Sarajevo, 30 anni dall’assedio

Trenta anni fa, il 5 aprile 1992, a Sarajevo i cecchini iniziarono a sparare su una folla di dimostranti che manifestava per la pace. Cominciava l’assedio della città, e una nuova guerra nel cuore dell’Europa. In Italia, migliaia di persone si mobilitarono per dare il proprio sostegno alle vittime, portare aiuti, ospitare i profughi. La vittoria dei nazionalisti ha però lasciato una difficile eredità, cambiando profondamente il volto della Bosnia Erzegovina e dell’Europa.

Fa impressione parlare di questo anniversario proprio in questi giorni, quando siamo alle prese con un’altra guerra nel cuore dell’Europa. L’anniversario dell’assedio di Sarajevo coincide con la feroce guerra scatenata da Putin, risvegliando gli spettri della barbara e sanguinaria guerra scatenata da Slobodan Milosevic e dal famigerato generale Ratko Mladic: “Ieri non è mai stato così simile ad oggi”, si legge nella locandina di un evento che si è celebrato a Milano in occasione dell’anniversario. Ma spesso e volentieri, come ha scritto Leonardo Coen sul Fatto Quotidiano,  noi rimuoviamo ciò che è successo ieri e l’altro ieri. Memoria scomoda, quella dei conflitti di civiltà, delle carneficine in nome dell’etnia, le distruzioni vendicative delle secessioni, l’onnipotenza dei sovranismi. Che esorcizziamo ogni volta, ripetendo come un mantra l’ipocrita appello: “Mai più”. E invece, è “sempre più”. Vaglielo a dire, oggi, agli abitanti di Mariupol, o a chi è scampato al massacro di Bucha, che certe cose non dovevano più succedere.

Noi non vogliamo rimuovere nulla. Quando gli ucraini bombardavano i separatisti del Donbass era una guerra. E in quanto tale orrenda. I russi che invadono l’Ucraina è una guerra. E in quanto tale orrenda. Perchè le guerre come eredità, inevitabilmente, portano le Srebrenica e le Bucha. Noi non vogliamo rimuovere nulla di quello che sta succedendo oggi, e nemmeno di quello che è successo dal 2014 nelle regioni russofone dell’Ucraina. E non vogliamo rimuovere nemmeno quello che è successo a Sarajevo trenta anni fa. Con gli ascoltatori di Radio Popolare abbiamo organizzato più di un viaggio in Bosnia, dove la tappa di Sarajevo coincideva con una serie di incontri con chi quella guerra l’ha vissuta. E’ il caso di Kanita Fočak, architetto, interprete giudiziario per la lingua italiana e per la lingua bosniaco-croata-serba. Sarajevese di origine dalmate, con nonni veneziani, sposata in prime nozze con un serbo ortodosso, in seconde nozze con un mussulmano, madre di due figli, vittima diretta dell’assedio di Sarajevo che l’ha lasciata vedova. Oggi, recuperando una vecchia intervista, abbiamo pensato di farci aiutare da lei per non rimuovere quello che è successo 30 anni fa nella sua città, Sarajevo.

Vincenzo Mantovani recensisce “Un secolo in dieci giorni”, un  libro di Konstanty Gebert (ed. Feltrinelli) che parla dei dieci eventi che secondo l’autore rappresentano tutto il Novecento europeo.

Tra questi l’incendio della biblioteca di Sarajevo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *