In crociera sul Danubio serbo

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Uccelli pescatori, campagne ricche di colture, reperti archeologici, città pregne di storia, musiche a iosa e rakija che scorre a fiumi. Questi alcuni degli ingredienti della crociera lungo il Danubio serbo a cui, lo scorso agosto, hanno partecipato una trentina di ascoltatori di Radio Popolare. Meno di cento chilometri a bordo del Kovin, un battello storico datato 1922. Il nome è mutuato da una città della Vojvodina a 80 km da Belgrado, famosa perché ospita un ospedale psichiatrico, a tal punto che nel linguaggio comune, in Serbia, dire “Sei di Kovin” equivale a dire “Sei matto”. Ed è probabile che proprio per questo motivo sia stato adottato da Emir Kusturica per le riprese di Underground. Tuttora appartiene alla marina fluviale jugoslava, una delle rare istituzioni serbe che ancora portano il nome “Jugoslavia”. Ha solo il ponte di coperta, tra l’altro diviso in due dalla cabina di comando. Quindi metà viaggiatori a poppa, e l’altra metà a prua. Il più delle volte con le gambe sotto due grandi tavoloni dove non mancava mai qualcosa da mangiare, e men che meno da bere. Numerosi anche gli ospiti: scrittori, pittori, giornalisti, ornitologi, musicisti, ballerine… La partenza della crociera è da Novi Sad, che si distende sotto la fortezza di Petrovaradin. E’ la capitale della Voivodina e un vero e proprio crogiolo di etnie. Un crogiolo vitale e operoso che nemmeno Milosevic, nemmeno la guerra, nemmeno le bombe Nato e i nostri pregiudizi sono riusciti a intaccare. L’università funziona, sforna i migliori esperti d’informatica d’Europa. Laboratori producono film, musica, editoria. Comincia qui il mondo ortodosso, con le icone e i pope nerovestiti. Una città multiculturale, oltre che una città con tante culture, è una città con tante musiche. Ce lo testimonia una delle nostre guide, Roni Beraha che con il quartetto d’archi Panonija ci regala un concerto di musica klezmer all’interno della locale sinagoga. Molta musica anche a bordo del Kovin, tra cui quella di Aleksandar Vasov, un pastor / agricoltor / musicista che vive in una fattoria a cavallo tra Serbia, Bulgaria e Macedonia. E’ membro del popolo Šopi, gente divisa tra tre nazioni ma unita da una cultura antica e da una musica altrettanto antica. Sono loro a detenere il copyright della Šopska salat, un’insalata di pomodori, cetrioli, cipolla e un formaggio simile alla Feta con cui iniziano i pranzi nella regione balcanica. A Belgrado incontriamo Dragan Petrovic, giornalista dell’Ansa e corrispondende per Radio Popolare dalla Serbia. Eugenio Berra di Viaggiare i Balcani ci racconta del progetto “Belgrade on the Waterfront” per il quale sono stati stanziati 3.5 miliardi di dollari e 30 anni di lavori. E ci racconta anche delle lotte del gruppo civico “Non facciamo affondare Belgrado”, belgradesi che non vogliono Abu Dhabi sulla Sava. Mirjana Ostojic, di Slow Food Serbia, invece ha curato i frequenti incontri ravvicinati con l’enogastronomia locale: dai presidi alimentari in essere a quelli in arrivo, dall’invenzione di un ‘pranzo neolitico’ presso il sito archeologico di Vinča alle degustazioni di vini e rakjia…

Per un resoconto dettagliato consultate macondoexpressblog.com, il blog del ‘Marco Polo de noartri’: Piero Maderna, un nostro ascoltatore che ha timbrato molti dei viaggi targati Radio Pop.

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La Miami che Bobo Vieri non frequenta

