Come si vive bene a Zurigo…

FIFA Museum

Per sette volte consecutive, Zurigo è stata dichiarata da Mercer la città con la migliore qualità della vita al mondo. Marco Morosini, la nostra quinta colonna zurighese, ci fa due esempi del perchè di questi premi parlandoci dei mezzi di trasporto e delle toilette pubbliche. Zurigo è un ottimo posto dove vivere anche perchè sa governare i propri cambiamenti. Cambiamenti particolarmente evidenti a Zurich West, ex sobborgo industriale della città. Fabbriche e cantieri sono stati riconvertiti in gallerie d’arte, teatri, jazz bar, atelier di giovani stilisti. E c’è persino un centro termale aperto all’interno di un vecchio birrificio. Tutto è figlio di una pianificazione urbanistica progettata verso la fine degli anni ’80 quando la municipalità zurighese doveva risolvere il problema della riconversione di un’area che sino ad allora era stata esclusivamente industriale. Decise di non destinarla al terziario, ma di voler creare un quartiere vivo, dove eventuali uffici dovevano essere solo ai piani superiori degli edifici. A piano terra le licenze sono state concesse solo a laboratori artigiani, negozi, asili… In una città dove il 70% delle abitazioni è in affitto a Zurich West, unitamente alla riconversione dei suoi edifici, è scoppiato il boom delle case di proprietà. Un boom che ha fatto salire i prezzi tanto che oggi si è raggiunta la cifra record di 20.000 Franchi al m2. Questo non ha impedito che uno scampolo di quest’area ‘preziosissima’ sia stata destinata ai profughi che arrivano dagli angoli critici del pianeta. E’ una sorta di installazione fatta di container metallici, convertiti in monolocali, su cui campeggia un enorme cartellone con la scritta ‘Nachbarschaft wäre wenn…’ (La vicinanza sarebbe quando…). Qualcuno ha già iniziato a rispondere e così si possono leggere frasi come …se ci ascoltiamo, …quando ci salutiamo sulla strada, …quando si lascia la porta aperta, …quando ridiamo insieme…
Manifesti nelle strade della città ricordano i festeggiamenti che Zurigo tributa al Dadaismo, il movimento creato un secolo fa al Cabaret Voltaire da Tristan Tzara, Hugo Ball, Hans Harp e altri artisti. Durante tutto il 2016, per conoscere i luoghi del Dadaismo, visitare le mostre e assistere agli eventi del centenario viene distribuita gratuitamente nei musei e all’Ufficio del Turismo della stazione centrale (Zurich Hauptbahnhof) la guida Dada City Zurich. Le stesse informazioni arrivano dalla app City Guide Zurich, scaricabile con Android e iTunes. Oggi la città celebra anche l’apertura di un nuovo museo: il FIFA World Champion Museum, quasi 3mila m2 con cui la FIFA illustra come, ogni giorno, il calcio risvegli emozioni in tutto il mondo. Per capire come affronta questa mission citerò il video che racconta la storia dell’avvocato Nelson Paviotti. Tifoso del Brasile, prima dei mondiali del ’94 giurò che se la sua nazionale avesse vinto il torneo per tutto il resto della vita avrebbe vissuto in un mondo tricromatico: giallo blu e verde, i colori della sua nazionale. Al Rose Bowl di Pasadena il Brasile, battendo l’Italia ai rigori, divenne campione del mondo e da allora l’avvocato Paviotti veste solo giallo blu e verde, mangia solo cibi che abbiano quei tre colori e viaggia con una macchina tricolore. Non contento ha già pensato all’aldilà e per l’occasione si è comprato una bara giallo blu e verde. E’ l’esaltazione della follia, un sentimento che viaggia a braccetto con il calcio. Ma una follia casta, fine a se stessa: lontana anni luce da quella interessata e corrotta che ha colpito alcuni grandi dirigenti della FIFA. Noi facciamo il tifo per l’altra. E siamo contenti che il nuovo museo di Zurigo la pensi come noi…

zuerich.com   –   myswitzerland.com

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Tarvisio, dove i confini si incrociano

