“Un immigrato è qualcuno che non ha perso niente,
perché lì dove viveva no aveva niente” Jean Claude Izzo
Vanno di moda i cammini. Quasi ogni settimana ne nasce uno. Tra gli ultimi nati il cammino di San Francesco. Questo è l’anno dantesco e spuntano come funghi cammini sulle orme dell’Alighieri.
Ce ne ne sono però altrettanti che non appartengono alla sfera del loisir. Sono quei percorsi oggi calpestati da chi per scelta, per obbligo e per necessità, intraprende un viaggio, trasformandosi in migrante dopo essere stato esule, perseguitato o discriminato. Percorsi da fare nel tentativo di
superare quella linea immaginaria chiamata confine. Vicino a Ventimiglia, tra Grimaldi e Garavan ci sono due sentieri che si riuniscono all’altezza della linea della frontiera. Da lì, lungo i secoli, sono passate, al prezzo di inaudite sofferenze, migliaia di persone nella speranza di una vita migliore. Dagli antifascisti (compreso, sembra, il futuro presidente Pertini) agli ebrei come Robert Baruch che nel 1939 disegnò e spedì da Nizza, alla propria comunità di Merano, una mappa che rappresenta con esattezza il sentiero. Un tentativo concreto di offrire una fuga dalle leggi razziali. Oggi su quel Sentiero della Speranza ci passano centinaia di migranti. Altri cercano di farlo sui sentieri delle Hautes-Alpes: nei boschi tra Italia e Francia, in mezzo alla neve, tra piste da sci e turismo… una realtà raccontata da “The Milky Way – Nessuno si salva da solo”, un film di Luigi d’Alife. Altri seguono i vecchi sentieri che portano in Ticino, mulattiere in passato battute da contrabbandieri e spalloni. E poi c’è la rotta del Brennero e quella che passa per il Carso. Di tutti questi sentieri ne parla Alberto Abo di Monte nel libro “Sentieri migranti – Tracce che calpestano il confine” (Mursia), che ci racconta anche la “non” differenza tra un “cervello italiano in fuga” e un migrante economico pakistano, entrambi laureati. Alberto Visconti infine, ci presenta il brano con cui recentemente ha vinto il Sanrito Festival . Un brano eseguito insieme al CoroMoro, un coro formato da giovani richiedenti asilo politico nelle Valli di Lanzo. Ragazzi che arrivano da Mali, Senegal, Gambia, Nigeria, Costa d’Avorio, che cantano e interpretano (molto spesso in dialetto piemontese) con grande energia, creatività e ironia canzoni popolari, principalmente in dialetto piemontese.