Assalto alle Alpi

“Nel nostro prossimo futuro pende una minaccia sulle Alpi, se si continuerà ad attingere a vecchi stereotipi idealizzanti che riducono la montagna a luogo salvifico di pura “bellezza”, o a parco divertimenti per il turista in fuga dalle città. Come immaginare il loro futuro prossimo? Da qualche decennio a questa parte la montagna è in continua evoluzione. Con il boom economico, i giovani alpigiani avevano creduto in una vita migliore in pianura, in fabbrica. Scendere aveva significato ripudiare l’antica «società della fatica» andando incontro al posto garantito. Così sulle Alpi, con la progressiva assenza umana, ha trionfato un inesorabile processo di rinaturalizzazione. Intere vallate, interi villaggi sono stati abbandonati. Si registra il raddoppio di superficie boscata dal dopoguerra, sono ritornati i grandi carnivori e, in massa, gli animali selvatici. E oggi? Il pericolo reale è che tutto rimanga come adesso, che si continui a immaginare lo stesso sviluppo turistico con nuovi impianti di sci, dimentichi del riscaldamento climatico. Che si continui a cementificare, costruire impianti di risalita, progettare grandi opere inutili e grandi eventi consumatori di suolo”. Sono considerazioni di Marco Albino Ferrari, autore di “Assalto alle Alpi”, edizioni Einaudi . Considerazioni illustrate da storie come quella  della “Porta della Neve di  Viola St. Grée (CN), sulle Alpi Liguri. Negli Anni ’70 e ’80 era il cuore della stazione sciistica della valle Mongia (sede dei mondiali di sci alpino del 1981). La Porta della Neve era un grande condominio piazzato a pochi metri dagli impianti sciistici, ed al suo interno c’era di tutto, da un supermercato ad un cinema, da una piscina a una farmacia.  E tutto era collegato con un complesso sistema di scale mobili. C’erano concerti, feste, sono arrivate fin quassù le ragazze del Drive In, Den Harrow, Fiordaliso, Gegia per i bambini… Ci arrivò persino Ornella Muti. L’idea (e la realizzazione), a metà degli anni Sessanta, venne all’ingegnere Giacomo Augusto Fedriani, un giovane imprenditore, ex campione di sci, che dopo voli ripetuti sulle Alpi Liguri individuò, nella Val Mongia e sulle pendici del Bric Mindino, il luogo ideale per la realizzazione di una stazione sciistica sul modello di quelle sorte nel frattempo sul versante francese. Stazione sciistica e comprensorio alberghiero annesso, parcheggio auto e pullman per turisti e vacanzieri della neve tutto compreso, Genova, la Liguria e la sua autostrada a poche decine di chilometri. Gli anni erano del resto quel che erano; la montagna già esangue di oltre un decennio di immigrazione verso le città: “Considerando che il Comune di Viola trovasi tra territori montani classificati a zona depressa, che la popolazione locale, per i miseri redditi, in quest’ultimo decennio ha perso il 50% degli abitanti che hanno abbandonato il paese natio…” si legge in una deliberazione comunale del 1964 ritrovata da Ferrari. L’idea di una economia bianca, basata sul turismo invernale era, in quegli anni, una possibile ancora di salvezza per territori apparentemente votati all’abbandono, era soprattutto l’idea di un possibile arricchimento economico su modelli di un’economia urbana, allora considerati gli unici possibili. Oggi la Porta della Neve è un abominevole ecomostro…

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