Sirene a Villach

Sono poche le località, come Tarvisio, dove nel giro di poche centinaia di metri si incrociano i confini di tre Paesi: Italia, Austria e Slovenia. Tarvisio è anche l’unica località in Europa dove si miscelano tre culture: l’austro-ungarica, la slava e quella friulana. Non a caso è una delle tappe più significative dell’Alpe Adria Trail, il cammino che raccorda tre regioni con lingua e storia diverse: Carinzia, Slovenia e Friuli Venezia Giulia. Ararad Khatchikiàn è quindi il prototipo ideale dell’abitante di un luogo meticcio come Tarvisio. Nato nel deserto del Sahara a Khartoum (Sudan) da padre armeno e madre italiana, si trasferisce con la famiglia in Italia a Gorizia e dopo un viaggio con il fratello Armen in Alaska ( USA ) rimane affascinato da quei territori e dalle sue genti. Assieme al fratello Armèn fonda la prima Scuola Italiana Sleddog nel dicembre del 1985 a Ponte di Legno ( BS ) con l’intento di promuovere lo sport delle slitte trainate da cani: lo Sleddog / Mushing. Nel 1992 si trasferisce con la moglie Monica (prima donna musher Italiana a completare le gare Alpirod e Transitalia ) e con i loro 40 cani a Tarvisio e fonda la Scuola Internazionale Mushing ed un’azienda agrituristica specializzata nella produzione di frutti di bosco ed ortaggi. A pochi chilometri dai laghi di Fusine, unanimemente considerati fra i più begli esempi di lago alpino, visitiamo la miniera di Rabil, a Cave del Predil (attiva sino al 1990 ed ora ecomuseo, info tel. 041.5240119): un luogo affascinante con un paese caratterizzato dal grigiore tipico della company town che contrasta con la bellezza ambientale del paesaggio. Magica è invece l’atmosfera che si respira a Casa Oberrichter, il regno di della signora Marina a Malborghetto, borgo a una manciata di km dal Tarvisio. Le camere sono tutte di legno di abete e larice, sbiancato con ricotta e biossido di zinco. Gli arredi sono dolcemente decorati con i colori alla ricotta usati da Marina Gioitti, che gestisce un laboratorio artigiano aperto agli ospiti. Definirla semplicemente un ristorante o un albergo è riduttivo, è invece una vera e propria esperienza. Da metter in agenda è anche l’escursione oltre confine al resort termale di Warmbad-Villach. Quaranta milioni di litri d’acqua sgorgano giornalmente da sei sorgenti nascoste nelle profondità delle montagne che circondano Villach riempiendo le vasche termali e tutte le strutture dedicate alle terapie mediche. Grazie a questa incredibile quantità d’acqua, il contenuto della vasca è completamente rinnovato nel giro di poche ore. Tra le tante proposte una per bambine, ragazze e signore: la possibilità di trasformarsi in sirene…

turismofvg.itcarinzia.at

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Cuba 2016: el cambio

La quinceanera

Onde Road torna a Cuba a un anno di distanza. La curiosità principale è una: vedere, per dirla con un’espressione presa a prestito dai cubani, come procede il “cambio”: quel processo di piccoli e grandi cambiamenti che il governo di Raul Castro cerca di controllare e dirigere, mentre parallelamente procede il processo di riavvicinamento agli Stati Uniti. Processo che procede, ma non ha ancora eliminato l’embargo statunitense nei confronti di Cuba, in essere dall’ormai lontano 1962. Lo scorso ottobre infatti l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato, a larghissima maggioranza (191 su 193 paesi), a favore della fine dell’embargo. Gli unici due “no” sono arrivati dai rappresentanti di Israele e degli Stati Uniti. Ma nonostante ciò Cuba sta cambiando… Una delle più grandi novità che ho riscontrato, rispetto alla mia visita dello scorso anno, è la parziale liberalizzazione di internet oggi accessibile a tutti i cubani che possono permettersi uno smartphone o un pc. Il governo ha aperto decine di hotspot dove le persone possono accedere a Internet. Cinque sono a L’Avana. Il più popolare e simbolico è quello della Rampa, una della vie più note della capitale: ovvero il tratto di strada in salita lungo circa un chilometro di Calle 23, un’arteria vitale ed affollata a qualsiasi ora del giorno e della notte. Giovani e adulti comprano carte che per due CUC (circa due Euro) consentono un’ora di collegamento, e poi si accalcano sui muretti del viale per inseguire i loro sogni. Questi spazi wi fi oggi sono attivi in tutta l’isola. Li ho trovati facilmente sia a Vignales, cittadina agricola dell’occidente cubano, che a Remedios, un borgo fuori dal tempo a nord di Santa Clara. Basta cercare la piazzetta dove si raccolgono decine di persone armate di cellulari e pc. Accanto a loro è sorta una piccola economia parallela fatta di venditori ambulanti che smerciano noccioline salate e bibite, oltre a ‘bagarini’ che rivendono con la maggiorazione di 1 CUC (tre anzichè due) le carte con i codici per accedere a Internet. Ma il cambio si ‘sente’ anche perchè per la prima volta è sbarcato a Cuba un oggetto del quale nell’isola caraibica si erano perse le tracce da oltre mezzo secolo: un pianoforte a coda Steinway. I cubani di Miami tornano tranquillamente ‘a casa’ per celebrare la quinceanera, la festa che i latino-americani celebrano per i 15 anni delle loro figliole, perchè a Cuba ovviamente costa molto meno che negli States. Il “cambio” ci viene raccontato anche da Paola Larghi del CISP, Comitato Internazionale dei Popoli, una Ong con sede a Roma che da 20 anni lavora a Cuba (Paola ci lavora in prima persona da 10). Da uno storico, professore di Antropologia presso la Universidad de la Habana. E da Salvador Gonzáles Escalona, autore dei murales del Callejon de Hamel… Storie e ipotesi di un processo di cambiamento sociale e politico che nessuno è in grado di dire dove porterà…

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Monte Bondone e Valle dei Laghi

Valle dei laghi TN 02_dic 2015

“Madruzzo è il nome di una famiglia delle nostre parti che dal XVI secolo vide il proprio nome legato a quattro principi vescovi. Una ragazza, che si era messa in testa di sposare un tizio che piaceva a lei, ma non alla famiglia, venne segregata sul Monte Bondone. Fece amicizia con tutti i contadini che ci abitavano e lavoravano. Donava loro parte dei cibi e degli abiti che le venivano inviati dalla famiglia. E quando ereditò la piana del Bondone regalò loro la proprietà di tutte le terre. Costoro, scesi a valle, raccontarono a tutti dell’incredibile donazione: un bel dono, un b(u)on dono, bondone…”. E’ con questa leggenda che Lino Nicolussi spiega la genesi del nome della sua montagna. ‘Sua’ perché il signor Lino, classe 1930, sul Bondone, ci ha passato la vita. Quasi tutta con gli sci ai piedi. “I miei primi sci me li sono costruiti con una accetta. Come attacchi mettevo delle cinghie girate e ai piedi avevo gli zoccoli”. Da Cima Palon, terminale dell’impianto di risalita, Lino ammira per l’ennesima volta il panorama: “Le Dolomiti di Brenta, la Valle dell’Adige, il lago di Garda, Madonna di Campiglio, Pinzolo… Ai piedi tutto Trento”. Nella conca delle Viote del Monte Bondone invece due strutture aspettano i visitatori. La prima è la Terrazza delle Stelle, un osservatorio astronomico ideale per l’osservazione del cielo stellato. La seconda è un giardino botanico, uno dei più antichi e più grandi delle Alpi. Entrambe le strutture sono dependance del MUSE (www.muse.it), il Museo delle Scienze di Trento. E’ uno spazio espositivo di 12.600 mq netti di cui: 3700 di mostre permanenti, 500 mq di mostre temporanee, una serra tropicale di 600 mq, 800 mq di laboratori di ricerca, 500 mq di aule e laboratori didattici. Scendendo dal Bondone sul lato opposto a quello che porta a Trento si arriva nella Valle dei Laghi e l’impressione è quello di essere finiti in uno di quegli angoli della Finlandia dove un lago si sussegue all’altro, con la differenza che ognuno ha la sua specificità. Il lago di Lamar e il lago Santo sono nascosti dai boschi del versante meridionale della Paganaella, mentre quello di cavedine ha delle sponde brulle e sassose. Alcuni, come quello di Bagatol e il lago Solo, sono minuscoli e si trovano nel fondovalle; altri, come il lago di Massenza, hanno una origine glaciale. La valle si presenta con un paesaggio dove la presenza dell’uomo ha trovato la capacità di convivere con le regole della natura. La vegetazione mediterranea si alterna con quella alpina. Castelli sontuosi si nascondono dentro una folta vegetazione. Nei pascoli d’alta montagna mucche, pecore e cavalli convivono con cervi e marmotte. E talvolta devono guardarsi dalle volpi, dall’orso bruno e dall’aquila reale…

visittrentino.it – discovervalledeilaghi.it – montebondone.it

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Belfast

Belfast_City Hall di notte

Ci sono tanti muri a Belfast. Quelli di cemento e acciaio che dividono i quartieri cattolici da quelli protestanti. E poi ci sono i muri invisibili alimentati da decenni di guerra civile e odio tra le due comunità. I secondi stanno lentamente crollando, anche se i tremila morti di questo conflitto pesano ancora sulle comunità. La conferma arriva dalle cosiddette Pace Lines. Sono muri, barriere, cancelli, strade interrotte, checkpoint militari e zone di coprifuoco controllate dalla polizia, come se fosse ancora in guerra. Tagliano in due i quartieri più caldi, aree di interfaccia come Shankill, Ardoyne, Short Strand. E’ sui muri di questi quartieri che c’è la maggior concentrazione di murales. Se sino a qualche anno fa il modo migliore per ammirarli era fare un tour a bordo di un Black Taxi (prevalentemente per questioni di sicurezza), oggi si può tranquillamente decidere di immergersi nell’atmosfera di questi quartieri ed esplorarli a piedi partendo dalla Peace Line. Belfast ha anche il muro più inquietante del paese: lungo centinaia di metri eretto, ma si dovrebbe dire scavato, nel sottosuolo del cimitero. E’ alto, ma si dovrebbe dire basso, undici piedi (circa quattro metri) ed è chiamato il sunken wall, il “muro verso il basso”. Nel cimitero i visitatori si muovono liberamente lungo i viali e i sentieri alberati. Nel sottosuolo invece il muro isola i corpi in uno spazio oscuro di terra e sassi dove anche l’ anima rimane imprigionata, segregata, condannata a restare dalla “sua” parte. Un muro che non separa i vivi, ma i morti. Sepolto tra la gente comune, senza mausoleo ma con una tomba addobbata con pochi fiori, una sciarpa del Manchester United ed un gagliardetto del Glentoran, c’è l’eroe che unifica gli abitanti di Belfast: George Best, un brasiliano travestito da irlandese. Capelli lunghi, basette folte, occhi azzurri: fu un calciatore che con una finta ubriacò tutti, anche se stesso. Un uomo che non seppe smarcarsi dalla vita. Sconfinò, dribblò anche la sua epoca, mai stato regolare. Un vero ribelle, e per questo amato. In molti vorrebbero che accanto a lui fosse sepolto anche un altro calciatore: Patrick O’Connell, irlandese, classe 1887 (xche oggi riposa in una anonima tomba londinese). Fu giocatore del Belfast Celtic, formazione filo-irlandese, cattolica e indipendentista, per anni protagonista della partita più accesa dell’Irish League: il match con il Linfield Fc, protestante, filo-britannico e unionista. O’Connel fu anche allenatore del Barcellona e negli anni della Guerra Civile spagnola salvò il club blaugrana dal fallimento. Oggi un murales lo ricorda su un muro di Falls Road. Accanto al suo ritratto quello di un calciatore che senza di lui non avrebbe una squadra: Lionel Messi. Vivo e vegeto è il terzo eroe cittadino: Van the man Morrison, vera e propria istituzione locale. Le sue sono canzoni che danzano sul filo di mescolanze urticanti: dal ribellismo blues e soul degli inizi con gli Them, al folk, al jazz e di nuovo al blues. Con il passare degli anni ha aumentato il talento, è cresciuta la pancia e si è affinato il linguaggio. Per conoscerlo niente di meglio del Van Morrison trail, un percorso guidato lungo le geografie della sua città.