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Nella lingua di sabbia e di paludi tropicali che sta fra il Golfo del Messico e l’Atlantico, dove solo un secolo fa i bambini dell’unico popolo indiano mai sconfitto dai bianchi, i Seminole, cacciavano gli alligatori e dove oggi i coccodrilli delle immobiliari danno la caccia ai pensionati, si staglia quella che è la più grande città latina degli States. Come conferma basta sfogliare la guida del telefono, dove gli Antonio battono gli Antony 4 a 0. Alla lettera “a”, a fronte degli anglofoni Allan, Arthur, Andy e Ariel, lo stesso cognome trova Abel, Adela, Agapito, Alejandro, Amarillis, Ana, Alfredo, Alvaro, Amanda, Amparo, Arcadio, Audalia, Aurora… Quella dei cubani è la comunità latina più importante di Miami-Dade, la Miami metropolitana. Sono state tre le migrazioni di massa da Cuba verso la Florida. La prima iniziò con la lotta dei barbudos per deporre Batista, tra il 1953 e il 1959: la meta degli anticastristi fu Miami, il punto della Florida più facile da raggiungere. Era praticamente una città gemella dell’Avana: identica per clima, flora e fauna. Questi esuli, prevalentemente benestanti, non riuscivano a dimenticare la vita da ricchi che conducevano nell’Avana prerivoluzionaria. ma nonostante la saudade hanno fatto fortuna, politicamente ed economicamente. Di diversa estrazione sociale i cubani arrivati con le due altri grandi ondate migratorie: quella dei marielitos (1980) e quella dei balzeros (1994). La comunità cubana di Miami per anni è stata Repubblicana, con forti accenti conservatori e anticomunisti. Il loro apporto è stato fondamentale per l’elezione di Ronald Reagan prima, e di George W. Bush poi. Ma già nel 2012 più del 40% degli elettori cubano- americani ha votato per Obama. Tre i motivi di questo cambiamento: i dubbi sempre maggiori sull’efficacia della strategia dell’embargo, la preoccupazione che i Repubblicani possano ostacolare il desiderio degli esuli di mantenere i contatti con i familiari rimasti sull’isola e la speranza che, normalizzando i rapporti, con Cuba si possa fare business. Cambiamenti anche nella storica enclave cubana di Little Havana, oggi abitata prevalentemente da nicaraguensi e honduregni. Imperdibile però una tappa nel ristorante Versailles: ai suoi tavoli, dove si sono ordite tutte le trame per invadere Cuba e uccidere Fidel, è garantito h24 il miglior incontro ravvicinato con la cucina cubana. Altro must Ocean Drive, la ‘vasca’ di Miami Beach. Un nastro d’asfalto lungo un chilometro abbondante, dove da un lato c’è una strepitosa spiaggia chilometrica e dall’altra una serie di locali che fanno a gara l’uno con l’altro per chi vende il cocktail più annacquato. In mezzo una folla che ha una sola mission: farsi notare. Vale tutto: dall’affittare per mezz’ora una Ferrari con cui percorrere a passo d’uomo Ocean Drive a vestirsi con abiti che un brianzolo non oserebbe indossare nemmeno a carnevale. Imperdibili anche i musei cittadini, tra cui spicca il PAMM, il Perez Art Museum Miami: uno tra i primi di una nuova generazione di musei che integrano arte e ambiente. Per gli amanti di street art invece ci sono i muri del Wynwood District: Solo pochi anni fa era un distretto desolato pieno di magazzini vuoti, oggi è uno dei più importanti quartieri artistici degli Stati Uniti. I murales sono dappertutto e il secondo sabato di ogni mese le strade si riempiono per le Wynwood Art Walk, “passeggiate artistiche” che richiamano intere folle. Per rifocillarsi il consiglio è un salto da SuViche: menù che incrocia il sushi con il ceviche.

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Borgotaro, la capitale del porcino

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Percorrendo una diramazione dell’Interstate 160, che collega l’Arizona al Colorado, si arriva al Four Corners Monument: l’unico punto del territorio degli Stati Uniti in cui quattro stati (Utah, Colorado, Arizona e Nuovo Mexico) si toccano. Nel nostro piccolo, in Italia, abbiamo un Three Corners Monument: l’unico punto dell’italico suolo dove si incontrano tre regioni (Emilia e Romagna, Toscana e Liguria). Avremo un angolo in meno, ma nelle adiacenze del ‘cippo dei tre confini’ si trovano funghi che negli States nemmeno si sognano… Non è campanilismo, ma una vera e propria certezza visto che nelle adiacenze c’è Borgotaro, la capitale del porcino (l’unico al mondo con certificazione IGP). Sita a 70 km da Parma (e a 90 da La Spezia), da più di quarant’anni, Borgotaro ospita la Fiera del Fungo Porcino IGP: una sagra ideata nel 1975 dalla Società di Mutuo Soccorso Matteo Renato Imbriani. Per conoscere ‘sul campo’ il territorio percorriamo i boschi della valle con Antonio Mortali, guida ambientale ed escursionistica (per chi volesse arrivare preparato studiando a casa ci sono due siti: trekkingtaroceno.it e fracieloemare.it). Mentre il giornalista Mauro del Grosso ci spiega come il fungo, un essere vivente intelligente, è riuscito a conquistare il mondo. E qual’è stato, in questa conquista, il ruolo del fungo della suocera… Renzo, un endurista ecologista, ci racconta come vengono recuperati sentieri vecchi di secoli, mentre Federico ci ricorda che non di soli funghi si vive in Val di Taro (lui infatti coltiva splendide patate indigene). Infine Diego Rossi, il signor sindaco, ci racconta come si vede il mondo da Borgotaro. E che in paese tutti, a prescindere dalla propria fede calcistica, sono affezionati a un mito del calcio romantico: mister Eugenio Bersellini. Per lui il signor Roberto, il ‘farmacista’ del paese, ha sempre pronta da stappare una bottiglia dei suoi liquori senza tempo…

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Montagne segrete

Un viaggio tra le montagne segrete lombarde: montagne minori, ricche però di motivi di interesse e di storie. Le nostre guide sono due redattori della rivista Orobie: Emanuele Falchetti, giornalista e appassionato di montagne, e Ruggero Meles, alpinista e osservatore delle montagne. Grazie a loro scopriamo la Val Cavargna, per secoli dimenticata da Dio e dagli uomini (è la parrocchia ambrosiana più lontana dal Duomo di Milano). Attorniata da splendide montagne che conferiscono al paesaggio un aspetto aspro e selvaggio, dista solo 50 chilometri da Como, ma l’asperità dell’ambiente e le difficili, se non inesistenti vie di comunicazione (soprattutto nella stagione invernale), nei tempi passati, hanno fatto della valle, un luogo chiuso in se stesso ma altrettanto ricco di tradizioni. Gavino Fiori, sindaco di Cavargna, uno dei quattro piccoli comuni della valle, ci parla del Bosco Sacro che protegge il villaggio e di come vecchie strutture militari sono state recuperate e trasformate in rifugi per turisti. Andiamo poi in Valmalenco con Michele Comi, geologo e guida alpina, che ci parla dello stato di salute dei ghiacciai locali e del fascino dei pascoli della Val Gembrè. Ci spostiamo poi a Monno, il paese prima del passo che divide la Val Camonica dalla Valtellina: il Mortirolo, un nome leggendario per tutti i cultori del pedale. Qui incontriamo Nicoletta che ci racconta come ha deciso di coltivare la quinoa e del fascino ancestrale del monte Pagano. Ultimo, ma non ultimo, incontriamo Gianni Greco, capitano di battello: uno che, alla voce professione, sulla tessera del CAI ha scritto ‘marinaio’. Ci parla del monte Crocione, il più affascinante dei monti di Tremezzo. Dalla sua cima, estremamente facile da raggungere dal punto di vista tecnico, si può ammirare un panorama magnifico sul Lario.

