Belfast

Belfast_City Hall di notte

Ci sono tanti muri a Belfast. Quelli di cemento e acciaio che dividono i quartieri cattolici da quelli protestanti. E poi ci sono i muri invisibili alimentati da decenni di guerra civile e odio tra le due comunità. I secondi stanno lentamente crollando, anche se i tremila morti di questo conflitto pesano ancora sulle comunità. La conferma arriva dalle cosiddette Pace Lines. Sono muri, barriere, cancelli, strade interrotte, checkpoint militari e zone di coprifuoco controllate dalla polizia, come se fosse ancora in guerra. Tagliano in due i quartieri più caldi, aree di interfaccia come Shankill, Ardoyne, Short Strand. E’ sui muri di questi quartieri che c’è la maggior concentrazione di murales. Se sino a qualche anno fa il modo migliore per ammirarli era fare un tour a bordo di un Black Taxi (prevalentemente per questioni di sicurezza), oggi si può tranquillamente decidere di immergersi nell’atmosfera di questi quartieri ed esplorarli a piedi partendo dalla Peace Line. Belfast ha anche il muro più inquietante del paese: lungo centinaia di metri eretto, ma si dovrebbe dire scavato, nel sottosuolo del cimitero. E’ alto, ma si dovrebbe dire basso, undici piedi (circa quattro metri) ed è chiamato il sunken wall, il “muro verso il basso”. Nel cimitero i visitatori si muovono liberamente lungo i viali e i sentieri alberati. Nel sottosuolo invece il muro isola i corpi in uno spazio oscuro di terra e sassi dove anche l’ anima rimane imprigionata, segregata, condannata a restare dalla “sua” parte. Un muro che non separa i vivi, ma i morti. Sepolto tra la gente comune, senza mausoleo ma con una tomba addobbata con pochi fiori, una sciarpa del Manchester United ed un gagliardetto del Glentoran, c’è l’eroe che unifica gli abitanti di Belfast: George Best, un brasiliano travestito da irlandese. Capelli lunghi, basette folte, occhi azzurri: fu un calciatore che con una finta ubriacò tutti, anche se stesso. Un uomo che non seppe smarcarsi dalla vita. Sconfinò, dribblò anche la sua epoca, mai stato regolare. Un vero ribelle, e per questo amato. In molti vorrebbero che accanto a lui fosse sepolto anche un altro calciatore: Patrick O’Connell, irlandese, classe 1887 (xche oggi riposa in una anonima tomba londinese). Fu giocatore del Belfast Celtic, formazione filo-irlandese, cattolica e indipendentista, per anni protagonista della partita più accesa dell’Irish League: il match con il Linfield Fc, protestante, filo-britannico e unionista. O’Connel fu anche allenatore del Barcellona e negli anni della Guerra Civile spagnola salvò il club blaugrana dal fallimento. Oggi un murales lo ricorda su un muro di Falls Road. Accanto al suo ritratto quello di un calciatore che senza di lui non avrebbe una squadra: Lionel Messi. Vivo e vegeto è il terzo eroe cittadino: Van the man Morrison, vera e propria istituzione locale. Le sue sono canzoni che danzano sul filo di mescolanze urticanti: dal ribellismo blues e soul degli inizi con gli Them, al folk, al jazz e di nuovo al blues. Con il passare degli anni ha aumentato il talento, è cresciuta la pancia e si è affinato il linguaggio. Per conoscerlo niente di meglio del Van Morrison trail, un percorso guidato lungo le geografie della sua città.

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Progetto Zambesi

Elefanti_ Parco di Hwange

Lo Zambesi è il quarto fiume più lungo dell’Africa (2660 km con un bacino di 1.330.000 km2). Il suo corso è interrotto in molti punti da rapide e salti che lo rendono difficilmente navigabile. Se ne accorse a sue spese anche David Livingstone che il 16 novembre 1855 fu il primo occidentale ad avvistare Mosi-oa-Tunya (il fumo che tuona): le spettacolari e celeberrime cascate che egli ribattezzò Vittoria in onore della sua regina. Il fotografo e foto-giornalista Bruno Zanzottera dell’Agenzia Parallelozero sta curando un reportage durante il quale ripercorre lo Zambesi nella sua totalità (in parte navigandolo). Non è una rivisitazione storica o geografica, ma il racconto di uno spaccato dell’Africa odierna. Un lavoro che affronta le mille sfaccettature relative allo sfruttamento delle acque dello Zambesi, cercando di coniugare le problematiche ambientali con la necessità di tutelare i bisogni degli abitanti dei villaggi e della fauna selvatica che vivono lungo le sue rive. Da questo complesso reportage, per Onde Road, Bruno Zanzottera estrapola alcuni segmenti relativi allo stato di salute di due grandi abitanti di queste regioni: l’elefante e il rinoceronte. L’italo-sudafricana Silvana Olivo, per anni residente in Zimbabwe (dove ha partecipato attivamente alla campagna contro il bracconaggio di rinoceronti) ci inquadra il diverso ‘stato di salute’ dei due grandi pachidermi africani. Mark Butcher e Steve Edwards, due ex ranger di parchi naturali dello Zimbabwe, ci raccontano il loro lavoro, della guerra dei rinoceronti e del che fare (secondo loro) per l’esubero di elefanti nella regione. Johnson Ncube, capo villaggio dell’area di Ngamo, ci spiega cosa significa per i nativi -nel 2015- convivere con gli animali selvatici e con i turisti…

