L’isola di Montecristo: l’arca di Noè del Mediterraneo

Montecristo versante Ovest_@Marco Rolando

Montecristo è l’isola più selvaggia e inaccessibile del Mediterraneo. Nessuno può approdare liberamente, nessuno può bagnarsi nelle acque che circondano quest’oasi di natura sottratta all’uomo. L’isola è accessibile solo dietro un permesso che consente di partecipare a un’ambitissima gita guidata. Ma i permessi sono pochi, le gite si tengono tra maggio e settembre ogni quindici giorni (con una pausa tra luglio e agosto per il caldo eccessivo) e le richieste abbondano. Chi decide di prenotarsi deve mettersi il cuore in pace e attendere la lettera di partecipazione per circa quattro anni. Quando la chiamata arriva e le porte si spalancano, potrà vivere una giornata speciale aggregandosi a una delle piccole comitive che con un traghetto vengono condotte all’approdo, e da lì, scortate lungo uno dei due sentieri diretti ai belvedere, trattenersi 4 ore. Lo scorso gennaio, per la prima volta dall’istituzione della Riserva di Montecristo (1971), è stato concesso a un ‘osservatore’ di vivere e muoversi liberamente sull’isola per un periodo prolungato di circa due settimane. Questo ‘osservatore’, lo scrittore Marco Albino Ferrari, dopo avere dato alle stampe “Montecristo – Dentro i segreti della natura selvaggia” (2015, Laterza), ci racconta la sua esperienza. L’incontro con Giorgio e Luciana, le uniche due persone che sull’isola vivono tutto l’anno: un esempio felice di eremitaggio contemporaneo. L’abitato di Cala Maestra, un’isola nell’isola. Il conte di Montecristo (non quello ‘letterario’ di Alexandre Dumas, ma quello che pochi conoscono: George Watson Taylor). E infine, raccontandoci della strage dei ratti neri, Marco ci racconta della battaglia tra conservazionisti ambientali e animalisti. E indirettamente ci fa riflettere di come noi uomini ci autodefiniamo nel nostro rapporto con la natura.

P.S. Trovandoci nell’arcipelago toscano, grazie al dottor Carmelo Cantone, provveditore delle carceri toscane, abbiamo fatto un salto anche sull’isola-carcere della Gorgona: un modello penitenziario che merita di essere conosciuto

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Alpe Adria Trail: la versione laica del cammino di Santiago

Val Rosandra

Lo scrittore e giornalista Marco Albino Ferrari ci racconta i 700 km dell’Alpe Adria Trail. Un cammino che collega tre regioni (Carinzia, Slovenia e Friuli-Venezia Giulia) in un susseguirsi di 43 tappe complessive. Questo cammino a lunga percorrenza conduce dai piedi della montagna più alta d’Austria, il Großglockner, attraverso i tratti più belli del paesaggio montano e lacustre della Carinzia, sino nei pressi del punto d’incrocio dei tre confini austriaco, sloveno e italiano per poi terminare sulle rive del Mar Adriatico, a Muggia. E’ un itinerario concepito preminentemente all’insegna del piacere di camminare. Il suo decorso si svolge in gran parte in bassa montagna e i dislivelli, per quanto possibile, sono minimi. Ciascuna tappa ha una lunghezza di circa 20 km, si completa pressappoco in 6 ore e presenta una segnaletica omogenea. Il percorso da seguire è ben definito e si può compiere in entrambe le direzioni. Lungo la via si trova almeno un punto di ristoro rinomato per la sua cucina e le località di arrivo sono sempre luoghi con possibilità di pernottamento. Il percorso, che si svolge su sentieri già preesistenti (l’Alpe-Adria-Trail si è ‘limitato’ a raccordarli), è promosso con lo slogan «Passeggiando per il giardino dell’Eden» e metaforicamente sottolinea la grande diversità paesaggistica presente sul versante meridionale delle Alpi e nella porzione di Alpe Adria interessata. Spostandosi dai ghiacciai degli Alti Tauri, costeggiando le sponde di laghi, ruscelli e fiumi, fino a giungere alla costa del Mar Adriatico si scopre la varietà culturale di tre paesi accomunati da una lunga storia.

Sentieri partigiani

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Da tempo immemorabile le montagne sono luogo privilegiato per gli uomini che combattono. Se poi le guerre sono guerriglie e le forze in campo vedono milizie volontarie di irregolari, allora a maggior ragione le “terre alte” diventano rifugi, aree dove è più semplice nascondersi, effettuare imboscate, attaccare e sparire. Ci sono foreste, forre, vallate, malghe spesso vuote, morene impervie, ghiacciai e passi remoti, dove pochi uomini possono fermare intere brigate. In montagna la conoscenza dettagliata del territorio, l’allenamento, l’abitudine alla fatica, al freddo, ai bivacchi sulla nuda roccia, l’abilità di saper accendere fuochi senza fumo, fanno la differenza anche di fronte a nemici ben equipaggiati e persino sostenuti dall’aviazione.  Niente di strano quindi se nei mesi cruciali che vanno dall’autunno 1943 alla primavera 1945 la montagna divenne sinonimo di ribellione e volontà di rinascita. Lorenzo Cremonesi ci parla di uno dei 30 itinerari proposti da ‘I sentieri della libertà’ (Rcs Media Group),  una guida della memoria che accompagna gli appassionati di escursionismo lungo le vie della Resistenza , a 70 anni dalla Liberazione dal nazifascismo. Marco Albino Ferrari ci illustra il numero monografico di Meridiani Montagne dedicato a sentieri e cime della guerra partigiana, e ci racconta del territorio dove operò il maggiore britannico Bill Tilman: arrivato appeso a un paracadute con le tasche piene di lire, insieme a un marconista e a una potente radiotrasmittente per appoggiare la guerra partigiana, operò nelle alti valli del Cordevole e di San Lucano, nella Foresta del Cansiglio e tra le vette feltrine. Cecco Bellosi ci racconta della manifestazione antifascista del 28 aprile a Giulino di Mezzegra, dove venne giustiziato Mussolini.  E ci racconta di Michele Moretti, roccioso terzino destro della Comense, partigiano che il 27 aprile 1945 a Dongo partecipò alla cattura del Duce. Annalisa Corbo ci parla di “I ribelli della montagna – L’ultima notte di Montelupo”, un evento di larp (Live Action Role Play) che si svolgerà al Villaggio delle Stelle (Lusernetta – To) il prossimo luglio (date e info su www.grv.it/ribelli).

P.S. Pochi gli esempi di cinema sulla Resistenza ambientati in montagna. Forse Roma città aperta ha dato l’imprinting, e da lì non ci si è mossi per lungo tempo. Una delle poche eccezioni si chiama Noi Loro Noi. E’ un corto di 13 minuti di Massimo Schiavon, girato nel 50° della liberazione, da una troupe di ragazzi che all’epoca avevano la stessa età dei partigiani di cui raccontano le vicende.

Viaggi, esplorazioni, scalate

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“Si ammira chi è in grado di ‘sconfiggere l’ignoto’, eppure sentiamo l’intimo bisogno che l’ignoto continui ad esistere. Per poter sognare abbiamo bisogno che rimanga una porzione sconosciuta di natura che ci porti verso le prime albe del mondo. Un luogo della nostalgia. Esiste ancora?”

Cerchiamo di rispondere a questa domanda incontrando lo scrittore Marco Albino Ferrari, autore di  “Le prime albe del mondo” (ed. Laterza). Un libro sui generis, a metà tra il mémoire autobiografico e la narrativa non fiction, con una serie di avvincenti storie legate alla montagna e all’esplorazione dei tempi andati e negli angoli più remoti della Terra. Si parte dal Monte Bianco, con la ricostruzione di una vicenda degli anni Trenta che ha dell’incredibile, nella quale la giovane Loulou Boulaz compì l’inimmaginabile. Poi si passa alla Patagonia, al Monte Kenya, a Capo Horn e ai luoghi più selvaggi e misteriosi della Terra, dove Ferrari è stato nel corso di una vita alla ricerca di storie del passato. Da archivi polverosi alle emeroteche nei sotterranei di Nairobi, dalle testimonianze dirette di viaggiatori del Novecento alle consultazioni di vecchi registi di rifugi alpini: sono queste le fonti da cui sgorgano le storie raccontate nel libro.

Viaggio in Dolomiti

Dolomiti friulane

Un viaggio per quasi 1200 chilometri tra valli, altipiani, canyon e alte pareti. Il viaggio attraverso tutti i sistemi dolomitici, di un antropologo –Annibale Salsa– e un narratore –Marco Albino Ferrari– che partendo da Trento in una tiepida mattina di sole, hanno effettuato un lungo scavo sotto la superficie delle “montagne più famose del monde”. Sono le montagne più frequentate del mondo, le più fotografate, le più famose. E, dunque, anche le più piegate -tra souvenir e visioni da cartolina- agli stereotipi dell’immaginario urbano. In compagnia di Marco e dell’antropologo (che raccontano questo viaggio sul numero di novembre-dicembre della rivista Meridiani Montagne) passiamo in rassegna la varia umanità che vive in quelle valli, i problemi, le aspirazioni e gli antichi retaggi che resistono addirittura al medioevo. Un viaggio oltre la rappresentazione da cartolina a cui siamo abituati. Le vacche della Val Rendina, le erbe dei boschi, il santuario di Pietralba e Villa Welsperg. Un viaggio tra spopolamento e neoruralismo, dove ho inserito una tappa a Corte di Cadore, il più straordinario esempio di architettura sociale italiana partorito dalla mente di Enrico Mattei che in meno di dieci anni (1954-1963), grazie al lavoro dell’architetto Gellner realizzò un villaggio in grado di garantire un colloquio tra edilizia e natura. Un villaggio che oggi rischia di diventare uno dei tanti borghi fantasma che abitano le nostre montagne.

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