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Indirizzo: Unione Sovietica

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Un viaggio in alcuni luoghi emblematici dell’Unione Sovietica. Spazi pubblici e ambienti privati che avevano specifici significati e funzioni ai tempi dell’URSS e che ora ne hanno assunti di completamente diversi, o addirittura sono stati sostituiti da differenti realtà urbane. A farci da guida Gian Piero Piretto, docente di cultura russa all’Università degli Studi di Milano ed autore di “Indirizzo: Unione Sovietica. 25 luoghi di un altro mondo” (Sironi editore, 279 pagine, 22.90 Euro). Un viaggio che parte dai sottopassaggi che consentivano l’attraversamento delle larghissime strade russe su cui, negli anni del socialismo, sfrecciavano radi ma velocissimi mezzi pubblici, taxi e auto di servizio. Piretto ci racconta l’umanità in perenne movimento che li attraversava e quella stanziale che la usava per commerci o appuntamenti galanti. Ma anche delle banje, il bagno di vapore russo, e delle dacie (oggi, sostituite dai cottage dei ‘nuovi russi’). Delle funzioni funebri e dei cimiteri sovietici. E ci spiega perchè i russi, pur non rimpiangendo gli anni del socialismo, ne hanno nostalgia. E’ un aspetto della “malinconia russa”, una parte fondamentale dell’animo russo. In Europa siamo abituati a considerare la malinconia come un sentimento legato al tempo. Per i russi è legato allo spazio. E Piretto ci spiega come stanno insieme tempo e spazio nell’animo russo. Ci racconta anche del perchè Putin, dopo una prima gestione del potere basata sull’economia, oggi si appoggi alla religione e alla cultura. Ci spiega la grandezza, artistica e provocatoria di Vladimir Vysockij, poeta, attore, cantautore e ubriacone amato da milioni di russi. Per chi volesse provare in prima persona il fascino dell’ostalgia è tassativo un salto al Museo dei Videogiochi Arcade Sovietici. Aperto da un anno nel pieno centro di Mosca, a due passi dai grandi magazzini TsUM, è una vera e propria sala giochi sovietica degli anni 70-80. E per chi se lo può permettere è doveroso prenotare una camera in quello che fu l’albergo di Stalin: l’hotel Moskva (oggi è un Four Season), un palazzone voluto da ‘baffone’ che si affaccia sulla piazza Rossa e che negli anni ’30 è stata la vetrina dell’ospitalità sovietica.

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Il cuore di Londra batte sottoterra

Londra

Quello di oggi è un viaggio nella capitale inglese che non vede mai la luce del sole e che sta diventando un modello di crescita urbana e di aggregazione sociale unico al mondo. Nei tunnel dismessi della metropolitana o in quelli utilizzati come rifugi antiaerei durante la seconda guerra mondiale stanno aprendo ristoranti, open space per lo shopping, cinema, teatri e musei. E c’è anche chi coltiva ortaggi e insalata. Emilia Antonia De Vivo, il nostro architetto di riferimento, sceglie come esempio il Thames Tunnel, una galleria sotto il Tamigi che collega Rotherhithe con Wapping. Realizzata tra il 1825 ed 1843 grazie all’ingegno di Sir Marc Brunel e di suo figlio Isambard Kingdom Brunel, a metà ‘800 serviva ai nobili per attraversare il fiume in carrozza (attualmente fa parte della rete ferroviaria London Overground). L’affascinante storia di come il tunnel fu costruito è esposta al Brunel Museum, uno spazio collocato là dove un tempo erano ospitate le macchine a vapore utilizzate per mantenere il tunnel asciutto. Recentemente lo studio di architettura Tate Harmer ha ultimato la ristrutturazione del pozzo di aerazione del tunnel, ora utilizzato per eventi e spettacoli. L’accesso al pozzo è garantito da una piattaforma panoramica a doppia altezza e da una scala monumentale. Il visitatore viene guidato in uno spazio di circa 15 metri di diametro e 15 di profondità, caratterizzato da pareti in mattoni annerite dal fumo dei treni a vapore, che offre uno scenario industriale di grande impatto. La scala è una struttura in acciaio verniciato scuro con il corrimano di un rosso brillante, che appare come un nastro colorato che accompagna in profondità, e funge da quinta teatrale di questo luogo lasciato il più possibile intatto, in modo tale da non alterare il suo forte fascino storico. Oltre al Brunel Museum uno spazio museale che merita di essere scoperto è il Foundling Museum, il “museo dei trovatelli” in Brunswick Square. Il Foundling Museum originariamente era una delle prime case di Londra per bambini abbandonati ed ospitò oltre 27.000 bambini prima della chiusura. Da allora si è trasformata in un museo specializzato con un’ampia collezione di opere d’arte e documenti storici legati ai bambini ospitati e alle terribili condizioni sociali che costringevano i genitori ad abbandonarli. Uno dei suoi fondatori, William Hogarth, incoraggiò gli artisti del suo tempo a donare alla casa opere d’arte in modo da poter ricavare denaro dal pubblico che desiderava ammirare tali opere. Creò così la prima galleria della città nella Foundling House, e ora questo museo londinese ospita opere di artisti quali Gainsborough e Hogarth stesso. Emilia ci racconta della nuova Tate Modern che aprirà i battenti il prossimo 17 giugno (un nuovo edificio di dieci piani dal volume piramidale sfaccettato di vetro e mattoni, che lo studio svizzero Herzog & de Meuron ha innalzato accanto all’ex centrale elettrica di Bankside, sopra le enormi cisterne sotterranee – The Tanks). Invece Coco Michetti, dj di Radio Popolare, ci racconta di alcune venues imperdibili per chi vuole sentire la musica giusta al posto giusto. Da Under the Bridge in Fulham Road ai Tobacco Dock a Wapping, senza dimenticare i templi musicali di Dalston: il Passing Clouds (reggae), the Nest (elettronica), il Vision e il Birthday  (hip hop). Per la cena il consiglio è Gola, al 787 di Fulham Road, un ottimo ristorante italiano con un menu farcito di piatti afrodisiaci.