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Strade, vini, grappe e poetica friulana

FRIULI nov 2015 003

E’ un Friuli contadino, terra da cui partivano migliaia di migranti, quello dove nacque nel 1896 Tina Modotti. Donna forte e decisa, la Modotti emigrò prima in Austria, poi negli Stati Uniti e da lì viaggiò seguendo la sua passione politica, la sua vena artistica, il suo credo civile, sperimentando, sempre secondo quell’umanità che la caratterizzava, il teatro, il cinema, la pittura e la fotografia. Udine, dopo averla dimenticata per anni, la omaggia con una retrospettiva ampissima a Casa Cavazzini, il museo cittadino d’Arte Moderna e Contemporanea. Sono esposte oltre cento fotografie, tratte da negativi originali, una serie di immagini e documenti inediti, pervenuti dal lascito della sorella Jolanda, e la documentazione fotografica proveniente dall’INAH di Città del Messico per la prima volta esposta in Europa. Il prof. Paolo Ferrari, uno dei curatori della mostra (e tra gli autori dello splendido catalogo), sottolinea la friulanità dell’artista e come le sue creazioni non possono essere disgiunte dal suo impegno sociale. Remo Anzovino, pianista nativo di Pordenone, ci parla invece di Pier Paolo Pasolini, un altro friulano ‘scomodo’ che lui ha recentemente omaggiato con il brano “L’alba dei tram”, che ha presentato in anteprima nel teatro di Casarsa, il paese dove è sepolto. Il nostro Danilo De Biasio invece è partito alla scoperta del Collio, prima in bicicletta pedalando in compagnia di Emilio Rigatti, un professore delle due ruote, e poi a piedi accompagnato da Luigi Nacci, giornalista e guida escursionistica. Al confine tra Collio e brda slovena, il vignaiolo (o ‘contadino’ come a lui piace essere chiamato) Edi Keber, autentica istituzione enologica della zona, ci parla dell’inutilità dei confini e di come il vino non abbia passaporti. La chiusura è ovviamente con una grappa Nonino. The New York Times ha scritto che “Per decenni la Grappa è stata poco più che una forma tascabile di riscaldamento per i contadini del Nord Italia. Gli italiani più ‘in’ e la maggior parte degli stranieri la disdegnavano. Ma tutto questo accadeva prima che i Nonino di Percoto salissero alla ribalta.” Antonella Nonino, una delle tre figlie di Benito (e Gianola), il discendente di Orazio che nel 1897 aprì la distilleria ai Ronchi di Percoto, ci racconta come sono riusciti a portare la grappa sullo stesso livello dei cognac e digli whisky…

Clicca qui per visitare il sito ufficiale del turismo del Friuli Venezia Giulia.