discovernorthireland.com   –   irlanda-travel.com

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Progetto Zambesi

Elefanti_ Parco di Hwange

Lo Zambesi è il quarto fiume più lungo dell’Africa (2660 km con un bacino di 1.330.000 km2). Il suo corso è interrotto in molti punti da rapide e salti che lo rendono difficilmente navigabile. Se ne accorse a sue spese anche David Livingstone che il 16 novembre 1855 fu il primo occidentale ad avvistare Mosi-oa-Tunya (il fumo che tuona): le spettacolari e celeberrime cascate che egli ribattezzò Vittoria in onore della sua regina. Il fotografo e foto-giornalista Bruno Zanzottera dell’Agenzia Parallelozero sta curando un reportage durante il quale ripercorre lo Zambesi nella sua totalità (in parte navigandolo). Non è una rivisitazione storica o geografica, ma il racconto di uno spaccato dell’Africa odierna. Un lavoro che affronta le mille sfaccettature relative allo sfruttamento delle acque dello Zambesi, cercando di coniugare le problematiche ambientali con la necessità di tutelare i bisogni degli abitanti dei villaggi e della fauna selvatica che vivono lungo le sue rive. Da questo complesso reportage, per Onde Road, Bruno Zanzottera estrapola alcuni segmenti relativi allo stato di salute di due grandi abitanti di queste regioni: l’elefante e il rinoceronte. L’italo-sudafricana Silvana Olivo, per anni residente in Zimbabwe (dove ha partecipato attivamente alla campagna contro il bracconaggio di rinoceronti) ci inquadra il diverso ‘stato di salute’ dei due grandi pachidermi africani. Mark Butcher e Steve Edwards, due ex ranger di parchi naturali dello Zimbabwe, ci raccontano il loro lavoro, della guerra dei rinoceronti e del che fare (secondo loro) per l’esubero di elefanti nella regione. Johnson Ncube, capo villaggio dell’area di Ngamo, ci spiega cosa significa per i nativi -nel 2015- convivere con gli animali selvatici e con i turisti…

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Strade, vini, grappe e poetica friulana

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E’ un Friuli contadino, terra da cui partivano migliaia di migranti, quello dove nacque nel 1896 Tina Modotti. Donna forte e decisa, la Modotti emigrò prima in Austria, poi negli Stati Uniti e da lì viaggiò seguendo la sua passione politica, la sua vena artistica, il suo credo civile, sperimentando, sempre secondo quell’umanità che la caratterizzava, il teatro, il cinema, la pittura e la fotografia. Udine, dopo averla dimenticata per anni, la omaggia con una retrospettiva ampissima a Casa Cavazzini, il museo cittadino d’Arte Moderna e Contemporanea. Sono esposte oltre cento fotografie, tratte da negativi originali, una serie di immagini e documenti inediti, pervenuti dal lascito della sorella Jolanda, e la documentazione fotografica proveniente dall’INAH di Città del Messico per la prima volta esposta in Europa. Il prof. Paolo Ferrari, uno dei curatori della mostra (e tra gli autori dello splendido catalogo), sottolinea la friulanità dell’artista e come le sue creazioni non possono essere disgiunte dal suo impegno sociale. Remo Anzovino, pianista nativo di Pordenone, ci parla invece di Pier Paolo Pasolini, un altro friulano ‘scomodo’ che lui ha recentemente omaggiato con il brano “L’alba dei tram”, che ha presentato in anteprima nel teatro di Casarsa, il paese dove è sepolto. Il nostro Danilo De Biasio invece è partito alla scoperta del Collio, prima in bicicletta pedalando in compagnia di Emilio Rigatti, un professore delle due ruote, e poi a piedi accompagnato da Luigi Nacci, giornalista e guida escursionistica. Al confine tra Collio e brda slovena, il vignaiolo (o ‘contadino’ come a lui piace essere chiamato) Edi Keber, autentica istituzione enologica della zona, ci parla dell’inutilità dei confini e di come il vino non abbia passaporti. La chiusura è ovviamente con una grappa Nonino. The New York Times ha scritto che “Per decenni la Grappa è stata poco più che una forma tascabile di riscaldamento per i contadini del Nord Italia. Gli italiani più ‘in’ e la maggior parte degli stranieri la disdegnavano. Ma tutto questo accadeva prima che i Nonino di Percoto salissero alla ribalta.” Antonella Nonino, una delle tre figlie di Benito (e Gianola), il discendente di Orazio che nel 1897 aprì la distilleria ai Ronchi di Percoto, ci racconta come sono riusciti a portare la grappa sullo stesso livello dei cognac e digli whisky…