P.S. Parlando della Londra sotterranea va fatto almeno un cenno alla sua metropolitana. In occasione delle celebrazioni dei suoi 150 anni è uscito un libro che consente di fare un giro nella storia della grafica: London Underground by Design (Penguin, pagg. 288, 24 Euro). Imperdibile

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Berlino: dove volano le idee

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Visitare Berlino significa fare viaggi nel tempo e nello spazio, spesso impossibili altrove. Il passato riempie le pareti e i mattoni di palazzi nati con uno scopo e poi diventati qualcos’altro, senza però perdere identità. Illuminante l’esempio della TeppischFabrik, una fabbrica tessile abbandonata che da luogo di produzione è diventata location per eventi e festival: graffiti, installazioni luminose e dipinti lo hanno trasformato in un luogo vitale di creatività urbana. L’architetto Emilia Antonia De Vivo ci racconta le specificità architettoniche di Berlino illustrando la filosofia che regola le visite che organizza in città: partendo dalle IBA Berlin 1957 e IBA 1982-’87 (International BauAusstellung Berlin) per arrivare alle riconversioni contemporanee, come il Tempelhofer Feld, l’ex aeroporto figlio dei deliri di onnipotenza di Hitler oggi paradiso di ciclisti e pattinatori. Grazie a Il Mitte, il quotidiano di Berlino per italiofoni, conosciamo i lavori di due street artist locali: Hera e Akut, conosciuti universalmente come Herakut. Cerchiamo di fare il punto sul famoso muro, scoprendo che pezzi della “barriera” tedesca crollata 26 anni fa sono finiti un po’ ovunque, dal Vaticano a Seul. Regalati dal governo federale o chiesti come ricordo, gli scampoli del muro di Berlino incarnano il bisogno di stare vicino ai simboli. E a proposito di simboli sono ricercatissimi gli oggetti che ricordano la vecchia Berlino est. E’ cool fumare le mitiche f6, una sorta di Nazionali in versione marxista-leninista, e bere Vita Cola, la risposta rossa della Turingia alla famigerata bibita gassata. Tornano a viaggiare gli scoppiettanti motorini modello Schwalbe, prodotti in un’ex fabbrica di Stato della Sassonia, e persino la Trabant, l’auto più brutta di tutti i tempi, è rinata con un modello dotato di navigatore… E’ il delirio ostalgico, da ‘ost’: che in tedesco significa est…

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Tour Napoletani, tra mondo migrante e street art

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Per fare il giro del mondo a volte non occorrono 80 giorni, ma solo qualche ora. Succede con Napoli Migranda, passeggiate interculturali condotte da cittadini di origine straniera, attraverso vicoli e strade, storie e vissuti, sapori e tradizioni delle comunità di migranti che vivono a Napoli. Promossa dalla Cooperativa CASBA, cooperativa di mediatori linguistico-culturali, e avviata grazie al contributo della Tavola Valdese e con il patrocinio del comune di Napoli. Il mercato senegalese di Piazza Garibaldi con i suoi prodotti tipici, le moschee del quartiere Pendino e di piazza Mercato, le pietre importate dall’India e le bigiotterie della Cina di Porta Nolana, i primi fast food magrebini arrivati in città, i phone center somali: sono solo alcune delle tappe dei percorsi proposti da Napoli Migranda. Un tour che termina nei locali dell’Antico Forno Lauri, in via Bologna. Attivo dal 1963, da qualche anno oltre alle sfogliatelle produce qalb al-lawz, al.baqlawa, al-maqroud: dolci arabi prodotti seguendo una ricetta tradizionale algerina. A testimoniare il legame tra Napoli e l’Africa ci pensa anche il Museo della Società Africana d’Italia: due sale espositive (visitabili gratuitamente su appuntamento) e alcune teche ospitate a Palazzo du Mesnil. Più veracemente lo testimonia anche la storia dell’Afro Napoli United, una squadra di calcio che gioca anche con l’obiettivo di combattere la discriminazione e favorire la convivenza paritaria tra napoletani e migranti. Migrante, a modo suo, era anche Diego Armando Maradona: icona ineguagliabile dell’universo calcistico partenopeo. Nei Quartieri Spagnoli è appena tornato in vita lo storico murales gigante dedicato al Pibe de Oro, un restauro reso possibile da una colletta e alla tenacia di commercianti, residenti e artigiani del quartiere (e all’intraprendenza di Salvatore Iodice, un falegname che si è materialmente occupato dei lavori). Quello dedicato a Maradona è solo uno dei numerosi murales che impreziosiscono i muri di Napoli. Per conoscerne storia e autori è nata Napoli Paint Stories: una passeggiata turistica per il centro storico napoletano fra murales, stencil, slogan, poster e graffiti alla scoperta dell’urban art. Sono visite guidate da storici dell’arte ed esperti in arte urbana che danno degli input su cosa viene mostrato affinchè ognuno possa interpretare cosa ha davanti.
Napoli Paint Stories è il frutto di anni di monitoraggio e censimento di tutte le opere murarie esistenti nel centro storico realizzate da artisti locali, tra i quali i napoletani Cyop&Kaf, Felice Pignataro, Arp, DiegoMiedo, Gola, Zolta, Come, Pet e Crl ; e internazionali come Banksy, C215, Zilda, Leo&Pipo.

