Siviglia, la città delle tapas: un raro esempio di legge ad personam adottata felicemente dal popolo. Ad istitualizzarle fu un monarca del XIII secolo, Alfonso Fernández, detto il Saggio. A causa di una rara malattia era obbligato a mangiare a tutte le ore ed a bere un po’ di vino. Una necessità che lo portò ad imporre per regio decreto che non si servisse vino senza cibo. E’ anche la città d’Europa con il maggior numero di strade dedicate alla Madonna: 48 tra vie e piazze. Ma nell’Alcazar ha eretto un monumento a un monarca musulmano di tanto tempo fa, la cui stele recita: “La città al suo re Almutamid Ibn Abbad. 900 anni dopo”. Per ammirare questa città meticcia dall’alto basta salire sul Metropol Parasol, una gigantesca struttura fungiforme, non a caso ribattezzata dai sivigliani Las Setas: i funghi. Sei ‘funghi’ che si stagliano per una lunghezza di 150 metri e un’ampiezza di 75, alti 30 metri ciascuno. I loro ‘cappelli’ sono dei grandi tetti oscillanti, dal diametro che varia dai 20 ai 30 metri, che si incrociano tra loro, formando sopra la piazza un’unica onda d’ombra. Sono percorsi da una lunga passerella che, dopo una passeggiata nel cielo urbano, regala scorci fantastici su Siviglia.
La ribelle e anarchica Marinaleda è una cittadina a poco più di 100 chilometri da Siviglia, nel cuore dell’Andalusia, una piccola comunità rurale con meno di 3000 abitanti, una regione dove la disoccupazione è di casa e la povertà è stata spesso sovrana. Un borgo dove da qualche lustro si sperimentano forme di autogoverno, di economia collettivista e democrazia partecipativa di ispirazione socialista. Motore economico della comunità è l’azienda agricola collettiva El Humoso che impiega la maggior parte della popolazione locale. Un progetto nato nel 1979 quando gli agricoltori della zona avevano perso la terra e il tasso di disoccupazione superava il 60%. Lo storico sindaco Juan Manuel Sánchez Gordillo, allora trentenne, iniziò e guidò una serie di proteste, occupazioni e scioperi che sono durati circa un decennio, chiedendo e ottenendo l’accesso ai campi abbandonati. Successivamente il governo locale ha acquistato migliaia di metri quadrati di terreno, ha fornito materiali da costruzione, piani architettonici e assistenza gratuita da parte di costruttori professionisti per garantire anche un tetto agli abitanti del villaggio.
Oggi Tangeri vive di container e digitale, ma non ha dimenticato la sua anima vintage. Per sincerarsene basta addentrarsi nel labirinto di vicoli e piccole piazze della medina, che essendo stati costruiti man mano che ne è sorta la necessità sono totalmente privi di una logica topografica. In compenso sono pieni di bancarelle e negozi che vendono prodotti artigianali e per sapere dove andare qualcuno dovrebbe inventare un GPS: Global Power Shopper. Più eleganti i negozi delle strade all’europea Ville Nouvelle, che si estende irregolarmente a sud-ovest della medina. Afrori della Tangeri che fu si possono sorseggiare assaporando un profumato tè alla menta al Cafè Champs Elysèes o ubriacandosi allo speakeasy di El Morocco Club , un seducente bar-ristorante nella kasbah.
Asilah, 40 km sotto Tangeri: un miscuglio di forme geometriche degne di Paul Klee. Era un antico porto fortificato che stava sbriciolandosi sotto il sole quando nel 1978 il fotografo Mohammed Benaissa e l’artista Mohammed Melehi invitarono alcuni pittori a realizzare murales sui logori bastioni portoghesi del XIV secolo. Erano i prodromi di un festival che ha segnato la rinascita di Asilah: a fianco di musicisti di flamenco e di poeti il Moussem culturel international d’Asilah invita graffittari che affrescano i muri del villaggio che così ogni anno, per dodici mesi, offre scorci cromatici nuovi.