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Wild Atlantic Way

Wild Atlantic Way

Oltre 2500 chilometri che, costeggiando l’Oceano Atlantico, congiungono Malin Head, il punto più settentrionale dell’Irlanda con Mizen Head, quello più meridionale. O viceversa. Le prime contee da attraversare sono quelle di Donegal e di Sligo, quest’ultima strettamente legata alla memoria di William Butler Yeats, uno dei maggiori poeti del secolo scorso. Procedendo verso sud ci si può perdere nel Connemara, uno scampolo d’Irlanda che per anni è stato un rifugio di banditi e terra d’esilio per gli oppositori. Superata Galway, per qualche scatto, tappa obbligata il terrazzo del Dunguaire Castle, una rocca da dove si gode un panorama meraviglioso. Proseguendo si entra nelle contea di West Clare, celeberrima per i paesaggi creati dall’oceano Atlantico che, con la sua incessante opera, ha creato vertiginose scogliere a strapiombo, le più famose delle quali sono le maestose Cliffs of Moher, il gioiello d’Irlanda. Siamo nel Burren, una distesa infinita di roccia calcarea ricca di torrenti sotterranei e grotte inesplorate. Prima di lasciare la regione ci si può spingere  sino al Loop Haed Drive: un susseguirsi di splendide scogliere, turbolenti paesaggi marini e siti storici inaspettati.  Milltown Malbay, un piccolo centro abitato della contea di Clare, è la patria di Willie Clancy, un eroe della musica irlandese. Qui ogni estate si celebra The Willie Clancy Summer School, un festival impreziosito da corsi musicali a cui partecipano anche i bambini del villaggio. Entrando nella contea di Kerry, la patria del Ring of Kerry: un anello costiero che percorre l’intera penisola di Inveragh. Nelle adiacenze un’altra penisola, quella di Dingle, ed è qui che abbiamo conosciuto Antonio, un italiano che vive qui ormai da parecchi anni. In Italia faceva il fotografo (solo b/n), oggi scolpisce la pietra producendo ‘foto tridimensionali’. A Baltimore, un villaggio di pescatori adagiato su una lingua di terra, incastonata fra verdi pascoli e pendii rocciosi della contea di Cork, Captain Nick aspetta i turisti per un giro sull’oceano a caccia (fotografica) di balene. A pochi km c’è il lago salato di Lough Hyne, la prima riserva naturale marina d’Irlanda. E’ una laguna spettacolare, un piccolo specchio d’acqua incastonato nel verde, che nasconde, nelle sue profondità, un’incredibile varietà di specie marine. Talvolta è solcato dalle canoe dell’Atlantic Sea Kayaking, che di notte sono disponibili per incursioni ‘al chiaro di luna’ nelle acque di un lunghissimo fiordo. Il viaggio lungo la Wild Atlantic Way può chiudersi a Ballaghboy, dove si può prendere l’unica funivia d’Irlanda:  250 metri sull’oceano Atlantico che consentono agli abitanti delle isole di risparmiarsi un pericoloso viaggio attraverso il canale. Sulla funivia di Dursey Island viaggia una fauna promiscua composta da turisti, isolani, provviste, cani e pecore. Dai sedili spuntano fili di grano. Se ci si imbarca all’ora giusta, vista la particolare situazione geografica del sito, si può ammirare “l’ultimo tramonto d’Europa”.

Per maggiori informazioni potete visitare il sito dell’ufficio del turismo, scrivergli una email o contattarli tramite la loro pagina Facebook.

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Campagne della Bassa

Cascina Contina

Cascina Baraggia-Roma. Milano dista solo 26 km, ma sembra lontana anni luce. 120 ettari in gran parte lavorati a riso. Riso fino, famiglia arborio-volano (quello ideale per i risotti). Acque sorgive alimentano immense risaie e persino un paio di laghetti. Un’acqua dalla temperatura costante tutto l’anno: tra i 16 e i 18°. Estate e inverno. Un bosco di abeti e piante anfibie importate dal Giappone su cui svolazzano aironi cinerini, cormorani, corvi, cigni neri e bianchi. E nei mesi invernali anche una comunità di circa 2000 anatre. L’altro giorno c’era un lutto: una volpe, in un colpo solo aveva ucciso, un cigno bianco e uno nero. Nelle acque nuotano balbi, trote e persino qualche anguilla. Il sign Angelo, che vive qui da una vita, ci mostra persino i gusci di quelli che definisce “le cozze d’acqua dolce”, di cui pare siano ghiotti i cormorani. E’ uno scampolo di pianura lombarda, dalle parti di Abbiategrasso. Altre fotografie sono quelle regalate dall’Azienda Agricola Clementina, specializzata nella coltivazione e successiva trasformazione di piccoli frutti come fragole , lamponi, mori e mirtilli. O dalla cascina Fraschina, specializzata nel recupero di ortaggi ed erbe spontanee. Ma nelle cascine di queste campagne si pratica anche la solidarietà. Leggendo “Il paese dell’acqua – I luoghi Pii Elemosinieri di Milano e le loro terre: un itinerario nel paesaggio dal medioevo ai giorni nostri” (Nodo Libri) ho scoperto che questo ruolo sociale ha radici antiche. E che esiste una relazione più stretta di quello che uno si potrebbe immaginare tra uomini diversi, vissuti a distanza di due secoli l’uno dall’altro. E’ il caso di Carlo Mira, ingegnere, consigliere e progettista della Congregazione della Carità (1799-1894), e di Cesare Bianchi (1947-2014), fondatore della esperienza della cascina Contina. Questo territorio, con la sua “diversità” ormai rara nella provincia di Milano, rischia di essere ferito dalla bislacca idea di una tangenziale che dovrebbe collegare Vigevano con Malpensa: una colata d’asfalto che lo attraverserebbe e lo devasterebbe. Per info sulla lotta contro questo scempio visita notangenziale.org.

