Vecchia capitale della Jugoslavia di Tito, crocevia di civiltà e imperi come quello Austro-Ungarico e Ottomano divisi qui solamente dalle acque del Danubio, Belgrado è oggi tra i centri più vivaci dell’Europa sud-orientale. “Città-fenice”, è risorta per l’ennesima volta dai conflitti degli anni novanta e dal tragico bombardamento Nato del 1999 grazie soprattutto alla creatività dei suoi abitanti. Il fascino retrò delle kafane, le vecchie osterie serbe in cui sorseggiare un bicchiere di slivovitz, un’acquavite ottenuta dalla distillazione del succo di prugne, convive con le più ricercate sonorità jazz o elettroniche provenienti dai numerosi localini nascosti nei cortili degli edifici del centro oppure adagiati lungo la Sava, che proprio qui confluisce nel Danubio sotto le mura della fortezza di Kalemegdan. Una vivacità che inizia a destare più di un appetito immobiliare (e non solo…). E’ quello per esempio che sta succedendo a Savamala, all’ombra del ponte di Branko. E’ uno dei quartieri più interessanti della città, rivitalizzato negli ultimi anni da artisti e ragazzi che hanno aperto locali ed atelier in edifici vecchi e cadenti. Proprio alcuni di questi edifici sono stati espropriati con una legge speciale da parte del governo, obbligando i proprietari a sgomberare l’area per far posto ad una opera di “pubblica utilità”. Si tratta della costruzione del nuovo complesso “Belgrado sull’acqua”, operato dalla Eagle Hills di Abu Dhabi, controllata da uno dei più grandi colossi immobiliari al mondo: la Emaar Properties. Una decisione contro cui si batte il comitato “Non (affon)diamo Belgrado”, che cerca di impedire la distruzione di Savamala. In pieno centro città enormi cartelloni pubblicitari con i rendering del progetto “Belgrado sull’acqua” cercano di nascondere i capannoni fatiscenti dove centinaia di profughi pakistani e afgani sono ‘parcheggiati’ in attesa che cerchino di raggiungere l’Europa. Storie diverse che si incrociano e che meriterebbero un film che le racconti perchè Belgrado, e la ex Jugoslavia tutta, ha da sempre una passione per il cinema. Lo testimoniano il Museo della Cineteca Jugoslava di Belgrado (che non a caso si definisce ancora ‘jugoslava’) e i resti degli Avala Studios. Negli anni in cui Cinecittà era la Hollywood sul Tevere il maresciallo Tito creò la Hollywood dei Balcani, attirando investimenti e capitali stranieri: gli Avala Studios appunto. Vi iniziarono ad arrivare le star, da Alfred Hitchock a Sophia Loren e Carlo Ponti, da Alain Delon a Kirk Douglas, alloggiati all’Hotel Metropol di Belgrado e accolti nella residenza estiva di Tito e della moglie Jovanka a Brioni, con tutto lo sfarzo del caso. Un’epoca raccontata in Cinema Komunisto, un lavoro della giovane regista Mila Turajlic. E’ la storia di un’immagine. Di come sia costruita, di quanto sia potente, della memoria di sé che lascia un’immagine: in questo caso quella della Jugoslavia, un paese unito solo e soltanto sotto il governo di Tito, che è collassato rovinosamente poco dopo la sua morte.
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