Chicago: un museo a cielo aperto

blues bros

“La prima sorpresa arriva a bordo dell’aereo che sta per atterrare all’Internazional O’Hara Airport di Chicago. La città di Obama, nella nostra mente, è sempre stata ‘vissuta’ come una città continentale, al centro del Nordamerica. Sotto di noi invece si palesa una città marina. Se pensiamo a un grande lago l’immagine va a quello di Garda. Il più delle volte la parola ‘lago’ evoca nella nostra mente le pozze alpine o le gocce dei castelli romani. Chicago è su una delle rive del Lago Michigan: 60.000 kmq di superficie, 150 chilometri per 400. In pratica la stessa superficie dell’Adriatico. Le tempeste si abbattono sui frangiflutti e a volte gli spruzzi delle onde invadono il lungolago, che da queste parti è un’autostrada urbana chiamata “Lakeshoredrive”. Vista dall’alto l’area metropolitana sembra disporsi lungo questo mare d’acqua dolce come una striscia lunga quasi 200 chilometri. E’ Chicagoland, un unico immenso agglomerato litoraneo che, da sud a nord, dall’Indiana al Wisconsin, fagocita quelle che erano periferie o centri urbani autonomi. E’ successo a Gary, in Indiana. Sta per succedere a Millwaukee, in Wisconsin.”

E’ un estratto delle prime pagine di “Il maiale e il grattacielo – Chicago una storia del nostro futuro” (Feltrinelli) di Marco d’Eramo, in saggio imperdibile per chiunque voglia conoscere la città di Ernest Hemingway e di John Belushi. Ed è proprio Marco d’Eramo a fotografare per noi alcuni aspetti di Chicago. I grattacieli della Venezia del Novecento e le Prairie House di Frank Lloyd Wright. Il Sunday Gospel Brunch alla Blues House e le installazioni di Theaster Gates. La rabbia dei ghetti del South Side e l’opulenza del Magnificent Mile. La standardizzazione dei sapori e la scuola economica dei Chicago Boys. Un concerto di blues nel locale di un immigrato italiano e gli standard della musica house degli anni Ottanta…

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