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Il Cervino: più che una montagna

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Il Cervino è “un frammento di mondo, astratto dal suo contesto geografico e sociale, che grazie all’intrinseca bellezza (ma si potrebbe parlare a buon diritto di ‘magia’) diventa oggetto del desiderio per milioni di persone, disposte a comprare un biglietto aereo per vederlo”. Così scrive Paolo Paci, autore de “Nel vento e nel ghiaccio ­ Cervino, un viaggio nel mito” (Sperling & Kupfer). Paolo sul Cervino ci è salito assieme alla valanga di turisti che ogni anno lo assaltano: “A consumare il ‘cornetto’ non sono solo alpinisti o calpestatori di Quattromila, specie comuni neirifugi del Vallese e della Valle d’Aosta. Sono individui tra i più improbabili: programmatori del New Jersey e commercialisti di Savona, ingegneri di Hanoi e falegnami carinziani…ognuno conuna sua motivazione e una sua idea, magari folle, della montagna”. Tutto questo perchè il Cervino è un luogo­feticcio, come la Tour Eiffel o le Piramidi. E poiché come loro ha una forma piramidale ci siamo fatti spiegare da Grazia Varisco, artista ed in passato titolare della cattedra di Teoria della percezione all’Accademia di Brera, perchè questa forma geometrica attrae e cattura l’attenzione di milioni di persone. Tra cui anche quella di Edward Whymper, disegnatore ed incisore inglese, che nel 1865, poco più che ventenne, arrivò sulla cima del Cervino battendo sul filo di lana la guida italiana Antoine Carrel, contadino e cacciatore, un valligiano con la visione ‘sportiva’ dell’alpinismo. Chissà se, centocinquanta anni dopo, Whymper e Carrel si sarebbero trovati meglio a Zermat o a Cervinia, le due località tanto diverse l’una dall’altra (la prima svizzera, l’altra italiana) ai piedi del Cervino?

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L’isola di Montecristo: l’arca di Noè del Mediterraneo

Montecristo versante Ovest_@Marco Rolando

Montecristo è l’isola più selvaggia e inaccessibile del Mediterraneo. Nessuno può approdare liberamente, nessuno può bagnarsi nelle acque che circondano quest’oasi di natura sottratta all’uomo. L’isola è accessibile solo dietro un permesso che consente di partecipare a un’ambitissima gita guidata. Ma i permessi sono pochi, le gite si tengono tra maggio e settembre ogni quindici giorni (con una pausa tra luglio e agosto per il caldo eccessivo) e le richieste abbondano. Chi decide di prenotarsi deve mettersi il cuore in pace e attendere la lettera di partecipazione per circa quattro anni. Quando la chiamata arriva e le porte si spalancano, potrà vivere una giornata speciale aggregandosi a una delle piccole comitive che con un traghetto vengono condotte all’approdo, e da lì, scortate lungo uno dei due sentieri diretti ai belvedere, trattenersi 4 ore. Lo scorso gennaio, per la prima volta dall’istituzione della Riserva di Montecristo (1971), è stato concesso a un ‘osservatore’ di vivere e muoversi liberamente sull’isola per un periodo prolungato di circa due settimane. Questo ‘osservatore’, lo scrittore Marco Albino Ferrari, dopo avere dato alle stampe “Montecristo – Dentro i segreti della natura selvaggia” (2015, Laterza), ci racconta la sua esperienza. L’incontro con Giorgio e Luciana, le uniche due persone che sull’isola vivono tutto l’anno: un esempio felice di eremitaggio contemporaneo. L’abitato di Cala Maestra, un’isola nell’isola. Il conte di Montecristo (non quello ‘letterario’ di Alexandre Dumas, ma quello che pochi conoscono: George Watson Taylor). E infine, raccontandoci della strage dei ratti neri, Marco ci racconta della battaglia tra conservazionisti ambientali e animalisti. E indirettamente ci fa riflettere di come noi uomini ci autodefiniamo nel nostro rapporto con la natura.

P.S. Trovandoci nell’arcipelago toscano, grazie al dottor Carmelo Cantone, provveditore delle carceri toscane, abbiamo fatto un salto anche sull’isola-carcere della Gorgona: un modello penitenziario che merita di essere conosciuto

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Iran, la nuova era

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Iran: un paese su cui tutti hanno sentito dire qualcosa, ma che spesso non conoscono per nulla. Un paese che ha una delle percentuali di giovani più alta del mondo, una scolarizzazione e un sistema sanitario fra i più efficienti di tutto il Medio-Oriente e una storia e una cultura millenarie, spesso contigue a quella del nostro paese per secoli.

L’Iran e la moralizzazione islamica: tutto vero, la popolazione è ancora in affanno, nella ricerca di un difficile equilibrio fra il rispetto delle severe leggi di comportamento e lo slancio di modernità che si respira in tutto il paese. Eppure, appena si entra in contatto con questa popolazione cordiale, entusiasta e intelligente, la sensazione è che molto sia cambiato e che soprattutto molto stia per cambiare.

Tutti sono consapevoli che l’apertura agli Stati Uniti porterà un cambiamento importante nelle relazioni con l’Occidente. Il turismo, per cui questo paese sembra fatto apposta, con il suo invidiabile mix di archeologia, paesaggi fiabeschi, ricchezze naturali e addirittura coste di mare, potrebbe decollare in pochi anni.

Si respira una frenesia di attività, una tensione verso l’esterno, espressa attraverso tutti i mezzi tecnologici più avanzati, la musica, la cultura. Spesso sono le donne a guidare questa specie di rivoluzione morbida, curiose di tutto ciò che è diverso, ingegnose nell’interpretare le norme di vestiario nel modo più contemporaneo possibile, ansiose di affermazione professionale e intraprendenti negli affari.

Fra gli incredibili bassorilievi di Persepoli, le primordiali montagne del sud, il deserto incontaminato e antico, i locali pieni di misteriose memorie della piazza di Isfahan, i bazaar dove e bello perdersi e ritrovarsi fra zafferani sopraffini e alta pasticceria, o perfino nel traffico impossibile di una megalopoli temeraria come Teheran, la sensazione è che il futuro sia qui e adesso!

Per info: cice.biz  •  aitotours.com  •  mahan.aero.en

Trasmissione a cura di Ira Rubini

Bristol, la città di Banksy

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Bristol è una cittadina distesa sulla costa nord-orientale del Somerset, che vanta diverse originalità tra cui autobus che funzionano con le deiezioni umane e una pianificazione urbanistica rispettosa di ambiente e natura. E’ anche la città dove da 3 anni circola il Bristol Pounds, la prima moneta complementare inglese con cui si  possono fare acquisti nei negozi, ma anche pagare le tasse. Ed è la città che ha dato i natali a Banksy. Se, come era accaduto decenni prima con la musica rock, un fenomeno sovversivo come la street art è oggi anche una realtà di massa con ingenti risvolti commerciali, molto lo si deve proprio a Bansky. Fu lui uno dei principali protagonisti dell’evento che portò lo sguardo dei critici e degli addetti ai lavori sulle opere di artisti che come tele avevano adottato i muri urbani. Era il luglio del 1985 quando la Galleria Arnolfini inaugurò l’esposizione Graffiti art in Britain, documentando le forme d’arte giovanile  presenti sul territorio e dando voce, e spazio, a tutti quei giovani artisti che fino a quel momento avevano potuto esprimersi solo in strada. A tutt’oggi la Galleria Arnolfini continua ad essere un polo di riferimento per l’arte contemporanea inglese. Accanto a giovani artisti che affrescano muri a loro destinati, ragazzini e giovanotti ormai cinquantenni rovistano ogni vicolo del quartiere di Stoke Croft fotografando muri impreziositi da firme che ormai espongono anche nei musei di Los Angeles e Tokyo. Tappa imperdibile la parete del palazzo che ospitava il negozio Subway Records, dove campeggia “Mild Mild West”, una delle prime opere di Bansky. La realizzazione richiese tre giorni di lavoro: nel primo l’artista dipinse completamente il muro di nero utilizzando la vernice per le automobili, nel secondo disegnò l’orso Teddy con la molotov in mano e i poliziotti, mentre il terzo lo dedicò alle parti scritte. Molto apprezzato anche il murale risalente allo scorso ottobre, quando su una parete è apparsa una rivisitazione de “La ragazza con l’orecchino di perla”,  dipinta da Jan Vermeer nel 1665. L’ultima invenzione di Banksy è Dismaland, il bemusement park, aperto a Weston Super Mare, una sconosciuta cittadina inglese sul Canale di Bristol. E’ un parco dei divertimenti al contrario, una tetra allegoria dei parchi divertimenti Disneyland, una denuncia sociale. Aperto al pubblico dal 22 agosto al 27 settembre ha ospitato 150mila visitatori venuti da tutto il mondo. Al momento della chiusura sul sito web di Dismaland, Banksy ha pubblicato un’immagine del campo dei migranti di Calais, sull’altro lato della Manica, e ha sovrapposto il castello di Cerentola del suo parco, che ha rappresentato come fosse stato devastato da un incendio. Un messaggio per annunciare che Dismaland, o alcuni suoi segmenti, verrà rimontato nella zona della cittadina portuale francese dove circa 5mila siriani, libici ed eritrei si trovano accampati?

