Viaggio negli stadi

Se unissimo i fedeli delle tre principali religioni monoteiste, probabilmente non raggiungeremmo il numero delle persone che seguono assiduamente il calcio. Ecco perché il calcio non è solo un gioco e gli stadi non sono solo dei campi sportivi: sono lo specchio della realtà in cui sorgono, il termometro culturale della società che li popola e riflettono il contesto storico, sociale e antropologico cui appartengono. Per gli intellettuali della prima modernità, il calcio era legato a una dimensione distopica della vita, un gioco che andava contro natura poiché praticato con i piedi. Il calcio rappresentava un ostacolo all’evoluzione della specie umana (non a caso gli sport delle classi superiori, ad esempio il rugby e il tennis, erano giocati con le mani). Per gli intellettuali engagé, il calcio era uno strumento di distrazione, un’arma borghese che svuotava la vita dell’atleta e del tifoso dall’impegno politico, dal partito e dalla causa rivoluzionaria. Non solo per certi intellettuali del secolo scorso, ma anche per un segmento degli attuali ascoltatori di Radio Popolare. Posizione rispettabile, ma che non condividiamo. Ecco perché oggi faremo un giro del mondo fatto di tappe in alcuni stadi di calcio. Come Lonely Planet utilizzeremo un paio di libri di recente pubblicazione. Il primo è un lavoro di Andrea Ferreri, studioso di culture giovanili e sottoculture. Globetrotter, attivista e agitatore culturale. Il lavoro si intitola “Sugli spalti. In viaggio negli stadi del mondo: storie di sport, popoli e ribelli” (meltemieditore.it). Dal Marakàna di Belgrado alla Bombonera di Buenos Aires, dal Medio Oriente al all’Africa,  il calcio raccontato da Ferreri presuppone la presenza di un pubblico negli stadi. E’ uno sport che produce aggregazione, ma esalta anche l’individualità, uno sport lontano dalle pay-tv e dai diritti televisivi.

Il secondo libro  ci porta a San Siro, lo stadio totem di Milano. Oggi il cielo di San Siro è già cambiato. Dal secondo e terzo anello rosso si vedono i grattacieli di City Life. Sono lampi notturni nell’orizzonte, un affascinante skyline che nessuno dei tifosi, con lo stadio inaccessibile, ha ancora visto. E allora, prima di tornarci, potrebbe essere una buona idea leggersi “C’era una volta a San Siro” (edizpiemme.it). L’autore è Gianfelice Facchetti, figlio del grande Giacinto, regista, attore e narratore di sport. Nelle pagine del suo libro sfilano protagonisti celebrati e dimenticati, derby rosso-nerazzurri, fratelli di campo e fratelli di sangue, gol indimenticabili e gol annullati, notti azzurre, notti magiche o da incubo.

Entrambi i libri evocano un calcio ancestrale, che soddisfa bisogni come l’occupazione del tempo libero e la socialità. Un calcio dove la disciplina e la fatica creavano eroi venuti dal nulla. Un calcio trasmesso di padre in figlio, di generazione in generazione, con il corollario di comportamenti e valori conformi alle aspettative del gruppo e alla cultura di riferimento. Quello che si evince ascoltando dalla sua voce il racconto di quando Giovanni Lodetti cambiò nome per giocare sui prati di periferia o l’epopea di George Best, vissuta percorrendo il George Best Trail a Belfast. Un’esperienza struggente come quella vissuta da Raffaele Kohler quando, in occasione di un derby di Milano, ha suonato la sua tromba in uno stadio vuoto per via della pandemia…

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