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Come si vive bene a Zurigo…

FIFA Museum

Per sette volte consecutive, Zurigo è stata dichiarata da Mercer la città con la migliore qualità della vita al mondo. Marco Morosini, la nostra quinta colonna zurighese, ci fa due esempi del perchè di questi premi parlandoci dei mezzi di trasporto e delle toilette pubbliche. Zurigo è un ottimo posto dove vivere anche perchè sa governare i propri cambiamenti. Cambiamenti particolarmente evidenti a Zurich West, ex sobborgo industriale della città. Fabbriche e cantieri sono stati riconvertiti in gallerie d’arte, teatri, jazz bar, atelier di giovani stilisti. E c’è persino un centro termale aperto all’interno di un vecchio birrificio. Tutto è figlio di una pianificazione urbanistica progettata verso la fine degli anni ’80 quando la municipalità zurighese doveva risolvere il problema della riconversione di un’area che sino ad allora era stata esclusivamente industriale. Decise di non destinarla al terziario, ma di voler creare un quartiere vivo, dove eventuali uffici dovevano essere solo ai piani superiori degli edifici. A piano terra le licenze sono state concesse solo a laboratori artigiani, negozi, asili… In una città dove il 70% delle abitazioni è in affitto a Zurich West, unitamente alla riconversione dei suoi edifici, è scoppiato il boom delle case di proprietà. Un boom che ha fatto salire i prezzi tanto che oggi si è raggiunta la cifra record di 20.000 Franchi al m2. Questo non ha impedito che uno scampolo di quest’area ‘preziosissima’ sia stata destinata ai profughi che arrivano dagli angoli critici del pianeta. E’ una sorta di installazione fatta di container metallici, convertiti in monolocali, su cui campeggia un enorme cartellone con la scritta ‘Nachbarschaft wäre wenn…’ (La vicinanza sarebbe quando…). Qualcuno ha già iniziato a rispondere e così si possono leggere frasi come …se ci ascoltiamo, …quando ci salutiamo sulla strada, …quando si lascia la porta aperta, …quando ridiamo insieme…
Manifesti nelle strade della città ricordano i festeggiamenti che Zurigo tributa al Dadaismo, il movimento creato un secolo fa al Cabaret Voltaire da Tristan Tzara, Hugo Ball, Hans Harp e altri artisti. Durante tutto il 2016, per conoscere i luoghi del Dadaismo, visitare le mostre e assistere agli eventi del centenario viene distribuita gratuitamente nei musei e all’Ufficio del Turismo della stazione centrale (Zurich Hauptbahnhof) la guida Dada City Zurich. Le stesse informazioni arrivano dalla app City Guide Zurich, scaricabile con Android e iTunes. Oggi la città celebra anche l’apertura di un nuovo museo: il FIFA World Champion Museum, quasi 3mila m2 con cui la FIFA illustra come, ogni giorno, il calcio risvegli emozioni in tutto il mondo. Per capire come affronta questa mission citerò il video che racconta la storia dell’avvocato Nelson Paviotti. Tifoso del Brasile, prima dei mondiali del ’94 giurò che se la sua nazionale avesse vinto il torneo per tutto il resto della vita avrebbe vissuto in un mondo tricromatico: giallo blu e verde, i colori della sua nazionale. Al Rose Bowl di Pasadena il Brasile, battendo l’Italia ai rigori, divenne campione del mondo e da allora l’avvocato Paviotti veste solo giallo blu e verde, mangia solo cibi che abbiano quei tre colori e viaggia con una macchina tricolore. Non contento ha già pensato all’aldilà e per l’occasione si è comprato una bara giallo blu e verde. E’ l’esaltazione della follia, un sentimento che viaggia a braccetto con il calcio. Ma una follia casta, fine a se stessa: lontana anni luce da quella interessata e corrotta che ha colpito alcuni grandi dirigenti della FIFA. Noi facciamo il tifo per l’altra. E siamo contenti che il nuovo museo di Zurigo la pensi come noi…

zuerich.com   –   myswitzerland.com

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Tarvisio, dove i confini si incrociano