visitbritain.com  •  visitbristol.co.uk  •  banksy.co.uk  •  dismaland.co.uk

Il sertão dei cangaceiros e di padre Cicero

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Il sertão è una regione semi-arida del Brasile che include molti stati del nord est: da quello di Bahia al Pernambuco, dal Cearà al Piauì. E’ costituito prevalentemente da bassopiani, piazzati ad una altitudine compresa tra 200 e 500 metri sul livello del mare. Qui regna la caatinga, un bioma unico del Nordeste brasiliano che deve il nome alla colorazione chiara delle piante che la compongono: caa (foresta)+ tinga (bianca). Dalla metà seconda metà del XIX secolo è stata terra di banditi, come Virgulino Ferreira da Silva, conosciuto da tutti come Lampião. Della sua donna Maria Gomes de Oliveira, detta Maria Bonita (Maria la bella). E di strani ‘santi’ come Padre Cicero, il Padre Pio del sertão. Erano gli anni dell’epopea dei «cangaceiros», i briganti brasiliani che divennero leggendari e spietati idoli popolari. Allo loro esperienza è legato il termine cangaço, che identifica un movimento sociale, le cui motivazioni e cause sono da ricercarsi nelle particolari condizioni socio-politico-economiche in cui si trovava il nordest del Brasile in quegli anni. Ebbe personaggi che assunsero un rilievo persino leggendario e che si guadagnarono un certo appoggio da parte della popolazione, che vedeva nei cangaceiros l’unica possibilità di proteggersi dallo strapotere dei grandi latifondisti, i cosiddetti Coroneis (Colonnelli). Il brigantaggio praticamente finì con la morte dei due capi storici, Lampiao e Corisco. Entrambi dopo la decapitazione furono portati in giro per le città di Bahia, del Pernambuco, di Alagoas e del Sergipe e solo nel 1969 i resti dei due banditi furono pietosamente sepolti. Oggi nel sertao, oltre a decine di leggende, sopravvive la ‘moda’ lanciata da Lampião e soci: abbigliamento di cuoio, cartucciere a tracolla, gilet ricamato, gambali e cappello a feluca, abbellito da stelle e croci.

(Un grazie particolare a Josè Louiz del Roio per la collaborazione)

Alpe Adria Trail: la versione laica del cammino di Santiago

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Lo scrittore e giornalista Marco Albino Ferrari ci racconta i 700 km dell’Alpe Adria Trail. Un cammino che collega tre regioni (Carinzia, Slovenia e Friuli-Venezia Giulia) in un susseguirsi di 43 tappe complessive. Questo cammino a lunga percorrenza conduce dai piedi della montagna più alta d’Austria, il Großglockner, attraverso i tratti più belli del paesaggio montano e lacustre della Carinzia, sino nei pressi del punto d’incrocio dei tre confini austriaco, sloveno e italiano per poi terminare sulle rive del Mar Adriatico, a Muggia. E’ un itinerario concepito preminentemente all’insegna del piacere di camminare. Il suo decorso si svolge in gran parte in bassa montagna e i dislivelli, per quanto possibile, sono minimi. Ciascuna tappa ha una lunghezza di circa 20 km, si completa pressappoco in 6 ore e presenta una segnaletica omogenea. Il percorso da seguire è ben definito e si può compiere in entrambe le direzioni. Lungo la via si trova almeno un punto di ristoro rinomato per la sua cucina e le località di arrivo sono sempre luoghi con possibilità di pernottamento. Il percorso, che si svolge su sentieri già preesistenti (l’Alpe-Adria-Trail si è ‘limitato’ a raccordarli), è promosso con lo slogan «Passeggiando per il giardino dell’Eden» e metaforicamente sottolinea la grande diversità paesaggistica presente sul versante meridionale delle Alpi e nella porzione di Alpe Adria interessata. Spostandosi dai ghiacciai degli Alti Tauri, costeggiando le sponde di laghi, ruscelli e fiumi, fino a giungere alla costa del Mar Adriatico si scopre la varietà culturale di tre paesi accomunati da una lunga storia.

