazzini TsUM, è una vera e propria sala giochi sovietica degli anni 70-80. E per chi se lo può permettere è doveroso prenotare una camera in quello che fu l’albergo di Stalin: l’hotel Moskva (oggi è un Four Season), un palazzone voluto da ‘baffone’ che si affaccia sulla piazza Rossa e che negli anni ’30 è stata la vetrina dell’ospitalità sovietica.

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Il cuore di Londra batte sottoterra

Londra

Quello di oggi è un viaggio nella capitale inglese che non vede mai la luce del sole e che sta diventando un modello di crescita urbana e di aggregazione sociale unico al mondo. Nei tunnel dismessi della metropolitana o in quelli utilizzati come rifugi antiaerei durante la seconda guerra mondiale stanno aprendo ristoranti, open space per lo shopping, cinema, teatri e musei. E c’è anche chi coltiva ortaggi e insalata. Emilia Antonia De Vivo, il nostro architetto di riferimento, sceglie come esempio il Thames Tunnel, una galleria sotto il Tamigi che collega Rotherhithe con Wapping. Realizzata tra il 1825 ed 1843 grazie all’ingegno di Sir Marc Brunel e di suo figlio Isambard Kingdom Brunel, a metà ‘800 serviva ai nobili per attraversare il fiume in carrozza (attualmente fa parte della rete ferroviaria London Overground). L’affascinante storia di come il tunnel fu costruito è esposta al Brunel Museum, uno spazio collocato là dove un tempo erano ospitate le macchine a vapore utilizzate per mantenere il tunnel asciutto. Recentemente lo studio di architettura Tate Harmer ha ultimato la ristrutturazione del pozzo di aerazione del tunnel, ora utilizzato per eventi e spettacoli. L’accesso al pozzo è garantito da una piattaforma panoramica a doppia altezza e da una scala monumentale. Il visitatore viene guidato in uno spazio di circa 15 metri di diametro e 15 di profondità, caratterizzato da pareti in mattoni annerite dal fumo dei treni a vapore, che offre uno scenario industriale di grande impatto. La scala è una struttura in acciaio verniciato scuro con il corrimano di un rosso brillante, che appare come un nastro colorato che accompagna in profondità, e funge da quinta teatrale di questo luogo lasciato il più possibile intatto, in modo tale da non alterare il suo forte fascino storico. Oltre al Brunel Museum uno spazio museale che merita di essere scoperto è il Foundling Museum, il “museo dei trovatelli” in Brunswick Square. Il Foundling Museum originariamente era una delle prime case di Londra per bambini abbandonati ed ospitò oltre 27.000 bambini prima della chiusura. Da allora si è trasformata in un museo specializzato con un’ampia collezione di opere d’arte e documenti storici legati ai bambini ospitati e alle terribili condizioni sociali che costringevano i genitori ad abbandonarli. Uno dei suoi fondatori, William Hogarth, incoraggiò gli artisti del suo tempo a donare alla casa opere d’arte in modo da poter ricavare denaro dal pubblico che desiderava ammirare tali opere. Creò così la prima galleria della città nella Foundling House, e ora questo museo londinese ospita opere di artisti quali Gainsborough e Hogarth stesso. Emilia ci racconta della nuova Tate Modern che aprirà i battenti il prossimo 17 giugno (un nuovo edificio di dieci piani dal volume piramidale sfaccettato di vetro e mattoni, che lo studio svizzero Herzog & de Meuron ha innalzato accanto all’ex centrale elettrica di Bankside, sopra le enormi cisterne sotterranee – The Tanks). Invece Coco Michetti, dj di Radio Popolare, ci racconta di alcune venues imperdibili per chi vuole sentire la musica giusta al posto giusto. Da Under the Bridge in Fulham Road ai Tobacco Dock a Wapping, senza dimenticare i templi musicali di Dalston: il Passing Clouds (reggae), the Nest (elettronica), il Vision e il Birthday  (hip hop). Per la cena il consiglio è Gola, al 787 di Fulham Road, un ottimo ristorante italiano con un menu farcito di piatti afrodisiaci.