Clicca qui per visitare il sito ufficiale del turismo del Friuli Venezia Giulia.

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Wild Atlantic Way

Wild Atlantic Way

Oltre 2500 chilometri che, costeggiando l’Oceano Atlantico, congiungono Malin Head, il punto più settentrionale dell’Irlanda con Mizen Head, quello più meridionale. O viceversa. Le prime contee da attraversare sono quelle di Donegal e di Sligo, quest’ultima strettamente legata alla memoria di William Butler Yeats, uno dei maggiori poeti del secolo scorso. Procedendo verso sud ci si può perdere nel Connemara, uno scampolo d’Irlanda che per anni è stato un rifugio di banditi e terra d’esilio per gli oppositori. Superata Galway, per qualche scatto, tappa obbligata il terrazzo del Dunguaire Castle, una rocca da dove si gode un panorama meraviglioso. Proseguendo si entra nelle contea di West Clare, celeberrima per i paesaggi creati dall’oceano Atlantico che, con la sua incessante opera, ha creato vertiginose scogliere a strapiombo, le più famose delle quali sono le maestose Cliffs of Moher, il gioiello d’Irlanda. Siamo nel Burren, una distesa infinita di roccia calcarea ricca di torrenti sotterranei e grotte inesplorate. Prima di lasciare la regione ci si può spingere  sino al Loop Haed Drive: un susseguirsi di splendide scogliere, turbolenti paesaggi marini e siti storici inaspettati.  Milltown Malbay, un piccolo centro abitato della contea di Clare, è la patria di Willie Clancy, un eroe della musica irlandese. Qui ogni estate si celebra The Willie Clancy Summer School, un festival impreziosito da corsi musicali a cui partecipano anche i bambini del villaggio. Entrando nella contea di Kerry, la patria del Ring of Kerry: un anello costiero che percorre l’intera penisola di Inveragh. Nelle adiacenze un’altra penisola, quella di Dingle, ed è qui che abbiamo conosciuto Antonio, un italiano che vive qui ormai da parecchi anni. In Italia faceva il fotografo (solo b/n), oggi scolpisce la pietra producendo ‘foto tridimensionali’. A Baltimore, un villaggio di pescatori adagiato su una lingua di terra, incastonata fra verdi pascoli e pendii rocciosi della contea di Cork, Captain Nick aspetta i turisti per un giro sull’oceano a caccia (fotografica) di balene. A pochi km c’è il lago salato di Lough Hyne, la prima riserva naturale marina d’Irlanda. E’ una laguna spettacolare, un piccolo specchio d’acqua incastonato nel verde, che nasconde, nelle sue profondità, un’incredibile varietà di specie marine. Talvolta è solcato dalle canoe dell’Atlantic Sea Kayaking, che di notte sono disponibili per incursioni ‘al chiaro di luna’ nelle acque di un lunghissimo fiordo. Il viaggio lungo la Wild Atlantic Way può chiudersi a Ballaghboy, dove si può prendere l’unica funivia d’Irlanda:  250 metri sull’oceano Atlantico che consentono agli abitanti delle isole di risparmiarsi un pericoloso viaggio attraverso il canale. Sulla funivia di Dursey Island viaggia una fauna promiscua composta da turisti, isolani, provviste, cani e pecore. Dai sedili spuntano fili di grano. Se ci si imbarca all’ora giusta, vista la particolare situazione geografica del sito, si può ammirare “l’ultimo tramonto d’Europa”.

Per maggiori informazioni potete visitare il sito dell’ufficio del turismo, scrivergli una email o contattarli tramite la loro pagina Facebook.