Gerusalemme: l’anima del mondo

Festival delle luci_Gerusalemme

C’è chi ci viene in pellegrinaggio, chi per semplice curiosità. Una volta qui però è impossibile non rimanere stregati dal suo fascino fatto di un mix di sacro e profano, genti e culture, modernità e archeologia. Le infinite magie di Gerusalemme concedono anche l’inimmaginabile: divorare una shakshuka(*) da Basti, ristorante che ha il pregio di stare in mezzo alla Città Vecchia, ma soprattutto di piazzare tavoli all’aperto proprio davanti alla terza stazione della Via Crucis, quella dove Gesù cadde per la prima volta. Gerusalemme è una città meticcia. Ma ogni comunità è chiusa nel suo quartiere: quasi scontato per chi vive in un territorio conteso. Il modo migliore per visitarla è seguire i suoi gatti, che si muovono da una zona all’altra della città vecchia. Possono passare allegramente da un quartiere all’altro, sfidando le telecamere di sorveglianza e le pattuglie israeliane: se ne infischiano delle restrizioni. Noi cerchiamo di attraversarla con Silvano Mezzenzana, che a Gerusalemme c’è stato un centinaio di volte accompagnando migliaia di pellegrini. Maurizio Principato ci racconta e ci fa ascoltare le sue musiche, a partire da quelle che hanno fatto da colonna sonora alla recente Jerusalem Season of Culture, tra cui il Jerusalem Sacred Music Festival. Stefano Cusin, allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, oggi mister dell’Ahli al Khalil (il team che ha vinto lo scudetto della West Bank e, giocando allo stadio di Gerusalemme, ha appena vinto la supercoppa palestinese), ci racconta perchè per un palestinese è difficile anche giocare a pallone

(*) shakshuka: tipica colazione gerosolimitana: uova preparate in padella con pomodoro, cipolla e, volendo, anche peperoni. Si fa affogare nel sugo un bel po’ di pane e si è ricchi di energia per il resto della giornata.

La foresta degli alberi violino

Foresta_di_Paneveggio

Il legno degli abeti rossi della Val di Fiemme,  il cuore incantato dei Monti Pallidi, custodisce l’antico segreto della fabbricazione di violini perfetti: maestri liutai, tra cui i celeberrimi Stradivari, si recavano fin qui da Cremona per acquistare i legni più pregiati e poi trasformarli in strumenti musicali di rara perfezione. Il legno dei pianoforti cede dopo mezzo secolo. Invece quello dei liuti – viole, violini e violoncelli – ha il diavolo in corpo. Invecchiando migliora. Si racconta che fosse Stradivari in persona ad aggirarsi nella foresta di Paneveggio alla ricerca degli alberi più idonei alla costruzione dei suoi violini, in particolare gli abeti di risonanza, quelli rossi plurisecolari. Il legno dell’abete rosso è, infatti, particolarmente elastico, trasmette meglio il suono e i suoi canali linfatici sono come minuscole canne d’organo che creano risonanza. Da sempre gli alberi si ascoltano da morti. I liutai scelgono i legni giusti già affettati sulle mensole della stagionatura. Li battono, li soppesano, ne misurano la risonanza con strumenti speciali. Nessuno aveva mai provato a far suonare alberi vivi. Ci ha provato il violoncellista Mario Brunello, uno che da piccolo voleva fare il guardiaboschi, che oggi ci racconta questa esperienza. Va anche ricordato che un trekking nel bosco, con un po’ di fortuna, consente di incontrare animali affascinanti come l’urogallo e il cervo. Un grande recinto permette di osservare da vicino un gruppo di questi grandi ungulati. Dal centro visitatori parte un percorso naturalistico con punti di osservazione guidati e illustrati.

La foresta dei violini può essere raggiunta dal Centro Visitatori di Paneveggio (tel. 0462 576283), situato poco lontano dal Lago di Forte Buso, lungo la statale N.50 che da Predazzo sale al Passo Rolle.