Sirene a Villach

Sono poche le località, come Tarvisio, dove nel giro di poche centinaia di metri si incrociano i confini di tre Paesi: Italia, Austria e Slovenia. Tarvisio è anche l’unica località in Europa dove si miscelano tre culture: l’austro-ungarica, la slava e quella friulana. Non a caso è una delle tappe più significative dell’Alpe Adria Trail, il cammino che raccorda tre regioni con lingua e storia diverse: Carinzia, Slovenia e Friuli Venezia Giulia. Ararad Khatchikiàn è quindi il prototipo ideale dell’abitante di un luogo meticcio come Tarvisio. Nato nel deserto del Sahara a Khartoum (Sudan) da padre armeno e madre italiana, si trasferisce con la famiglia in Italia a Gorizia e dopo un viaggio con il fratello Armen in Alaska ( USA ) rimane affascinato da quei territori e dalle sue genti. Assieme al fratello Armèn fonda la prima Scuola Italiana Sleddog nel dicembre del 1985 a Ponte di Legno ( BS ) con l’intento di promuovere lo sport delle slitte trainate da cani: lo Sleddog / Mushing. Nel 1992 si trasferisce con la moglie Monica (prima donna musher Italiana a completare le gare Alpirod e Transitalia ) e con i loro 40 cani a Tarvisio e fonda la Scuola Internazionale Mushing ed un’azienda agrituristica specializzata nella produzione di frutti di bosco ed ortaggi. A pochi chilometri dai laghi di Fusine, unanimemente considerati fra i più begli esempi di lago alpino, visitiamo la miniera di Rabil, a Cave del Predil (attiva sino al 1990 ed ora ecomuseo, info tel. 041.5240119): un luogo affascinante con un paese caratterizzato dal grigiore tipico della company town che contrasta con la bellezza ambientale del paesaggio. Magica è invece l’atmosfera che si respira a Casa Oberrichter, il regno di della signora Marina a Malborghetto, borgo a una manciata di km dal Tarvisio. Le camere sono tutte di legno di abete e larice, sbiancato con ricotta e biossido di zinco. Gli arredi sono dolcemente decorati con i colori alla ricotta usati da Marina Gioitti, che gestisce un laboratorio artigiano aperto agli ospiti. Definirla semplicemente un ristorante o un albergo è riduttivo, è invece una vera e propria esperienza. Da metter in agenda è anche l’escursione oltre confine al resort termale di Warmbad-Villach. Quaranta milioni di litri d’acqua sgorgano giornalmente da sei sorgenti nascoste nelle profondità delle montagne che circondano Villach riempiendo le vasche termali e tutte le strutture dedicate alle terapie mediche. Grazie a questa incredibile quantità d’acqua, il contenuto della vasca è completamente rinnovato nel giro di poche ore. Tra le tante proposte una per bambine, ragazze e signore: la possibilità di trasformarsi in sirene…

turismofvg.itcarinzia.at

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Cuba 2016: el cambio

La quinceanera

Onde Road torna a Cuba a un anno di distanza. La curiosità principale è una: vedere, per dirla con un’espressione presa a prestito dai cubani, come procede il “cambio”: quel processo di piccoli e grandi cambiamenti che il governo di Raul Castro cerca di controllare e dirigere, mentre parallelamente procede il processo di riavvicinamento agli Stati Uniti. Processo che procede, ma non ha ancora eliminato l’embargo statunitense nei confronti di Cuba, in essere dall’ormai lontano 1962. Lo scorso ottobre infatti l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato, a larghissima maggioranza (191 su 193 paesi), a favore della fine dell’embargo. Gli unici due “no” sono arrivati dai rappresentanti di Israele e degli Stati Uniti. Ma nonostante ciò Cuba sta cambiando… Una delle più grandi novità che ho riscontrato, rispetto alla mia visita dello scorso anno, è la parziale liberalizzazione di internet oggi accessibile a tutti i cubani che possono permettersi uno smartphone o un pc. Il governo ha aperto decine di hotspot dove le persone possono accedere a Internet. Cinque sono a L’Avana. Il più popolare e simbolico è quello della Rampa, una della vie più note della capitale: ovvero il tratto di strada in salita lungo circa un chilometro di Calle 23, un’arteria vitale ed affollata a qualsiasi ora del giorno e della notte. Giovani e adulti comprano carte che per due CUC (circa due Euro) consentono un’ora di collegamento, e poi si accalcano sui muretti del viale per inseguire i loro sogni. Questi spazi wi fi oggi sono attivi in tutta l’isola. Li ho trovati facilmente sia a Vignales, cittadina agricola dell’occidente cubano, che a Remedios, un borgo fuori dal tempo a nord di Santa Clara. Basta cercare la piazzetta dove si raccolgono decine di persone armate di cellulari e pc. Accanto a loro è sorta una piccola economia parallela fatta di venditori ambulanti che smerciano noccioline salate e bibite, oltre a ‘bagarini’ che rivendono con la maggiorazione di 1 CUC (tre anzichè due) le carte con i codici per accedere a Internet. Ma il cambio si ‘sente’ anche perchè per la prima volta è sbarcato a Cuba un oggetto del quale nell’isola caraibica si erano perse le tracce da oltre mezzo secolo: un pianoforte a coda Steinway. I cubani di Miami tornano tranquillamente ‘a casa’ per celebrare la quinceanera, la festa che i latino-americani celebrano per i 15 anni delle loro figliole, perchè a Cuba ovviamente costa molto meno che negli States. Il “cambio” ci viene raccontato anche da Paola Larghi del CISP, Comitato Internazionale dei Popoli, una Ong con sede a Roma che da 20 anni lavora a Cuba (Paola ci lavora in prima persona da 10). Da uno storico, professore di Antropologia presso la Universidad de la Habana. E da Salvador Gonzáles Escalona, autore dei murales del Callejon de Hamel… Storie e ipotesi di un processo di cambiamento sociale e politico che nessuno è in grado di dire dove porterà…

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Monte Bondone e Valle dei Laghi