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Campagne della Bassa

Cascina Contina

Cascina Baraggia-Roma. Milano dista solo 26 km, ma sembra lontana anni luce. 120 ettari in gran parte lavorati a riso. Riso fino, famiglia arborio-volano (quello ideale per i risotti). Acque sorgive alimentano immense risaie e persino un paio di laghetti. Un’acqua dalla temperatura costante tutto l’anno: tra i 16 e i 18°. Estate e inverno. Un bosco di abeti e piante anfibie importate dal Giappone su cui svolazzano aironi cinerini, cormorani, corvi, cigni neri e bianchi. E nei mesi invernali anche una comunità di circa 2000 anatre. L’altro giorno c’era un lutto: una volpe, in un colpo solo aveva ucciso, un cigno bianco e uno nero. Nelle acque nuotano balbi, trote e persino qualche anguilla. Il sign Angelo, che vive qui da una vita, ci mostra persino i gusci di quelli che definisce “le cozze d’acqua dolce”, di cui pare siano ghiotti i cormorani. E’ uno scampolo di pianura lombarda, dalle parti di Abbiategrasso. Altre fotografie sono quelle regalate dall’Azienda Agricola Clementina, specializzata nella coltivazione e successiva trasformazione di piccoli frutti come fragole , lamponi, mori e mirtilli. O dalla cascina Fraschina, specializzata nel recupero di ortaggi ed erbe spontanee. Ma nelle cascine di queste campagne si pratica anche la solidarietà. Leggendo “Il paese dell’acqua – I luoghi Pii Elemosinieri di Milano e le loro terre: un itinerario nel paesaggio dal medioevo ai giorni nostri” (Nodo Libri) ho scoperto che questo ruolo sociale ha radici antiche. E che esiste una relazione più stretta di quello che uno si potrebbe immaginare tra uomini diversi, vissuti a distanza di due secoli l’uno dall’altro. E’ il caso di Carlo Mira, ingegnere, consigliere e progettista della Congregazione della Carità (1799-1894), e di Cesare Bianchi (1947-2014), fondatore della esperienza della cascina Contina. Questo territorio, con la sua “diversità” ormai rara nella provincia di Milano, rischia di essere ferito dalla bislacca idea di una tangenziale che dovrebbe collegare Vigevano con Malpensa: una colata d’asfalto che lo attraverserebbe e lo devasterebbe. Per info sulla lotta contro questo scempio visita notangenziale.org.

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Il Cervino: più che una montagna

Matterhorn_Postale

Il Cervino è “un frammento di mondo, astratto dal suo contesto geografico e sociale, che grazie all’intrinseca bellezza (ma si potrebbe parlare a buon diritto di ‘magia’) diventa oggetto del desiderio per milioni di persone, disposte a comprare un biglietto aereo per vederlo”. Così scrive Paolo Paci, autore de “Nel vento e nel ghiaccio ­ Cervino, un viaggio nel mito” (Sperling & Kupfer). Paolo sul Cervino ci è salito assieme alla valanga di turisti che ogni anno lo assaltano: “A consumare il ‘cornetto’ non sono solo alpinisti o calpestatori di Quattromila, specie comuni neirifugi del Vallese e della Valle d’Aosta. Sono individui tra i più improbabili: programmatori del New Jersey e commercialisti di Savona, ingegneri di Hanoi e falegnami carinziani…ognuno conuna sua motivazione e una sua idea, magari folle, della montagna”. Tutto questo perchè il Cervino è un luogo­feticcio, come la Tour Eiffel o le Piramidi. E poiché come loro ha una forma piramidale ci siamo fatti spiegare da Grazia Varisco, artista ed in passato titolare della cattedra di Teoria della percezione all’Accademia di Brera, perchè questa forma geometrica attrae e cattura l’attenzione di milioni di persone. Tra cui anche quella di Edward Whymper, disegnatore ed incisore inglese, che nel 1865, poco più che ventenne, arrivò sulla cima del Cervino battendo sul filo di lana la guida italiana Antoine Carrel, contadino e cacciatore, un valligiano con la visione ‘sportiva’ dell’alpinismo. Chissà se, centocinquanta anni dopo, Whymper e Carrel si sarebbero trovati meglio a Zermat o a Cervinia, le due località tanto diverse l’una dall’altra (la prima svizzera, l’altra italiana) ai piedi del Cervino?

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L’isola di Montecristo: l’arca di Noè del Mediterraneo

Montecristo versante Ovest_@Marco Rolando

Montecristo è l’isola più selvaggia e inaccessibile del Mediterraneo. Nessuno può approdare liberamente, nessuno può bagnarsi nelle acque che circondano quest’oasi di natura sottratta all’uomo. L’isola è accessibile solo dietro un permesso che consente di partecipare a un’ambitissima gita guidata. Ma i permessi sono pochi, le gite si tengono tra maggio e settembre ogni quindici giorni (con una pausa tra luglio e agosto per il caldo eccessivo) e le richieste abbondano. Chi decide di prenotarsi deve mettersi il cuore in pace e attendere la lettera di partecipazione per circa quattro anni. Quando la chiamata arriva e le porte si spalancano, potrà vivere una giornata speciale aggregandosi a una delle piccole comitive che con un traghetto vengono condotte all’approdo, e da lì, scortate lungo uno dei due sentieri diretti ai belvedere, trattenersi 4 ore. Lo scorso gennaio, per la prima volta dall’istituzione della Riserva di Montecristo (1971), è stato concesso a un ‘osservatore’ di vivere e muoversi liberamente sull’isola per un periodo prolungato di circa due settimane. Questo ‘osservatore’, lo scrittore Marco Albino Ferrari, dopo avere dato alle stampe “Montecristo – Dentro i segreti della natura selvaggia” (2015, Laterza), ci racconta la sua esperienza. L’incontro con Giorgio e Luciana, le uniche due persone che sull’isola vivono tutto l’anno: un esempio felice di eremitaggio contemporaneo. L’abitato di Cala Maestra, un’isola nell’isola. Il conte di Montecristo (non quello ‘letterario’ di Alexandre Dumas, ma quello che pochi conoscono: George Watson Taylor). E infine, raccontandoci della strage dei ratti neri, Marco ci racconta della battaglia tra conservazionisti ambientali e animalisti. E indirettamente ci fa riflettere di come noi uomini ci autodefiniamo nel nostro rapporto con la natura.