Storie veneziane

Corto Maltese a Venezia

“Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in Calle dell’Amor degli amici, un secondo vicino al Ponte delle Meravegie, il terzo in calle dei Marrani, nei pressi di San Geremia in Ghetto Vecchio. Quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite, vanno in questi tre luoghi segreti e, aprendo le Porte che stanno nel fondo di quelle Corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie”

Così termina Favola di Venezia la 25esima delle avventure scritte da Hugo Pratt. Al di là dei luoghi comuni, Venezia città cara, triste, invivibile, Venezia e l’acqua alta… L’amore per questa città non può che essere passionale, una favola. Negli ultimi 25 anni è cambiata parecchio. Esistevano zone malfamate, periferiche, mal frequentate. Oggi sono diventate chic: Santa Marta, San Giacomo, Baia, Castello. C’erano i briganti della città: il Marziano, il Guappo, Cocis. C’erano più veneziani e meno soldi portati dal turismo. Qualcuno rimpiange i tempi andati. Ma il fascino di Venezia resta. Ne parliamo con Gualtiero Bertelli, cantastorie veneziano doc (tra gli anni ’60 e ’70 una delle più apprezzate voci del Nuovo Canzoniere Italiano), sfogliando le pagine del suo libro “Venezia e una fisarmonica” (Nuova dimensione). L’aristocrazia operaia che lavorava all’Arsenale. Le rovine neogotiche del Mulino Stucky (era uno dei più grandi d’Europa, impiegava circa 350 operai e, malgrado un’occupazione di 50 giorni e un’imponente manifestazione con barconi  sul Canal Grande, nel 1954 venne definitivamente chiuso). Le case popolari di Campo di Marte. Il discusso ponte di Calatrava.  Gli angoli verdi della città il vino prodotto con l’uva dorona a  Mazzorbo, un fazzoletto di terra sulla laguna di Venezia, collegata a Burano da un unico piccolo ponte. Bruno Zanzottera, fotografo dell’agenzia Parallelozero, ci parla del viaggio delle murrine, le perle di vetro prodotte a Burano…

Mummie, mercati e due persone che Palermo non dimentica

Murales Falcone e Borsellino

Ballarò è un posto unico, fermo nella sua realtà di sempre, genuino nel bene e nel male, libero eppure chiuso in se stesso, un cuore che pulsa a un ritmo diverso, mentre tutto, lì attorno, scorre veloce e passa. La storia di questo quartiere non si trova tanto nei suoi monumenti, quanto nei suoi vicoli stretti e nei suoi angoli oscuri, sta scritta nelle pietre e negli anfratti, tra le palazzine più nascoste e tra le bancarelle del suo mercato. Un mercato vivo, vociante, colorato e meticcio. Al contrario di quello della Vucciria, che Renato Guttuso dipinse in una celebre tela. Le sue bancarelle di frutta e verdura hanno normali prezzi da supermercato. Ai ganci delle macellerie i quarti di bue hanno smesso di gocciolare per avvenuto dissanguamento: quelli di ieri erano gli stessi del giorno prima e vanno bene per lo scatto di qualche turista ma non per l’arrosto dei consumatori. La ‘riconversione’ commerciale ha portato birra a fiumi e fatto emigrare tonni e acciughe. Ha spostato in avanti le lancette dell’orologio. Un tempo alla Vucciria la vita cominciava all’alba e alle otto di sera c’era il coprifuoco. Oggi è il regno di una movida notturna a base di birra economica, bancarelle che vendono pani ca ‘meusa (pane imbottito con la milza di vitello) e locali, tra cui la leggendaria Taverna Azzurra, dove per un Euro si può bere un bicchiere di Sangue di Sicilia. Altra tappa imperdibile sono le Catacombe dei Cappuccini (catacombepalermo.it), dove migliaia di mummie hanno incantato o disgustato viaggiatori illustri, da Dumas a Maupassant. Queste catacombe violano almeno tre principi della tradizione occidentale: «Secondo le consuetudini, il cadavere dev’essere sepolto da solo; orizzontale e nascosto alla vista». Qui invece «viene esibito», «lo si colloca in posizione eretta, vigile, attenta» e lo si mantiene in gruppo. Lo ricorda Ivan Cenzi in La veglia eterna (Logos edizioni). E’ un ottimo libro per riavvicinarsi alla necropoli senza tenebrismi danbrowneschi o sbarazzine tentazioni pop. Un libro che spiega che trattasi di mummie perché i corpi venivano lavorati. Il rodato metodo dei Cappuccini era «bio»: zero additivi, niente rimozione di viscere e cervello… Invece alla Casa Teatro Ditiremmu (teatroditirammu.it), uno dei più piccoli teatri italiani, la scenografa Francesca Picone (Chicca) si travesta da cantastorie ‘fimmina’ e ci illustra i pannelli che raccontano la storia di Falcone e Borsellino.