Valle dei laghi TN 02_dic 2015

“Madruzzo è il nome di una famiglia delle nostre parti che dal XVI secolo vide il proprio nome legato a quattro principi vescovi. Una ragazza, che si era messa in testa di sposare un tizio che piaceva a lei, ma non alla famiglia, venne segregata sul Monte Bondone. Fece amicizia con tutti i contadini che ci abitavano e lavoravano. Donava loro parte dei cibi e degli abiti che le venivano inviati dalla famiglia. E quando ereditò la piana del Bondone regalò loro la proprietà di tutte le terre. Costoro, scesi a valle, raccontarono a tutti dell’incredibile donazione: un bel dono, un b(u)on dono, bondone…”. E’ con questa leggenda che Lino Nicolussi spiega la genesi del nome della sua montagna. ‘Sua’ perché il signor Lino, classe 1930, sul Bondone, ci ha passato la vita. Quasi tutta con gli sci ai piedi. “I miei primi sci me li sono costruiti con una accetta. Come attacchi mettevo delle cinghie girate e ai piedi avevo gli zoccoli”. Da Cima Palon, terminale dell’impianto di risalita, Lino ammira per l’ennesima volta il panorama: “Le Dolomiti di Brenta, la Valle dell’Adige, il lago di Garda, Madonna di Campiglio, Pinzolo… Ai piedi tutto Trento”. Nella conca delle Viote del Monte Bondone invece due strutture aspettano i visitatori. La prima è la Terrazza delle Stelle, un osservatorio astronomico ideale per l’osservazione del cielo stellato. La seconda è un giardino botanico, uno dei più antichi e più grandi delle Alpi. Entrambe le strutture sono dependance del MUSE (www.muse.it), il Museo delle Scienze di Trento. E’ uno spazio espositivo di 12.600 mq netti di cui: 3700 di mostre permanenti, 500 mq di mostre temporanee, una serra tropicale di 600 mq, 800 mq di laboratori di ricerca, 500 mq di aule e laboratori didattici. Scendendo dal Bondone sul lato opposto a quello che porta a Trento si arriva nella Valle dei Laghi e l’impressione è quello di essere finiti in uno di quegli angoli della Finlandia dove un lago si sussegue all’altro, con la differenza che ognuno ha la sua specificità. Il lago di Lamar e il lago Santo sono nascosti dai boschi del versante meridionale della Paganaella, mentre quello di cavedine ha delle sponde brulle e sassose. Alcuni, come quello di Bagatol e il lago Solo, sono minuscoli e si trovano nel fondovalle; altri, come il lago di Massenza, hanno una origine glaciale. La valle si presenta con un paesaggio dove la presenza dell’uomo ha trovato la capacità di convivere con le regole della natura. La vegetazione mediterranea si alterna con quella alpina. Castelli sontuosi si nascondono dentro una folta vegetazione. Nei pascoli d’alta montagna mucche, pecore e cavalli convivono con cervi e marmotte. E talvolta devono guardarsi dalle volpi, dall’orso bruno e dall’aquila reale…

visittrentino.it – discovervalledeilaghi.it – montebondone.it

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Belfast

Belfast_City Hall di notte

Ci sono tanti muri a Belfast. Quelli di cemento e acciaio che dividono i quartieri cattolici da quelli protestanti. E poi ci sono i muri invisibili alimentati da decenni di guerra civile e odio tra le due comunità. I secondi stanno lentamente crollando, anche se i tremila morti di questo conflitto pesano ancora sulle comunità. La conferma arriva dalle cosiddette Pace Lines. Sono muri, barriere, cancelli, strade interrotte, checkpoint militari e zone di coprifuoco controllate dalla polizia, come se fosse ancora in guerra. Tagliano in due i quartieri più caldi, aree di interfaccia come Shankill, Ardoyne, Short Strand. E’ sui muri di questi quartieri che c’è la maggior concentrazione di murales. Se sino a qualche anno fa il modo migliore per ammirarli era fare un tour a bordo di un Black Taxi (prevalentemente per questioni di sicurezza), oggi si può tranquillamente decidere di immergersi nell’atmosfera di questi quartieri ed esplorarli a piedi partendo dalla Peace Line. Belfast ha anche il muro più inquietante del paese: lungo centinaia di metri eretto, ma si dovrebbe dire scavato, nel sottosuolo del cimitero. E’ alto, ma si dovrebbe dire basso, undici piedi (circa quattro metri) ed è chiamato il sunken wall, il “muro verso il basso”. Nel cimitero i visitatori si muovono liberamente lungo i viali e i sentieri alberati. Nel sottosuolo invece il muro isola i corpi in uno spazio oscuro di terra e sassi dove anche l’ anima rimane imprigionata, segregata, condannata a restare dalla “sua” parte. Un muro che non separa i vivi, ma i morti. Sepolto tra la gente comune, senza mausoleo ma con una tomba addobbata con pochi fiori, una sciarpa del Manchester United ed un gagliardetto del Glentoran, c’è l’eroe che unifica gli abitanti di Belfast: George Best, un brasiliano travestito da irlandese. Capelli lunghi, basette folte, occhi azzurri: fu un calciatore che con una finta ubriacò tutti, anche se stesso. Un uomo che non seppe smarcarsi dalla vita. Sconfinò, dribblò anche la sua epoca, mai stato regolare. Un vero ribelle, e per questo amato. In molti vorrebbero che accanto a lui fosse sepolto anche un altro calciatore: Patrick O’Connell, irlandese, classe 1887 (xche oggi riposa in una anonima tomba londinese). Fu giocatore del Belfast Celtic, formazione filo-irlandese, cattolica e indipendentista, per anni protagonista della partita più accesa dell’Irish League: il match con il Linfield Fc, protestante, filo-britannico e unionista. O’Connel fu anche allenatore del Barcellona e negli anni della Guerra Civile spagnola salvò il club blaugrana dal fallimento. Oggi un murales lo ricorda su un muro di Falls Road. Accanto al suo ritratto quello di un calciatore che senza di lui non avrebbe una squadra: Lionel Messi. Vivo e vegeto è il terzo eroe cittadino: Van the man Morrison, vera e propria istituzione locale. Le sue sono canzoni che danzano sul filo di mescolanze urticanti: dal ribellismo blues e soul degli inizi con gli Them, al folk, al jazz e di nuovo al blues. Con il passare degli anni ha aumentato il talento, è cresciuta la pancia e si è affinato il linguaggio. Per conoscerlo niente di meglio del Van Morrison trail, un percorso guidato lungo le geografie della sua città.