P.S. Trovandoci nell’arcipelago toscano, grazie al dottor Carmelo Cantone, provveditore delle carceri toscane, abbiamo fatto un salto anche sull’isola-carcere della Gorgona: un modello penitenziario che merita di essere conosciuto

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Iran, la nuova era

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Iran: un paese su cui tutti hanno sentito dire qualcosa, ma che spesso non conoscono per nulla. Un paese che ha una delle percentuali di giovani più alta del mondo, una scolarizzazione e un sistema sanitario fra i più efficienti di tutto il Medio-Oriente e una storia e una cultura millenarie, spesso contigue a quella del nostro paese per secoli.

L’Iran e la moralizzazione islamica: tutto vero, la popolazione è ancora in affanno, nella ricerca di un difficile equilibrio fra il rispetto delle severe leggi di comportamento e lo slancio di modernità che si respira in tutto il paese. Eppure, appena si entra in contatto con questa popolazione cordiale, entusiasta e intelligente, la sensazione è che molto sia cambiato e che soprattutto molto stia per cambiare.

Tutti sono consapevoli che l’apertura agli Stati Uniti porterà un cambiamento importante nelle relazioni con l’Occidente. Il turismo, per cui questo paese sembra fatto apposta, con il suo invidiabile mix di archeologia, paesaggi fiabeschi, ricchezze naturali e addirittura coste di mare, potrebbe decollare in pochi anni.

Si respira una frenesia di attività, una tensione verso l’esterno, espressa attraverso tutti i mezzi tecnologici più avanzati, la musica, la cultura. Spesso sono le donne a guidare questa specie di rivoluzione morbida, curiose di tutto ciò che è diverso, ingegnose nell’interpretare le norme di vestiario nel modo più contemporaneo possibile, ansiose di affermazione professionale e intraprendenti negli affari.

Fra gli incredibili bassorilievi di Persepoli, le primordiali montagne del sud, il deserto incontaminato e antico, i locali pieni di misteriose memorie della piazza di Isfahan, i bazaar dove e bello perdersi e ritrovarsi fra zafferani sopraffini e alta pasticceria, o perfino nel traffico impossibile di una megalopoli temeraria come Teheran, la sensazione è che il futuro sia qui e adesso!

Per info: cice.biz  •  aitotours.com  •  mahan.aero.en

Trasmissione a cura di Ira Rubini

Bristol, la città di Banksy

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Bristol è una cittadina distesa sulla costa nord-orientale del Somerset, che vanta diverse originalità tra cui autobus che funzionano con le deiezioni umane e una pianificazione urbanistica rispettosa di ambiente e natura. E’ anche la città dove da 3 anni circola il Bristol Pounds, la prima moneta complementare inglese con cui si  possono fare acquisti nei negozi, ma anche pagare le tasse. Ed è la città che ha dato i natali a Banksy. Se, come era accaduto decenni prima con la musica rock, un fenomeno sovversivo come la street art è oggi anche una realtà di massa con ingenti risvolti commerciali, molto lo si deve proprio a Bansky. Fu lui uno dei principali protagonisti dell’evento che portò lo sguardo dei critici e degli addetti ai lavori sulle opere di artisti che come tele avevano adottato i muri urbani. Era il luglio del 1985 quando la Galleria Arnolfini inaugurò l’esposizione Graffiti art in Britain, documentando le forme d’arte giovanile  presenti sul territorio e dando voce, e spazio, a tutti quei giovani artisti che fino a quel momento avevano potuto esprimersi solo in strada. A tutt’oggi la Galleria Arnolfini continua ad essere un polo di riferimento per l’arte contemporanea inglese. Accanto a giovani artisti che affrescano muri a loro destinati, ragazzini e giovanotti ormai cinquantenni rovistano ogni vicolo del quartiere di Stoke Croft fotografando muri impreziositi da firme che ormai espongono anche nei musei di Los Angeles e Tokyo. Tappa imperdibile la parete del palazzo che ospitava il negozio Subway Records, dove campeggia “Mild Mild West”, una delle prime opere di Bansky. La realizzazione richiese tre giorni di lavoro: nel primo l’artista dipinse completamente il muro di nero utilizzando la vernice per le automobili, nel secondo disegnò l’orso Teddy con la molotov in mano e i poliziotti, mentre il terzo lo dedicò alle parti scritte. Molto apprezzato anche il murale risalente allo scorso ottobre, quando su una parete è apparsa una rivisitazione de “La ragazza con l’orecchino di perla”,  dipinta da Jan Vermeer nel 1665. L’ultima invenzione di Banksy è Dismaland, il bemusement park, aperto a Weston Super Mare, una sconosciuta cittadina inglese sul Canale di Bristol. E’ un parco dei divertimenti al contrario, una tetra allegoria dei parchi divertimenti Disneyland, una denuncia sociale. Aperto al pubblico dal 22 agosto al 27 settembre ha ospitato 150mila visitatori venuti da tutto il mondo. Al momento della chiusura sul sito web di Dismaland, Banksy ha pubblicato un’immagine del campo dei migranti di Calais, sull’altro lato della Manica, e ha sovrapposto il castello di Cerentola del suo parco, che ha rappresentato come fosse stato devastato da un incendio. Un messaggio per annunciare che Dismaland, o alcuni suoi segmenti, verrà rimontato nella zona della cittadina portuale francese dove circa 5mila siriani, libici ed eritrei si trovano accampati?