P.S. Parlando della Londra sotterranea va fatto almeno un cenno alla sua metropolitana. In occasione delle celebrazioni dei suoi 150 anni è uscito un libro che consente di fare un giro nella storia della grafica: London Underground by Design (Penguin, pagg. 288, 24 Euro). Imperdibile

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Berlino: dove volano le idee

Berlino_East Side

Visitare Berlino significa fare viaggi nel tempo e nello spazio, spesso impossibili altrove. Il passato riempie le pareti e i mattoni di palazzi nati con uno scopo e poi diventati qualcos’altro, senza però perdere identità. Illuminante l’esempio della TeppischFabrik, una fabbrica tessile abbandonata che da luogo di produzione è diventata location per eventi e festival: graffiti, installazioni luminose e dipinti lo hanno trasformato in un luogo vitale di creatività urbana. L’architetto Emilia Antonia De Vivo ci racconta le specificità architettoniche di Berlino illustrando la filosofia che regola le visite che organizza in città: partendo dalle IBA Berlin 1957 e IBA 1982-’87 (International BauAusstellung Berlin) per arrivare alle riconversioni contemporanee, come il Tempelhofer Feld, l’ex aeroporto figlio dei deliri di onnipotenza di Hitler oggi paradiso di ciclisti e pattinatori. Grazie a Il Mitte, il quotidiano di Berlino per italiofoni, conosciamo i lavori di due street artist locali: Hera e Akut, conosciuti universalmente come Herakut. Cerchiamo di fare il punto sul famoso muro, scoprendo che pezzi della “barriera” tedesca crollata 26 anni fa sono finiti un po’ ovunque, dal Vaticano a Seul. Regalati dal governo federale o chiesti come ricordo, gli scampoli del muro di Berlino incarnano il bisogno di stare vicino ai simboli. E a proposito di simboli sono ricercatissimi gli oggetti che ricordano la vecchia Berlino est. E’ cool fumare le mitiche f6, una sorta di Nazionali in versione marxista-leninista, e bere Vita Cola, la risposta rossa della Turingia alla famigerata bibita gassata. Tornano a viaggiare gli scoppiettanti motorini modello Schwalbe, prodotti in un’ex fabbrica di Stato della Sassonia, e persino la Trabant, l’auto più brutta di tutti i tempi, è rinata con un modello dotato di navigatore… E’ il delirio ostalgico, da ‘ost’: che in tedesco significa est…

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Tour Napoletani, tra mondo migrante e street art

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Per fare il giro del mondo a volte non occorrono 80 giorni, ma solo qualche ora. Succede con Napoli Migranda, passeggiate interculturali condotte da cittadini di origine straniera, attraverso vicoli e strade, storie e vissuti, sapori e tradizioni delle comunità di migranti che vivono a Napoli. Promossa dalla Cooperativa CASBA, cooperativa di mediatori linguistico-culturali, e avviata grazie al contributo della Tavola Valdese e con il patrocinio del comune di Napoli. Il mercato senegalese di Piazza Garibaldi con i suoi prodotti tipici, le moschee del quartiere Pendino e di piazza Mercato, le pietre importate dall’India e le bigiotterie della Cina di Porta Nolana, i primi fast food magrebini arrivati in città, i phone center somali: sono solo alcune delle tappe dei percorsi proposti da Napoli Migranda. Un tour che termina nei locali dell’Antico Forno Lauri, in via Bologna. Attivo dal 1963, da qualche anno oltre alle sfogliatelle produce qalb al-lawz, al.baqlawa, al-maqroud: dolci arabi prodotti seguendo una ricetta tradizionale algerina. A testimoniare il legame tra Napoli e l’Africa ci pensa anche il Museo della Società Africana d’Italia: due sale espositive (visitabili gratuitamente su appuntamento) e alcune teche ospitate a Palazzo du Mesnil. Più veracemente lo testimonia anche la storia dell’Afro Napoli United, una squadra di calcio che gioca anche con l’obiettivo di combattere la discriminazione e favorire la convivenza paritaria tra napoletani e migranti. Migrante, a modo suo, era anche Diego Armando Maradona: icona ineguagliabile dell’universo calcistico partenopeo. Nei Quartieri Spagnoli è appena tornato in vita lo storico murales gigante dedicato al Pibe de Oro, un restauro reso possibile da una colletta e alla tenacia di commercianti, residenti e artigiani del quartiere (e all’intraprendenza di Salvatore Iodice, un falegname che si è materialmente occupato dei lavori). Quello dedicato a Maradona è solo uno dei numerosi murales che impreziosiscono i muri di Napoli. Per conoscerne storia e autori è nata Napoli Paint Stories: una passeggiata turistica per il centro storico napoletano fra murales, stencil, slogan, poster e graffiti alla scoperta dell’urban art. Sono visite guidate da storici dell’arte ed esperti in arte urbana che danno degli input su cosa viene mostrato affinchè ognuno possa interpretare cosa ha davanti.
Napoli Paint Stories è il frutto di anni di monitoraggio e censimento di tutte le opere murarie esistenti nel centro storico realizzate da artisti locali, tra i quali i napoletani Cyop&Kaf, Felice Pignataro, Arp, DiegoMiedo, Gola, Zolta, Come, Pet e Crl ; e internazionali come Banksy, C215, Zilda, Leo&Pipo.

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