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Progetto Zambesi

Elefanti_ Parco di Hwange

Lo Zambesi è il quarto fiume più lungo dell’Africa (2660 km con un bacino di 1.330.000 km2). Il suo corso è interrotto in molti punti da rapide e salti che lo rendono difficilmente navigabile. Se ne accorse a sue spese anche David Livingstone che il 16 novembre 1855 fu il primo occidentale ad avvistare Mosi-oa-Tunya (il fumo che tuona): le spettacolari e celeberrime cascate che egli ribattezzò Vittoria in onore della sua regina. Il fotografo e foto-giornalista Bruno Zanzottera dell’Agenzia Parallelozero sta curando un reportage durante il quale ripercorre lo Zambesi nella sua totalità (in parte navigandolo). Non è una rivisitazione storica o geografica, ma il racconto di uno spaccato dell’Africa odierna. Un lavoro che affronta le mille sfaccettature relative allo sfruttamento delle acque dello Zambesi, cercando di coniugare le problematiche ambientali con la necessità di tutelare i bisogni degli abitanti dei villaggi e della fauna selvatica che vivono lungo le sue rive. Da questo complesso reportage, per Onde Road, Bruno Zanzottera estrapola alcuni segmenti relativi allo stato di salute di due grandi abitanti di queste regioni: l’elefante e il rinoceronte. L’italo-sudafricana Silvana Olivo, per anni residente in Zimbabwe (dove ha partecipato attivamente alla campagna contro il bracconaggio di rinoceronti) ci inquadra il diverso ‘stato di salute’ dei due grandi pachidermi africani. Mark Butcher e Steve Edwards, due ex ranger di parchi naturali dello Zimbabwe, ci raccontano il loro lavoro, della guerra dei rinoceronti e del che fare (secondo loro) per l’esubero di elefanti nella regione. Johnson Ncube, capo villaggio dell’area di Ngamo, ci spiega cosa significa per i nativi -nel 2015- convivere con gli animali selvatici e con i turisti…

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Strade, vini, grappe e poetica friulana

FRIULI nov 2015 003

E’ un Friuli contadino, terra da cui partivano migliaia di migranti, quello dove nacque nel 1896 Tina Modotti. Donna forte e decisa, la Modotti emigrò prima in Austria, poi negli Stati Uniti e da lì viaggiò seguendo la sua passione politica, la sua vena artistica, il suo credo civile, sperimentando, sempre secondo quell’umanità che la caratterizzava, il teatro, il cinema, la pittura e la fotografia. Udine, dopo averla dimenticata per anni, la omaggia con una retrospettiva ampissima a Casa Cavazzini, il museo cittadino d’Arte Moderna e Contemporanea. Sono esposte oltre cento fotografie, tratte da negativi originali, una serie di immagini e documenti inediti, pervenuti dal lascito della sorella Jolanda, e la documentazione fotografica proveniente dall’INAH di Città del Messico per la prima volta esposta in Europa. Il prof. Paolo Ferrari, uno dei curatori della mostra (e tra gli autori dello splendido catalogo), sottolinea la friulanità dell’artista e come le sue creazioni non possono essere disgiunte dal suo impegno sociale. Remo Anzovino, pianista nativo di Pordenone, ci parla invece di Pier Paolo Pasolini, un altro friulano ‘scomodo’ che lui ha recentemente omaggiato con il brano “L’alba dei tram”, che ha presentato in anteprima nel teatro di Casarsa, il paese dove è sepolto. Il nostro Danilo De Biasio invece è partito alla scoperta del Collio, prima in bicicletta pedalando in compagnia di Emilio Rigatti, un professore delle due ruote, e poi a piedi accompagnato da Luigi Nacci, giornalista e guida escursionistica. Al confine tra Collio e brda slovena, il vignaiolo (o ‘contadino’ come a lui piace essere chiamato) Edi Keber, autentica istituzione enologica della zona, ci parla dell’inutilità dei confini e di come il vino non abbia passaporti. La chiusura è ovviamente con una grappa Nonino. The New York Times ha scritto che “Per decenni la Grappa è stata poco più che una forma tascabile di riscaldamento per i contadini del Nord Italia. Gli italiani più ‘in’ e la maggior parte degli stranieri la disdegnavano. Ma tutto questo accadeva prima che i Nonino di Percoto salissero alla ribalta.” Antonella Nonino, una delle tre figlie di Benito (e Gianola), il discendente di Orazio che nel 1897 aprì la distilleria ai Ronchi di Percoto, ci racconta come sono riusciti a portare la grappa sullo stesso livello dei cognac e digli whisky…

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