visitbritain.com  •  visitbristol.co.uk  •  banksy.co.uk  •  dismaland.co.uk

Il sertão dei cangaceiros e di padre Cicero

sertao casa flamboyant

Il sertão è una regione semi-arida del Brasile che include molti stati del nord est: da quello di Bahia al Pernambuco, dal Cearà al Piauì. E’ costituito prevalentemente da bassopiani, piazzati ad una altitudine compresa tra 200 e 500 metri sul livello del mare. Qui regna la caatinga, un bioma unico del Nordeste brasiliano che deve il nome alla colorazione chiara delle piante che la compongono: caa (foresta)+ tinga (bianca). Dalla metà seconda metà del XIX secolo è stata terra di banditi, come Virgulino Ferreira da Silva, conosciuto da tutti come Lampião. Della sua donna Maria Gomes de Oliveira, detta Maria Bonita (Maria la bella). E di strani ‘santi’ come Padre Cicero, il Padre Pio del sertão. Erano gli anni dell’epopea dei «cangaceiros», i briganti brasiliani che divennero leggendari e spietati idoli popolari. Allo loro esperienza è legato il termine cangaço, che identifica un movimento sociale, le cui motivazioni e cause sono da ricercarsi nelle particolari condizioni socio-politico-economiche in cui si trovava il nordest del Brasile in quegli anni. Ebbe personaggi che assunsero un rilievo persino leggendario e che si guadagnarono un certo appoggio da parte della popolazione, che vedeva nei cangaceiros l’unica possibilità di proteggersi dallo strapotere dei grandi latifondisti, i cosiddetti Coroneis (Colonnelli). Il brigantaggio praticamente finì con la morte dei due capi storici, Lampiao e Corisco. Entrambi dopo la decapitazione furono portati in giro per le città di Bahia, del Pernambuco, di Alagoas e del Sergipe e solo nel 1969 i resti dei due banditi furono pietosamente sepolti. Oggi nel sertao, oltre a decine di leggende, sopravvive la ‘moda’ lanciata da Lampião e soci: abbigliamento di cuoio, cartucciere a tracolla, gilet ricamato, gambali e cappello a feluca, abbellito da stelle e croci.

(Un grazie particolare a Josè Louiz del Roio per la collaborazione)

Alpe Adria Trail: la versione laica del cammino di Santiago

Val Rosandra

Lo scrittore e giornalista Marco Albino Ferrari ci racconta i 700 km dell’Alpe Adria Trail. Un cammino che collega tre regioni (Carinzia, Slovenia e Friuli-Venezia Giulia) in un susseguirsi di 43 tappe complessive. Questo cammino a lunga percorrenza conduce dai piedi della montagna più alta d’Austria, il Großglockner, attraverso i tratti più belli del paesaggio montano e lacustre della Carinzia, sino nei pressi del punto d’incrocio dei tre confini austriaco, sloveno e italiano per poi terminare sulle rive del Mar Adriatico, a Muggia. E’ un itinerario concepito preminentemente all’insegna del piacere di camminare. Il suo decorso si svolge in gran parte in bassa montagna e i dislivelli, per quanto possibile, sono minimi. Ciascuna tappa ha una lunghezza di circa 20 km, si completa pressappoco in 6 ore e presenta una segnaletica omogenea. Il percorso da seguire è ben definito e si può compiere in entrambe le direzioni. Lungo la via si trova almeno un punto di ristoro rinomato per la sua cucina e le località di arrivo sono sempre luoghi con possibilità di pernottamento. Il percorso, che si svolge su sentieri già preesistenti (l’Alpe-Adria-Trail si è ‘limitato’ a raccordarli), è promosso con lo slogan «Passeggiando per il giardino dell’Eden» e metaforicamente sottolinea la grande diversità paesaggistica presente sul versante meridionale delle Alpi e nella porzione di Alpe Adria interessata. Spostandosi dai ghiacciai degli Alti Tauri, costeggiando le sponde di laghi, ruscelli e fiumi, fino a giungere alla costa del Mar Adriatico si scopre la varietà culturale di tre paesi accomunati da una lunga storia.