Sentieri partigiani

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Da tempo immemorabile le montagne sono luogo privilegiato per gli uomini che combattono. Se poi le guerre sono guerriglie e le forze in campo vedono milizie volontarie di irregolari, allora a maggior ragione le “terre alte” diventano rifugi, aree dove è più semplice nascondersi, effettuare imboscate, attaccare e sparire. Ci sono foreste, forre, vallate, malghe spesso vuote, morene impervie, ghiacciai e passi remoti, dove pochi uomini possono fermare intere brigate. In montagna la conoscenza dettagliata del territorio, l’allenamento, l’abitudine alla fatica, al freddo, ai bivacchi sulla nuda roccia, l’abilità di saper accendere fuochi senza fumo, fanno la differenza anche di fronte a nemici ben equipaggiati e persino sostenuti dall’aviazione.  Niente di strano quindi se nei mesi cruciali che vanno dall’autunno 1943 alla primavera 1945 la montagna divenne sinonimo di ribellione e volontà di rinascita. Lorenzo Cremonesi ci parla di uno dei 30 itinerari proposti da ‘I sentieri della libertà’ (Rcs Media Group),  una guida della memoria che accompagna gli appassionati di escursionismo lungo le vie della Resistenza , a 70 anni dalla Liberazione dal nazifascismo. Marco Albino Ferrari ci illustra il numero monografico di Meridiani Montagne dedicato a sentieri e cime della guerra partigiana, e ci racconta del territorio dove operò il maggiore britannico Bill Tilman: arrivato appeso a un paracadute con le tasche piene di lire, insieme a un marconista e a una potente radiotrasmittente per appoggiare la guerra partigiana, operò nelle alti valli del Cordevole e di San Lucano, nella Foresta del Cansiglio e tra le vette feltrine. Cecco Bellosi ci racconta della manifestazione antifascista del 28 aprile a Giulino di Mezzegra, dove venne giustiziato Mussolini.  E ci racconta di Michele Moretti, roccioso terzino destro della Comense, partigiano che il 27 aprile 1945 a Dongo partecipò alla cattura del Duce. Annalisa Corbo ci parla di “I ribelli della montagna – L’ultima notte di Montelupo”, un evento di larp (Live Action Role Play) che si svolgerà al Villaggio delle Stelle (Lusernetta – To) il prossimo luglio (date e info su www.grv.it/ribelli).

P.S. Pochi gli esempi di cinema sulla Resistenza ambientati in montagna. Forse Roma città aperta ha dato l’imprinting, e da lì non ci si è mossi per lungo tempo. Una delle poche eccezioni si chiama Noi Loro Noi. E’ un corto di 13 minuti di Massimo Schiavon, girato nel 50° della liberazione, da una troupe di ragazzi che all’epoca avevano la stessa età dei partigiani di cui raccontano le vicende.

Contrabbandieri e ‘burlanda’ in Val d’Intelvi

Valle d'Intelvi

Erbonne. 940 metri sul livello del mare. Pendici che precipitano a capofitto nelle acque del lago di Como.Una frazione di 9 abitanti del comune di San Fedele Intelvi, nella porzione più alta della Val Breggia, la stessa che per gli svizzeri è la valle di Muggio. Una valle inquieta, mazziniana e valdese, anarchica e contrabbandiera prima di rassegnarsi a un docile tramonto. E’ uno degli scenari che fanno da sfondo alle storie che Cecco Bellosi racconta in “Con i piedi nell’acqua – Il lago e le sue storie” (2013, Milieu). Ed è proprio ad Erbonne che Cecco ha convocato, una mattina dello scorso luglio, qualche (ex) contrabbandiere e qualche (ex) finanziere. Gente che per anni, su quelle irte montagne, ha ‘giocato’ a guardie e ladri. Contrabbandieri, sfrosatori, spalloni che, tra l’inizio del secolo breve e i primi lampi del Sessantotto, furono protagonisti di imprese a metà tra l’epico e il picaresco. Irregolari che imperversavano in anni in anni in cui il lago non era ancora la meta dei nuovi ricchi. “Sullo scorcio di fine secolo” scrive Bellosi “si è passati velocemente, insinuando qualche debole traccia di cronaca rosa sui muri screpolati nei secoli, dallo stilista italiano all’attore americano al petroliere russo arricchito alla borsa nera della morte del comunismo: c’è chi il bandito lo interpreta al cinema, e chi lo fa per professione nella vita di tutti i giorni». Mondo tosto, quello del lago e dei laghée. Al cui centro c’è il mestiere dello sfrosatore: un lavoro duro che consiste nel passare la frontiera per portare farina, caffè, tabacchi, zucchero, dadi, selvaggina. Un’attività dove regnano regole ferree, rituali, comportamenti che non ammettono deroghe o distrazioni. Dove ci sono gerarchie dettate dalla capacità individuale di saper trovare ogni volta un passaggio ignoto ai burlanda (i finanzieri) e alla tribù (la polizia tributaria), di saper organizzare e tenere insieme una colonna: da cui le leggendarie vite e imprese dei capi del contrabbando…

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